la Repubblica, 14 novembre 2021
La diabolica perseveranza del rigorista
E se una notte in Irlanda un rigore…un incipit così potrebbe spezzare il racconto sia a Calvino che a Mancini. Un altro inceppo nella trama e s’allontana il lieto fine: ci sarà una volta in Qatar? Intanto, c’era una volta lo specialista, Jorginho. È un effetto riconoscibile, forse addirittura prevedibile, anche se può sembrare senno di poi. Quando si è bravi in una cosa, si fa filotto nell’eseguirla come si deve, capita di diventare improvvisamente altrettanto compulsivi nello sbagliarla.
L’errore chiama errore proprio perché non lo riconosce. Affronti un estraneo, continui a scrutarlo, ma più lo fai e più perdi la certezza di te. Dicono: gli si è rotto qualcosa. Sì, lo specchio. Cambi pettinatura, addirittura colore dei capelli, stai sempre peggio di prima.
Jorginho rigorista azzurro si è fermato a Wembley. Non c’è due senza tre, venerdì sera ha fatto terno. Martin Palermo, centravanti argentino, ci riuscì nella stessa partita. A quota due ci sono campioni come Pirlo, Altobelli, Beccalossi, Sergio Ramos. Tutti specialisti, finché non lo sono più. Fugge l’attimo, alto il pallone. Il peccato è non credere nella propria decisione (che sia la logica “ tiro forte e vicino a quel palo lì” o la scapricciata “ mo’ je faccio er cucchiaio”).
Il calciatore non lo capisce, di aver perso il tocco. Ha il coraggio perverso dell’insistenza. Tocca all’allenatore evitarla. Mancini è stato perfetto fin lì, stesso confine: Wembley. Poi ha perso, anche lui, quel tocco spiazzante, l’audacia della diversità: è facile essere differenti dal passato altrui, ma non dal proprio.
Mettici la trappola della riconoscenza (qualche inguardabile campione d’Europa lasciato in campo) e l’enigma del centravanti irrisolto, riprovando con nomi che in quello spazio non entrano. E allora, se una notte in Irlanda un rigore? Più facile essere eversivi indicandone cinque a fine incontro che uno solo durante. Eppur si deve. La Nazionale sembra avere idee originali sulle punizioni, meno sui rigori. Vale lo stesso fondamento psicologico: decidere prima e attenersi.
Come? Lo specialista è fuori uso, puntiamo sulla specialità del caso. Non l’uomo, ma la situazione. Tiri chi il rigore l’ha provocato: si sentirà artefice del destino, galvanizzato (sarebbe stato Berardi). Oppure, tiri chi ha già la coscienza a posto per aver influito sul risultato (venerdì, Di Lorenzo). Terza via: il capitano, prima che affondi la nave. Ma si ricordino, Mancini e la critica ai cancelli: malissimo che andasse avrà comunque un secondo rigore, chiamato play-off.