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 2021  novembre 14 Domenica calendario

Come è finita Cop26

 Alla fine Cop26 si è conclusa come una riunione di condominio, che dopo ore di recriminazioni ha chiuso l’assemblea all’unanimità. Tutti i 197 Paesi dovevano adottare il Patto climatico di Glasgow. Quelli dei superattici – Stati Uniti e Unione Europea – sono chiamati a pagare una quota più alta, però gli sguardi sono rivolti a loro quando si tratta di decidere, perché hanno più millesimi di tutti. E poi c’è il nuovo inquilino – la Cina – che sarà pure un parvenu ma la sua economia ora pesa e vuole essere protagonista. Alla fine, esce allo scoperto l’indiano – che pretende «la giusta quota di carbon budget» – e fa inserire un emendamento sul carbone dell’ultimo minuto che delude la stragrande maggioranza dei presenti, costretti ad ingoiare il rospo pur di chiudere. 
Così si è annacquato ancor di più il rivoluzionario paragrafo sul carbone, principale fonte di emissioni di gas serra, e i sussidi ai combustibili fossili: non si parla più di graduale «eliminazione», bensì di «riduzione». Cop26 si chiude con una mezza vittoria dei Paesi emergenti – India, Cina, Sudafrica, Nigeria – ma anche dei grandi produttori di combustili fossili, come Australia e Arabia Saudita. Nessuno se l’è sentita di mettere in discussione apertamente il punto chiave – non superare 1,5° di riscaldamento globale a fine secolo – ma sarà dura raggiungere l’obiettivo con queste premesse.
Il risultato migliore del vertice è il segnale di accelerazione che costringe nel 2022 i Paesi a tornare al tavolo con piani più ambiziosi di tagli alle emissioni a medio termine e l’impegno a fare e dare di più, in termini di fondi e know how, ai Paesi vulnerabili. 
«Non si poteva fare di più», dice il presidente di Cop26 Alok Sharma, che si scusa più volte, con il groppo in gola e quasi in lacrime, esausto dopo tredici giorni di negoziati. Compreso ieri, trascorso quasi sempre in piedi, in frenetiche trattative bilaterali. Non s’era mai visto un «mercato» simile alle precedenti Cop, di distanziamento manco a parlarne. E meno male che c’era John Kerry. È stato lui il vero architetto dell’accordo finale, affiancato dal vice-presidente dell’Ue e dal ministro italiano della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Mentre nella sala plenaria dell’Exposition center gli altri delegati si radunavano in capannelli per scambiarsi opinioni o segni di stanchezza, Kerry sapeva a chi puntare: l’imperscrutabile capo della delegazione cinese. Hanno discusso per quasi un’ora, in piedi, scuotendo di tanto in tanto il capo. L’americano abbracciava tutti, il cinese rimaneva immobile.
Il risultato? Aprendo la prima plenaria (informale), la Cina ha concesso: «L’attuale bozza non è perfetta ma la mia squadra non ha intenzione di riaprirla». Restava da convincere Bhupender Yadav, ministro dell’Ambiente dell’India, che per inciso ha in progetto di aprire 55 nuove miniere di carbone e di ampliare 193 già esistenti negli stati centrali del Paese, in maggioranza su un territorio che storicamente appartiene alle comunità indigene.
Quindi è arrivato quell’emendamento, letto in extremis durante la Plenaria finale, con «grande disappunto» di molti Pesi minori – dalla Svizzera ad Antigua – che si sono lamentati per la «scarsa trasparenza» delle trattative. Ma alla fine hanno dato il via libera. Uno ad uno hanno detto «sì» tutti, compresi i piccoli Paesi insulari e il gruppo delle 77 nazioni più povere, guidate dal ministro della Guinea, che hanno ottenuto la promessa di un raddoppio della finanza per l’adattamento agli impatti del cambiamento climatico da qui al 2025. «C’è ancora molto da fare sul tema delle perdite e i danni e nei prossimi anni cercheremo soluzioni» ha detto la rappresentante delle isole Marshall, Tina Stege. «Ma non posso tornare anche questa volta a casa dai miei figli e dir loro che non siamo riusciti a combinare nulla». 
I riferimenti a figli e nipoti sono continui. È un tema su cui l’europeo Timmermans ama tornare spesso e lo ha fatto anche ieri sera: «Voglio che tutti voi qui pensiate solo per un minuto a una persona nella vostra vita che sarà ancora in circolazione nel 2030, a come vivrà se non ci atteniamo agli 1,5° oggi… Non ci perdoneranno se li deludiamo oggi». Esausto, con la voce rotta, Sharma chiude senza allegria: «Abbiamo mantenuto 1.5° a portata di mano, ma l’impulso è debole».

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1 Cosa significa il compromesso sul carbone?
È stato un colpo di scena finale per alcuni inatteso, ma chi conosce bene i negoziati si aspettava qualcosa di simile. I cinesi fino all’ultimo sembravano quelli da convincere per far approvare il testo ma alla fine hanno lasciato uscire allo scoperto l’India che ha puntato i piedi. Anche se annacquato, però, nel Patto di Glasgow per la prima volta c’è un impegno globale ad «intensificare gli sforzi verso la riduzione (e non più eliminazione come nella bozza, ndr) del carbone senza sistemi di cattura (CO2) e la fine dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti».

2 Qual è il risultato migliore di questa COP?
«È il segnale di accelerazione rispetto ai tagli alle emissioni nel breve periodo: nel 2022 i Paesi devono tornare al tavolo con piani per il 2030 più ambiziosi — spiega l’analista italiano Luca Bergamaschi, cofondatore della think tank ECCO —. Il Patto è un buon testo di compromesso, un consenso di questa portata non era scontato». Concorda anche la direttrice di Oxfam International, Gabriela Bucher: «Il lavoro inizia ora. I grandi emettitori, in particolare i Paesi ricchi, devono ascoltare la chiamata e allineare i loro obiettivi per darci le migliori possibilità di mantenere 1,5° a portata di mano. Nonostante anni di colloqui, le emissioni continuano ad aumentare».

3 E il risultato peggiore?
«La COP26 ha mostrato un nuovo livello di riconoscimento politico della necessità di un maggiore sostegno ai Paesi vulnerabili per affrontare gli impatti climatici devastanti. Ma ha lasciato il compito chiave di mettere i soldi sul tavolo alla prossima COP in Egitto — spiega Alex Scott, analista della think tank europea E3G —. Ci sono stati alcuni progressi con la decisione sul raddoppio dei finanziamenti per l’adattamento entro il 2025 e il finanziamento di una rete per aiutare i Paesi a elaborare piani per affrontare perdite e danni. Ma i Paesi sviluppati non hanno accettato di proporre uno strumento di finanziamento per affrontare adeguatamente perdite e danni devastanti».

4 Qual è stato il ruolo dell’Italia, co-organizzatrice di COP26?
«L’Italia ha giocato, forse per la prima volta, un vero ruolo di leadership internazionale — assicura Luca Bergamaschi —. Sia prima della COP26, preparando il terreno con il consenso del G20, che a Glasgow. La sfida dell’Italia è ora riuscire a tradurre questa leadership internazionale nell’attuazione domestica e in una posizione ambiziosa sul pacchetto europeo “Fit for 55” dei prossimi 10 anni e sulla tassonomia per definire gli investimenti verdi».

5 Quanto inquina Cop26?
Si stima che il vertice abbia generato emissioni equivalenti a circa 102.500 tonnellate di anidride carbonica, secondo una ricerca pubblicata da The Scotsman.