il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2021
Biografia di Marina Cicogna raccontata da lei stessa
Marina Cicogna parla e tratta Marlon Brando e Marilyn Monroe come comuni vicini di casa. Vicini di casa con cui la confidenza va oltre il buongiorno e buonasera, ma con la giusta distanza. (“Marlon? Fuori dal set non aveva fascino. Marilyn? Poneva solo domande”).
Lei è nata e cresciuta in un tempo da cartolina in bianco e nero, quando il Lido di Venezia non era ancora una delle passerelle del cinema mondiale, ma giusto una stazione balneare ambita, elegante, aristocratica, suggestiva, replicata, con accenti snob. Lei è sempre quella cartolina. Nel tono della voce sicuro, celato nelle emozioni più alte, come quando parla del tumore o del suo rapporto con Gian Maria Volonté (“mi suscitava tenerezza”); da cartolina nell’abbigliamento impeccabile e affascinante nonostante sia in camicia bianca e jeans; da cartolina nella casa di un ultimo piano romano, con grandi vetrate che sembrano risplendere di un sole primaverile pure in un autunno inoltrato. (“Se le persone mi invidiano? Non credo, e comunque l’invidia è dei cretini”).
Da poco è uscito un documentario (Marina Cicogna. La vita e tutto il resto, regia di Andrea Bettinetti): un’ora e mezzo intensa, con i toni giusti e contributi all’altezza (da Alessandro Michele a Jeremy Irons). Ma a stare con lei si ha la sensazione che per raccontare questa donna intrepida, in grado di conquistare un Oscar da produttrice a trentasei anni (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto) non basterebbero neanche le diciotto stagioni di Grey’s anatomy.
Cosa ha provato nel riguardare il documentario?
Rispetto alla vita sono abbastanza strana nelle reazioni: quando prendo un impegno mi dedico come se fosse la mia professione da sempre; (sorride) solo la recitazione mi è ostile, per il resto vado senza problemi; (ci pensa) davanti alle immagini a volte mi sono trovata bellissima, in altri casi orrenda.
Si è commossa?
No, però durante la proiezione ha pianto chi era intorno a me. E parlo di gente tosta; comunque erano anni che mi chiedevano di girarlo.
Come mai ha accettato?
Mi piace lo stile di Bettinetti, ma poco dopo l’inizio delle riprese è scoppiato il Covid e ho scoperto di avere un tumore: siamo stati costretti a cambiare qualche piano.
Nella vita cosa le suscita imbarazzo?
(Pausa) Quando ho reazioni non controllate e poi sono costretta a scusarmi; (cambia tono) penso ad alcune liti abbastanza pesanti scoppiate il sabato sera a casa di Francesco Rosi; oppure ricordo un’estate sulla barca di Valentino, a Saint Tropez, quando a Giancarlo Giammetti (storico socio di Valentino), uomo fondamentalmente maleducato, dissi “smettila, perché forse tra duecento anni mi potrai parlare in questa maniera”. Subito dopo averla pronunciata ho pensato: “Ma come mi vengono ’ste cazzate?”.
Rispetto ai comportamenti degli altri?
(Sorride) Ornella Vanoni ha un cane e secondo lei non bisogna insegnargli nulla: combina di tutto, ovunque.
La Vanoni la definisce snob.
Nel documentario non solo lei.
E…
Non lo so, cosa vuol dire? (Pausa) Dentro di me non credo (altra pausa, ci pensa). Conoscevo una nobile gentilissima con i domestici, le persone modeste e la gente normale; poco cortese con chi si dava delle arie. Forse anche io sono un po’ così: non amo chi si ritiene importante perché nella fattispecie, in ogni minuto della vita, nessuno di noi lo è.
La temono?
Sì, evidentemente ho una personalità abbastanza forte. L’ho capito nel corso degli anni.
Ha picchiato Patroni Griffi.
(Sorride) Giravamo a Roma, con Peppino che da giorni mi faceva impazzire con ritardi e richieste, fino a quando ho reagito; ricordo Enrico Lucherini (storico ufficio stampa) seduto nel cortile che gridava “hai ragione, hai ragione!”.
L’avvocato Agnelli la temeva?
Non temeva nessuno; anzi, forse solo sua moglie. Io e lui siamo sempre stati in armonia, entrambi veloci nelle risposte.
Attratti l’uno dall’altra?
Più no che sì; giusto una sera, al Grand Hotel, mentre stavano partendo per l’India, vennero a trovarmi lui e la moglie in stanza perché avevo l’influenza. Giusto qualche chiacchiera, e andarono via; poco dopo tornò solo: lì c’è stato l’unico suo tentativo, ma è stato un momento (resta in silenzio).
C’è un “ma”…
Lui considerava quasi doveroso rendersi disponibile, e lo dico in generale, mentre nel mio caso eravamo amici e si sarebbe divertito.
E lei?
Forse per un secondo. Poi ho pensato a Marella e ho detto di no.
Torniamo al documentario: secondo suo padre chi si occupava di cinema era un ladro.
Nel primo dopoguerra c’era Vittorio De Sica che andava in giro con la sceneggiatura di Ladri di biciclette solo che David O. Selznick (celeberrimo produttore) gli proponeva Cary Grant come protagonista e non voleva; fino a quando arrivò a mio padre, allora giovane banchiere, e accettò le condizioni di Vittorio.
A suo padre è andata bene.
Alla prima proiezione gli prese un colpo: “Questo è un film comunista!”. Poi De Sica lo convinse ad andare avanti e sempre papà, successivamente, comperò La vita è meravigliosa per distribuirlo in Italia, fino a quando l’amministratore della sua società prese i soldi e scappò in Argentina. Lì nacque la storia dei ladri.
E per lei…
Non è esattamente così, c’era piuttosto la tendenza ad arrangiarsi: quando Florinda (Bolkan, sua compagna per molti anni) doveva girare Cari genitori, pellicola prodotta da Ponti, non c’era nessuno disponibile a fornirle i vestiti: siccome eravamo amici di Valentino, lui si offrì. Finite le riprese, dopo l’uscita, Florinda vinse il David e lo stesso Valentino ci disse che non gli avevano saldato il conto. Mandai un messaggio a Ponti: “Se non chiude la questione, alla cerimonia del David, Florinda rivelerà a tutti il problema”. Dopo ventiquattr’ore è arrivato il saldo.
Ha sofferto a essere l’unica donna in una realtà maschile?
Non ci pensavo; ricordo Mario Cecchi Gori quando venne nel mio ufficio: si sedette in poltrona e rimase in silenzio, a guardarmi, come ad aspettare l’arrivo di un uomo.
Lei giovane.
Ventisette anni. E Cecchi Gori aveva un caratterino: gli piacevano molto le donne e in quel periodo aveva una cotta per Lisa Gastoni; (ci ripensa) la questione uomo-donna non l’ho mai considerata, guardo sole alle persone.
Si è mai sentita femminista?
Sì, però non ho mai pensato a lottare per questo; (pausa) sono amica di Asia Argento e capisco la sua denuncia a Weinstein, personaggio pessimo, al quale avrei dato un calcio nel culo e negli stinchi. Faceva schifo. E non l’ho mai frequentato nonostante gli inviti e le occasioni.
Però…
Non credo alle denunce dopo vent’anni, anche se tempo fa si aveva paura a ribellarsi.
Dopo Weinstein negli Stati Uniti esiste la figura del “sex coaching” per pianificare le scene di sesso.
C’era Marilyn Monroe che non ascoltava mai le indicazioni del regista ma seguiva solo quelle del coach: tutti gli attori diventavano matti; comunque mi sembra abbastanza inutile.
Ha conosciuto tutti i grandi divi: di chi ha subito di più il fascino?
Non Brando: una sera è stato pure ospite da me a Venezia, è quasi sempre rimasto seduto da una parte e nessuno si è accorto di lui. Il più attraente è Alain Delon: ha una personalità fortissima, un uomo maschile ma con dolcezza.
Ha smontato Brando.
Ci sono persone bellissime, con talento, che diventano vive solo davanti alla macchina da presa, poi nella vita non hanno lo stesso carisma. Questa massima può essere vista pure all’incontrario; (ci pensa) Silvia Monti, ragazza bellissima, con la macchina da presa si perdeva; Montgomery Clift era affascinante, tormentato, intelligente, bizzarro; (torna a prima) Marlon era chiuso, in mezzo alla folla si perdeva, mentre Delon non potevi perderlo d’occhio.
Marilyn fuori dal set.
Carina. Compensava la sua insicurezza attraverso le domande: chiedeva di tutto, a ripetizione e per questo, escluso Billy Wilder, non ha mai girato due film con lo stesso regista. La giudicavano insopportabile. Lauren Bacall voleva strozzarla sul set di Come sposare un milionario.
A lei la Monroe cosa ha chiesto?
Com’erano gli uomini italiani perché stava per sposare Joe DiMaggio.
La trovava affascinante?
Sì, come tutte le persone differenti dalle altre; stessa storia per Greta Garbo o Marlene Dietrich, donna per niente simpatica.
Nel cinema italiano attuale quale attore considera unico?
Laura Morante, ma le poche volte che ci siamo incontrate ha fatto di tutto pur di non parlarmi; poi sono amica di Valeria Golino. Forse in questi momenti mi affascinano più le attrici inglesi come Judy Dench, sublime, o Kate Winslet.
Nel documentario parla di Volonté con tenerezza.
Gian Maria ha avuto un’infanzia difficile, un fratello morto in prigione, lui stesso passava periodi in cui era abbastanza sereno e altri in cui diventava violento. Ma in lui sentivo la tenerezza. Siamo sempre stati amici.
L’ha mollata in Metti, una sera a cena.
Dopo mi ha chiamato tutti i giorni per accertarsi se avessi risolto il problema; (sorride) normalmente, quando arrivavano i produttori sul set, magari Cristanti o De Laurentiis, si chiudeva in camerino e dava indicazioni perentorie: “Avvertitemi quando sono andati via”. Mentre con me il rapporto era intenso, umano e non è mai stato influenzato dal mio essere donna proveniente da una famiglia aristocratica.
Neanche per il differente orientamento politico?
No, forse compensavo la sua insicurezza.
Ha mai temuto che si potesse perdere proprio per via della politica?
Gian Maria poteva cadere su qualsiasi cazzata, ma cercava la sua voglia di vivere in differenti forme, non solo sul set. E si manifestava con straordinari momenti di follia.
Zeffirelli l’accusò di comunismo.
Più che altro per lui con il cinema tradivo le mie radici, anche se entrambi i miei genitori erano socialisti.
E lei?
Mai stata di sinistra.
Neanche socialista?
Mi sono disamorata dei socialisti quando ho iniziato a frequentare i salotti romani con Craxi protagonista: terrificanti.
Perché?
Pieni di mignotte.
Nani e ballerine.
Parliamo tanto di Berlusconi, ma era la stessa roba: tutto nasce da lì; (pausa) si sentiva l’odore di un sistema poco limpido.
Un leader politico che l’ha colpita.
Non sono mai stata affascinata dalla politica, ma un giorno ho assistito Andreotti mentre inaugurava due diverse manifestazioni: una la mattina e l’altra il pomeriggio. Due appuntamenti diametralmente differenti in quanto ad argomento, eppure in entrambi i casi è stato perfetto, preparatissimo; (sorride) in una serata da Valentino ho conosciuto Berlusconi, uomo simpatico, ma il suo era ed è un diverso mestiere.
Dell’invidia altrui cosa ne pensa?
Non credo di essere una persona soggetta, non ne vedo il motivo, ma se c’è, penso che sono solo dei cretini.
Si guarda allo specchio, e…?
Non vedo una 87enne e spero di tirare avanti almeno un po’ in questa maniera, di non subire una terribile decadenza fisica: ancora cammino dritta e per la mia età è l’aspetto più raro. È una fortuna, ma anche una mia scelta. Per il resto, mi manca giusto la possibilità di poter sciare, a Cortina, all’alba. Era il massimo.