La Lettura, 14 novembre 2021
Intervista al filosofo Timothy Morton
Se c’è un «dopo» in cui Timothy Morton vorrebbe già vivere è quello del post-antropocentrismo. Quello «in cui noi esseri umani avremo finalmente compreso che non siamo diversi e superiori rispetto agli altri componenti del pianeta». L’illusione di esserlo, aggiunge, «ha prodotto finora danni gravissimi».
Inglese, docente alla Rice University di Houston (Texas), Morton è una voce influente, originale e trasversale rispetto ai vari schieramenti dell’ambientalismo filosofico contemporaneo. In questo ambito lavora da circa un quindicennio. Del 2007 è Ecology Without Nature («Ecologia senza natura», Harvard University Press), in cui già sostiene che la natura non è altro da noi: quindi non una risorsa o una «merce» da sfruttare, ma neppure un’entità incontaminata da proteggere, come ritiene un certo ambientalismo «standard». Né dominazione né paternalismo: per Morton siamo noi stessi natura e viviamo nella «maglia» del mondo, in relazione con tutte le forme di vita e di non vita della Terra.
Una visione che porta con sé conseguenze, implicazioni morali e sociali. Da poco è uscito in italiano Ecologia oscura (Luiss University Press), un altro caposaldo di Morton. A partire dal saggio parla via Zoom con «la Lettura» e sarà ospite online a BookCity, dove si concentrerà sul tema della rassegna, appunto il «dopo».
Superare l’antropocentrismo è la sua prima raccomandazione. Che fase si aprirebbe successivamente?
«Si potrebbe chiamarla ecologica. Sarebbe quella in cui siamo coscienti di essere collegati a tutto il resto sul pianeta e che è nostro compito prendercene cura».
Il titolo del suo saggio è «Ecologia oscura» (in originale «Dark Ecology»). Perché?
«Dark, oscuro, è da intendersi in un modo che cambia via via che si acquisisce coscienza ecologica. La prima reazione è di tristezza, depressione per un mondo che sta morendo; poi si avverte stranezza, ambiguità, rispetto al nostro reale posto sul pianeta e al rapporto con le altre specie e oggetti; infine dolcezza, alla maniera potremmo dire del cioccolato fondente: perché attraversando l’oscurità si può arrivare in un posto migliore. Vorrei rassicurare che non è un processo così difficile: abbiamo solo bisogno di lasciare andare le idee false, quelle appunto della nostra diversità e superiorità. Proprio perché false, è meno faticoso abbandonarle che tenerle. Quanta energia avrebbe richiesto sul lungo periodo aggrapparsi alla convinzione che la Terra è piatta?».
Lei pensa che la catastrofe climatica sia già avvenuta. Come si concilia con l’«attraversare l’oscurità»?
«Bisogna essere realisti, guardare i dati. L’apocalisse non accadrà nel futuro: è già iniziata. Prendere coscienza vuol dire anche capire questo. E quindi smettere di pensare di fermare qualcosa, ma mitigarne gli effetti. All’inizio è triste: se tua madre muore, è dolorosissimo. E il nostro pianeta sta morendo, la nostra biosfera sta morendo, è in corso un’estinzione di massa e le persone, specialmente i giovani, hanno il diritto di urlare più forte che possono, di arrabbiarsi. In seguito però, sapendo come stanno le cose, arriveremo al punto di essere meno impauriti, arrabbiati e più creativi nelle soluzioni. Pensiamo alla Conferenza di Glasgow: si è continuato a parlare del concetto di zero netto nelle emissioni, ma non è abbastanza. È come avere una vasca piena d’acqua e chiudere il rubinetto. Ma noi abbiamo bisogno che il livello dell’acqua si abbassi».
Lei sostiene anche che la crisi climatica sia legata al razzismo e al patriarcato. In che termini?
«Lo è al cento per cento. Tra i motivi per cui ci percepiamo superiori sulla Terra, ci sono proprio razzismo e patriarcato. Sono modi con cui gli esseri umani si trattano tra loro fin dall’inizio della civilità e che hanno influenzato il modo in cui trattiamo gli altri componenti del pianeta. Comportandoci meglio tra noi, sapremo farlo anche con il resto del mondo».
In quest’ottica, alla causa climatica fanno bene movimenti come Black Lives Matter e #MeToo.
«È così. Già la pensatrice italiana Carla Lonzi (1931-1982) sosteneva che il movimento delle donne non era solo internazionale ma planetario. Un altro aspetto positivo di Black Lives Matter e del #MeToo è infatti che sono su scala planetaria. Certe questioni non sono limitate all’America, riguardano il mondo in quanto eredità della schiavitù e del patriarcato. Ed è la stessa dimensione ampia che serve per affrontare la crisi climatica».
Su scala planetaria è anche il Covid-19.
«Infatti anche la pandemia sta facendo pensare in un modo che sarà utile alla lotta ambientale. Ora sappiamo che serve grande fiducia nella scienza e accuratezza nei dati; e siamo appunto consapevoli che le nostre azioni hanno effetti su scale diverse. Adesso è più facile capire che se accendi l’auto o mangi carne questo avrà conseguenze anche su un piano più vasto: un concetto che il Covid ci ha fatto capire non solo razionalmente ma dal punto di vista emotivo, ed è fondamentale. Abbiamo iniziato a prendere coscienza del tipo di immensità di cui abbiamo bisogno per il cambiamento».
Come estendere questa coscienza anche emotiva?
«Io provo a farlo come filosof* (Morton ha dichiarato la sua identità di genere non binaria e gradisce sia rispettata nella scrittura. Qui, usando l’italiano, si è scelto di farlo con l’asterisco *). Esploro sentimenti piuttosto che il sapere inteso come serie di istruzioni e idee. Il capitalismo neoliberista ha messo a tacere le emozioni. Tutto si basa sull’efficienza. Mentre un mondo post-antropocentrico potrebbe basarsi su creatività e sentimenti, consentire il fallimento per poi mettersi in cerca di qualcosa di più giusto, non solo efficiente. Oltre ai libri di filosofia poi, cerco di comunicare in modi diversi, ricordando che la comunicazione è prima di tutto energia: mi esprimo con podcast e documentari; intervengo sui giornali; collaboro con musicisti e artisti».
Tra loro ci sono Björk e Ólafur Elíasson.
«Sì, ed è un grande privilegio. L’arte è importante non solo per raggiungere più persone ma perché è, letteralmente, la creazione di nuove realtà, e questo è ciò di cui ora abbiamo bisogno. Gli artisti si concentrano su questo, la filosofia tiene aperta la porta per farlo».
Come immagina il prossimo futuro?
«Penso a crisi politiche, legate a forze che definirei fasciste e che stanno emergendo in ogni parte del mondo come distorta reazione a quanto accade nell’economia, nella biosfera. Sarà una lotta enorme, ma poi entreremo in una fase più interessante, creativa. Possiamo farcela».
Dove trovare la forza?
«Gramsci parlava di “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”. Puoi stare male quanto vuoi, ma proprio per questo continuerai a spingere. Se potessi dare un consiglio sarebbe: cerca sempre dentro di te i sentimenti più coraggiosi, tutti li hanno. E si raggiungono solo incontrando ciò di cui hai paura. Il coraggio è il sentimento più importante in questo momento».