Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2021
Il raddoppio del Bosforo, «opera folle» della Turchia
Recep Tayyip Erdogan è un presidente ambizioso. Se l’ultima grande opera con cui vuole essere ricordato ama definirla lui stesso “Crazy project” (progetto folle), allora si tratta di qualcosa di veramente grandioso, o folle. Eppure l’infrastruttura potenzialmente più grande mai realizzata in Turchia, la più costosa, e probabilmente anche la più controversa, non lo ha dissuaso dal fermarsi e riflettere. Lo scorso luglio, presenziando all’inaugurazione dei lavori (per ora un atto simbolico)Erdogan ha precisato: l’Istanbul Kanal si farà.
Una nuova via per crescere di pìu
Il secondo canale del Bosforo, un tratto lungo 45 km, collegherà le acque del Mar di Marmara, e poi del Mediterraneo, a quelle del Mar Nero. Farà transitare oltre 160 navi al giorno. Istanbul diverrà così un’isola.
Agli occhi di Erdogan il secondo canale sarà la panacea di tanti mali: decongestionerà il Bosforo, permetterà un transito più rapido, senza lunghe attese, darà lavoro a molti turchi e a tante imprese, e porterà nuovi fondi alle casse dello Stato.
Certo, gli incidenti lungo lo stretto del Bosforo, un percorso in alcuni tratti tortuoso e con forti correnti, non sono mancati. Per percorrerlo alcune compagnie affittano manovratori ad hoc. Ma guardando ai numeri qualcosa non quadra. Le navi transitate attraverso il Bosforo nel 2007 erano state 56.606. L’anno scorso solo 38.404. Rispetto al passato la media di attesa prima di passare è scesa sensibilmente a 14 ore.
Perché mai, allora, le navi dovrebbero pagare un costo per transitare dal nuovo canale quando, secondo la Convenzione di Montreux, firmata nel 1936, il passaggio tra le due sponde di Istanbul è in sostanza gratuito?
«Certo la pandemia ha rallentato l’economia mondiale, e quindi anche il traffico marittimo. Ma la grande ripresa che si sta avverando richiede una rete infrastrutturale più potente di quella odierna; sul fronte dei trasporti, dei porti e dei punti di passaggio», ci spiega l’economista Hakan Yurdakul, membro del Consiglio turco per le politiche economiche presso la presidenza. Che aggiunge “L’industria turca secondo le ultime proiezioni avrà un maggior bisogno di materie prime, ma anche i Paesi che affacciano sul Mar Nero intensificheranno le loro attività».
La Turchia si spacca in due
Un punto di vista anche condivisibile. Ma il raddoppio del Bosforo non è più solo una questione economica. Ha spaccato la Turchia in due. Nel mentre i verdi non esitano a profetizzare una catastrofe ambientale. Per Ekrem Imamoglu, neo sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione turca, l’lstanbul Kanal non è nient’altro «che un grande progetto immobiliare». Se dovesse correre e vincere alle prossime elezioni la prima cosa che farebbe sarà sospenderne i lavori. I rivali di Erdogan hanno dalla loro buona parte dall’opinione pubblica. Esasperate dalla continua erosione del loro potere d’acquisto a causa della svalutazione della lira, stavolta molte famiglie non sono entusiaste per il Canale.
Peraltro un’infrastruttura del genere richiederà tutta una serie di opere che coinvolgono la metropoli. Bisognerà riconfigurare le strade di Istanbul, il sistema fognario, le linee elettriche e quelle del gas. E il costo? Se quello ufficiale è di 15 miliardi di dollari, diversi analisti oggi, citando la costruzione di altri tunnel e ponti, indicano un esborso complessivo fino a 35 miliardi. In altri termini il 5% del Pil nazionale. Chi pagherà tutto questo?
«Se guardiamo al progetto dobbiamo considerarlo nella sua interezza. Intendiamo usare una formula che si è rivelata vincente per diverse infrastrutture, quella del partenariato pubblico-privato. L’impulso sull’economia e sull’occupazione è evidente. Le infrastrutture sono state protagoniste della crescita nell’ultimo decennio», precisa Yurdakul. Ma se i potenziali appaltatori, comprese alcune società cinesi, stanno annusando l’affare, diverse banche turche appaiono reticenti a finanziare l’Istanbul Kanal.
L’economista Kerem Alkin, professore all’Instanbul Medipol University, parte da un’altra prospettiva. «Oggi il commercio mondiale vale 19 trilioni di dollari, che significano circa 15 trilioni di tonnellate di merci. Già nel 2030 il volume di merci salirà a 22-24 trilioni di tonn. Saranno necessarie linee di trasporto e logistica internazionali. Il Mar Nero si troverà su una rotta cinese, registrerà un enorme potenziale di nuove spedizioni: il Bosforo sarà inadeguato, 100.000 navi l’anno dovranno passare dai canali turchi».
Nel mentre la speculazione è già partita. Nell’area interessata dalla costruzione del canale, in pochi anni il prezzo per metro quadrato è passato in alcuni punti da 25 a 800 dollari. L’enorme quartiere residenziale che ospiterà mezzo milione di persone appare un boccone molto appetibile per i grandi costruttori turchi, tra i quali si contano diversi membri dell’entourage di Erdogan.
Il pericolo di uscire dall’accordo
Vi è inoltre un altro grande interrogativo. All’inizio di quest’anno, dopo che Erdogan ha revocato la partecipazione della Turchia a una convenzione sulla protezione delle donne dalla violenza, il capo del parlamento turco ha osservato che il presidente potrebbe fare lo stesso con Montreux. La vicenda, come ci spiega Edoardo Greppi, professore di diritto internazionale all’Università di Torino, non è così semplice. «Secondo la Convenzione di Montreux il diritto di transito libero attraverso il Bosforo,sostanzialmente privo di significativi oneri fiscali per le navi, è un obbligo giuridico, dotato di efficacia vincolante. È tuttavia contemplata una serie di possibilità di recesso. Erdogan potrebbe denunciare il trattato due anni prima della scadenza quinquennale». Quindi in teoria vi sarebbe anche la possibilità che Erdogan per tempo comunichi un recesso, ma la trafila sarebbe decisamente più lunga. «La procedura prevista dall’art. 28 della Convenzione – continua il professore Greppi – non determina la conseguenza che la denuncia del trattato dia luogo a immediato recesso. Vi è difatti un obbligo a negoziare. Nel testo si parla anche della possibilità di una nuova Convenzione”.
Non sarebbe dunque una strada rapida né facile. A meno che Erdogan optasse per la forza. Ritirandosi unilateralmente da Montreux. «La possibilità di sanzionare questo comportamento da parte dell’ordinamento internazionale è, a mio avviso, piuttosto difficile, – conclude Greppi –. Si tratta di uno di quei casi di regimi autoritari che, a fronte del perseguimento dei propri interessi politici, strategici ed economici, non esitano a violare norme internazionali. L’annessione della Crimea da parte della Russia è stata una violazione molto grave. Ma la comunità internazionale non ha praticamente reagito. Per altro, il recesso turco da Montreux danneggerebbe in primo luogo i Paesi che si affacciano sul Mar Nero».
Una catastrofe ambientale?
Ultimo, ma non per importanza, il tema ambientale.Qui le divisioni si accentuano ancor di più. Per il Governo gli studi sono stati effettuati in modo approfondito e non evidenziano problemi. Sul fronte opposto ormai diversi accademici, tecnici e ambientalisti parlano di una potenziale catastrofe. A loro avviso il canale potrebbe distruggere fino a tre quarti dei bacini idrici di Istanbul. Non solo, per costruire strade, ponti e quartieri residenziali si rischia di radere gran parte della foresta intorno a Instanbul. Ma è la querelle sulle acque ad alzare ulteriormente i toni. Il nuovo canale consentirebbe a molta più acqua del Mar Nero, che è meno salata e ricca di composti organici, di sgorgare nel Marmara, impoverendo il suo ossigeno e uccidendo gran parte della sua vita marina, lamentano gli ambientalisti. Pensate a Suez o a Panama. Nessuna profezia ambientalista si è avverata, replicano gli esperti del Governo
Tante supposizioni. Ancor prima di esser scavato, l’Istanbul Kanal è già divenuto il “Canale della discordia”.