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 2021  novembre 14 Domenica calendario

Argentina, voglia di emigrare

Miguel Pazos inizia a lavorare nel suo negozio di alimentari nel “microcentro” di Buenos Aires tutti i giorni alle 6.30, ben prima dell’apertura della saracinesca. Ha bisogno di almeno un’ora per modificare il prezziario; con un’inflazione salita al 53% su base annua deve attualizzare tutto costantemente se non vuole lavorare in perdita. Un litro di latte, una scatola di tonno, l’acqua minerale può aumentare anche tre volte al mese, i clienti si lamentano, ma sanno che il negoziante è solo l’ultimo anello della catena e anche lui non può fare molto per cambiare la situazione. «Siamo qui da 40 anni, i clienti sanno che siamo obbligati a fare questo, ma è triste vedere famiglie che smettono di comprare o fanno mille calcoli prima di decidere se permettersi il lusso di un bottiglia di vino per il fine settimana». Come se non bastasse, la soluzione pensata dal governo è finita per colpire proprio i piccoli commercianti. Ai primi di ottobre è stata diramata una nuova lista di 1.300 “prodotti congelati”, che devono cioè essere venduti dalle grandi catene a un prezzo calmierato, pena multe severe o la chiusura dei locali. All’inizio erano beni di primissima necessità come riso, burro, olio o pelati, ma poi sono stati inclusi shampoo di marca, birre di produzione nazionale, persino i superalcolici. Le famiglie, alla disperata ricerca di soluzioni per arrivare a fine mese, vanno a fare la spesa lì attratti da questi prezzi, i negozi di quartiere soffrono.
Miguel preferisce non dare la colpa ai peronisti e punta tutto sul rapporto diretto con la clientela, molti dei quali pagano solo a fine mese, a volte in rate, come si faceva anni fa. «L’inflazione è un’eredità del governo precedente di Mauricio Macri, al presidente attuale è capitata pure la pandemia, è logico che sia crollato tutto».
L’Argentina che vota oggi per innovare la metà del Parlamento si trova, di nuovo, nel mezzo di una grave crisi economica e il futuro non è promettente. Quattro famiglie su dieci vivono sotto la soglia della povertà e la metà dei giovani soffre «insicurezza alimentare». Ragazzi che non riescono a mangiare due volte al giorno, spesso vanno a scuola a digiuno, le mense popolari non sono mai state così piene dai tempi della crisi finanziaria del 2002, quando il Paese entrò in default con il carosello di cinque presidenti in meno di un mese. L’università privata Uade ha condotto uno studio per sapere le aspettative di oltre duemila giovani di classe media tra i 15 ai 24 anni in tutto il Paese. Sette su dieci hanno detto che sarebbero disposti ad emigrare se avessero la possibilità. Molti rifarebbero, così, il viaggio dei loro nonni scappati dalla fame nell’Europa del secondo dopoguerra. «La loro principale preoccupazione– spiega il ricercatore Nicolas Rotelli – riguarda il loro sviluppo professionale, date le condizioni generali del Paese. Ci dicono di essere scoraggiati perché temono che non riusciranno a trovare un lavoro dopo l’università, tanto meno formare la famiglia. Per questo sarebbero pronti a cogliere offerte dall’estero e molti le cercano già alla fine del liceo».
Giovani disincantati che sono oggi un target preferenziale dei partiti, fin dalle superiori. A 16 e 17 anni, infatti, possono votare; quando un gruppo politico riesce a penetrare in una scuola può aspirare a catturare un discreto numero di elettori. L’opposizione accusa i peronisti di voler indottrinare i ragazzi, fin dentro le aule. È diventato virale il video dello scontro verbale tra una docente simpatizzante di Cristina Kirchner e uno studente che accusava il governo di corruzione. «Davvero – gli gridava l’insegnante – pensi che ai partiti di destra interessi aiutare i ragazzi che non hanno i capelli biondi e gli occhi azzurri ma sono scuri e poveri come te?». L’opposizione l’ha condannata, per il ministro dell’Istruzione si è trattato di un «positivo scambio di opinioni per far avvicinare i ragazzi alla politica».
Un altro tema centrale della campagna è stata l’insicurezza. Durante il lockdown del 2020 (Buenos Aires è stata “chiusa” per 220 giorni, seconda solo a Melbourne per durata della quarantena sanitaria) gli indici di criminalità sono crollati e il governo ha presentato questi dati come un successo della sua politica di contenimento del delitto. Ma è bastato che si riaprissero le principali attività perché esplodessero di nuovo furti, rapine ed omicidi nelle grandi città. A pochi giorni dal voto un edicolante della periferia di Buenos Aires è stato freddato durante una rapina da un ventenne pregiudicato che ha agito assieme a una complice 15enne. Gli abitanti del quartiere, stanchi del continuo ripetersi di fatti del genere, hanno preso d’assalto il commissariato. Il ministro di sicurezza Anibal Fernandez ha tagliato corto. «È sbagliato politicizzare episodi di delinquenza comune, succedono in tutti i paesi». Se il voto di oggi confermerà la tendenza delle primarie obbligatorie di agosto, l’opposizione dovrebbe riuscire a conquistare la maggioranza al Senato e diventare il primo blocco alla Camera. Uno scenario del genere complicherebbe non poco la vita del presidente Alberto Fernandez, a cui mancano due anni di mandato. Nel 2022 il governo deve necessariamente trovare un accordo per il pagamento del debito di 19 miliardi di dollari contratto con il Fmi, le cui rate in scadenza sono state sospese negli ultimi due anni. La sorpresa annunciata di queste elezioni, invece, è Javier Milei, un ex portiere e musicista rock convertito in analista e ospite fisso dei talk show, che ha fondato un partito «anti-sistema e libertario», auspicando l’eliminazione della Banca Centrale e la riduzione dello Stato nell’economia. Giubbotto di pelle e sempre spettinato, vicino a complottisti e no-vax, è popolare tra i giovanissimi e punta ad essere una terza opzione tra peronismo e anti-peronismo. Solo il tempo dirà se sarà una meteora o diventerà un protagonista nella turbolenta politica argentina.