Specchio, 14 novembre 2021
La fabbrica delle campane del Papa
Il caro, vecchio suono delle campane che scandisce il tempo della giornata e le funzioni religiose ha una tradizione millenaria e un futuro legato, come ogni altra cosa, al potere dell’innovazione tecnologica. Se alla Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone costruiscono questi oggetti meravigliosi in tre mesi di lavorazione, secondo un rito millenario che si conclude con la preghiera al momento della colata, i nuovi sistemi praticati in altri Paesi garantiscono una campana pronta nel giro di una settimana. Un dilemma vero, per questa azienda antica dieci secoli situata ad Agnone, Alto Molise, che mediamente fabbrica una quarantina di campane di grandi dimensioni all’anno, dover scegliere fra la tradizione artigiana cui è legata la sua storia ed esigenze di mercato che piegano inesorabilmente in tutt’altra direzione.
I due fratelli Marinelli alla guida della fonderia fornitrice del Vaticano, Armando e Pasquale, non sono mai stati veramente insidiati da questo dubbio e hanno deciso che continueranno a fare le loro campane con metodi e materiali utilizzati per secoli: «Ho sessant’anni e mio fratello cinquanta, ci troviamo davanti a un bivio storico – dice Armando Marinelli -: cambiare tecnologia e rinunciare a un processo lunghissimo, che però rende ogni campana unica, oppure adottare macchine e materiali nuovi come hanno fatto belgi, francesi o austriaci, il che significherebbe dare un taglio a mille anni di storia».
Una scelta coraggiosa ma lungimirante, perché se è vero che la clientela, soprattutto oggi, preferirebbe una consegna più rapida dei canonici tre mesi (fino a un anno per le campane più grandi), è altrettanto vero che, spiegando i motivi dei tempi più lunghi, spesso il parroco capisce: «È successo con una chiesa americana a cui abbiamo illustrato le ragioni per cui ci volevano diversi mesi – racconta Marinelli -. Hanno capito e durante l’anno di lavorazione sono venuti ad Agnone due-tre volte per la loro campana che doveva partecipare al concerto a Indianapolis. C’erano anche alla preghiera recitata al momento della fusione».
Sì, perché una campana non è un semplice oggetto ornamentale, ha invece una funzione specifica che, per un credente, ha una valenza mistica precisa: «Noi costruiamo la voce di Dio, è un oggetto di fede, e quella preghiera (una cerimonia presieduta da un sacerdote che conclude la fabbricazione di tutte le campane Marinelli, ndr) fa parte del ciclo di lavorazione della campana».
La Santa Sede, per ragioni ovvie, è il cliente privilegiato della Pontificia Fonderia di Agnone, che per Giovanni Paolo II costruì una campana da donare all’Onu e che solo per basiliche e altre chiese della Capitale della cristianità ha fabbricato centinaia di campane, come la piccola di Santa Maria Maggiore: «È quella che viene fatta suonare durante la consacrazione di pane e vino – dice Marinelli -. È una campana nostra voluta proprio da Giovanni Paolo II, realizzata in dimensioni più grandi perché il Papa, come ci venne fatto sapere, stava perdendo un po’ l’udito».
Tutti gli otto strumenti della basilica di San Paolo vengono dalla fonderia agnonese, anche i più piccoli, che Giovanni XXIII volle mantenere perché, sono parole sue riportate da Marinelli, «sono come le pettegole, si sentono di più». Al momento di farle sentire al Pontefice, collegato telefonicamente dal Vaticano, le campane non erano ancora pronte, così l’allora titolare della fonderia, lo zio di Armando che insieme a suo padre, guidava la fabbrica di famiglia, pronunciò «la grande bugia», visto che al Papa vennero fatte sentire al telefono altre campane. Il Vicario di Cristo non poteva certo accorgersi della differenza e diede il suo placet.
Nell’azienda e nell’annesso museo che illustra con filmati e oggetti progettazione e produzione delle campane l’intera famiglia Marinelli, figli e moglie compresi, che perpetua così un’attività lunga iniziata mille anni fa, quando il lavoro obbligava i maestri della fusione a un’esistenza nomade. Erano loro a spostarsi fra città e paesi che volevano le loro campane, fondendo e scolpendo le decorazioni in loco. Una pratica proseguita fino al Dopoguerra, quando l’attività si concentrò fra le mura della fabbrica di Agnone.
«I nostri avi erano nomadi, andavano a fondere fuori porta spostandosi lungo i tratturi fra Puglie, Abruzzo e Centro Italia, unendosi alla transumanza per sfuggire al brigantaggio – dice Marinelli -. Così dal Medioevo fino alla fine dell’ultima guerra, quando si sono stabiliti ad Agnone con la produzione». A Roma naturalmente esistevano fonderie come quella dei Lucenti, dietro al Vaticano. A condurla, dal ’500, i Lucenti, che hanno chiuso l’attività una trentina d’anni fa. «Oggi al suo posto c’è un McDonald’s», dice Marinelli con una nota di amarezza nella voce per un pezzo di storia cancellato per sempre». Oggi che l’azienda di famiglia vende le sua campane in tutto il mondo, le logiche si fanno globali e la Pontificia Fonderia lavora con Indonesia, India, Stati Uniti, oltre con l’immenso mercato africano, nuovo serbatoio di fedeli e evocazioni rispetto a un Occidente secolarizzato e spiritualmente esangue. Congo e Guinea equatoriale sono già stati conquistati, ma c’era anche una grande fornitura che stava andando in porto in Tanzania, perduta a causa della pandemia: «Prima del lockdown dovevamo andarci per fare le campane di duecento chiese, poi si è fermato tutto».
Ora che il mercato internazionale si sta riaprendo e le richieste di preventivi stanno ripartendo, la fonderia di Agnone guarda al futuro forte della sua sapienza secolare e della scelta di tener duro sulle tecniche di lavorazione: «Dobbiamo far capire ai nostri clienti, e il fatto che ci capiscano è la prova della giustezza della nostra decisione di continuare a operare in questo modo, che una campana fatta coi metodi tradizionali ha un valore molto più alto di una campana fatta e finita in una settimana». Gli americani, che pure brillano per pragmatismo e naturale inclinazione alle novità, hanno compreso e hanno seguito le fasi di lavorazione prendendosi la briga di varcare l’oceano a più riprese pur di non perdersi i momenti più importanti. Che poi tutto questo avvenga nella città delle chiese, come Agnone viene chiamata in virtù delle sue quattordici parrocchie su circa cinquemila abitanti, ovviamente è tutt’altro che casuale. Che continui ad avvenire con tutti i crismi, dalla preparazione lunghissima alla preghiera finale, è la garanzia di un’eccellenza artigiana che affonda le sue radici nella Storia.