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 2021  novembre 13 Sabato calendario

Orsi & tori

Da regina di Wall Street, per decenni la più grande capitalizzazione del mondo, ad azienda residuale, divisa in tre società, perchè tutto non vada in fumo: sanità, energia, aviazione. La più grande conglomerata del mondo, il cui segreto del grandissimo successo era proprio la diversificazione quale esempio mirabile di come almeno una decina di settori potessero non solo convivere, ma essere assolutamente sinergici, non c’è più. General Electric lascia il posto sul listino a tre società nate dalla scissione, per il tentativo dell’attuale presidente Larry Culp di salvare il salvabile. Come è stato possibile questo disastro? Prima di tutto come è stato possibile il grande successo e poi negli ultimi 15-20 l’inesorabile decadenza?
I creatori del grande successo sono stati due: il mitico presidente Jack Welch, che ha lasciato la terra da qualche anno, e il vicepresidente esecutivo, Paolo Fresco, che aveva
lasciato Ge vari anni fa per andare a presiedere la Fiat.
L’ho colto, Paolo, che stava andando da New York a Long Island e la conversazione (con il tu derivante da una lunghissima amicizia) oltre a essere un racconto a un tempo avvincente e tristissimo, è in realtà una formidabile lezione per i manager di tutto il mondo.
Caro Paolo, immagino la tua tristezza…
Sì, sono di una tristezza infinita. Con Jack abbiamo lavorato duramente ma con grandissima soddisfazione. Quindi sono fiero di aver partecipato alla crescita di un vero colosso, sono fiero della trasformazione dello stesso da nazionale a globale. E ora c’è la dimostrazione della caducità delle cose umane: insomma, è più facile distruggere che costruire. Questo lo sapevo, ma non pensavo succedesse qui.

Partiamo dalla storia di successo, di come siete diventati un tandem straordinario tu e Jack. In fin dei conti, quanto tu sei arrivato, General Electric non era la formidabile Ge che avete lasciato.
Sì, hai ragione: quando sono arrivato, Ge era già un vincitore indiscusso negli Stati Uniti. Quello che mancava era l’espansione internazionale. Solo nei motori per gli aerei operava a livello internazionale, perché il mercato era di per sé globale fin dall’inizio; nel settore i concorrenti erano globali e quindi non c’è dubbio che quello era il terreno di gioco. Noi però avevano la tecnologia giusta e la capacità imprenditoriale per vincere. Anche nella produzione di vari tipi di plastica avevamo una dimensione globale; il resto delle attività erano confinati negli Stati Uniti. Senza falsa modestia, sono stato io a scegliere la strada internazionale. E non è stato automatico, perché Jack aveva la priorità di risanare parti dell’attività domestica. Io invece vivevo con la testa al mercato mondiale; ogni giorno vedevo per esempio che la Siemens cresceva sia nel Power Systems sia nel campo della meccanica. Era un fortissimo concorrente per noi, il più bravo; concorrente era anche Westinghouse, ma erano produttori per così dire locali; all’inizio non avevamo compreso il messaggio che il concorrente era straniero ma che volevano venire in Usa e quindi rischiavamo una forte competizione in casa; per questo li consideravamo quasi invasori della patria…
Quindi, quando nel ’60 siete partiti praticamente per il resto del mondo avevate un solo primato vero…
E tutto ciò metteva a rischio anche il primato americano, perchè nel frattempo il mercato diventava globale.
Ma tu che in anno sei entrato in General Electric?
Nel 62. Neanche trentenne. Ho cominciato in Italia, a Milano, come avvocato interno alla Cge, che era la filiale italiana di General Electric. Siccome mi piacevano le negoziazioni e la filiale doveva vendere le attività degli elettrodomestici bianchi non avendo la dimensione per competere con Zanussi e Merloni, mi sono fatto notare per questo ruolo. E seguendo la logica della casa madre, mi hanno incaricato di fare acquisizioni nel settore dove eravamo competitivi, come le turbine dei motori elettrici. Così abbiamo comprato la San Giorgio. E per merito sono diventato il capo della filiale italiana.
E Welch era già il capo in America?
No, prima c’era un altro capo e prima che Jack arrivasse al vertice ce n’è stato un altro. Quando Jack è diventato il numero uno, io ero già responsabile del Medio Oriente. Mi dissero che riuscivo a vedere il mondo in maniera tridimensionale e non bidimensionale come buona parte della leadership di Ge che era molto domestica. Erano già molto bravi, ma in America. Ho avuto la fortuna di poter lanciare la globalizzazione, ma non subito perchè c’erano priorità di consolidamento. L’internazionalizzazione è avvenuta attraverso acquisizioni. Abbiamo comprato la Cgr Thompson francese in cambio dei nostri prodotti di consumo, come i televisori e le radio, che per noi rappresentavano un mercato superato, di scarso contenuto tecnologico. Così ci siamo specializzati in 12 o 13 attività nelle quali avevamo una predominanza mondiale oppure potevamo raggiungerla con acquisizioni. L’acquisto più straordinario e questo quello del Nuovo Pignone di Firenze. Ovviamente la nostra capitalizzazione ha preso a salire in maniera verticale. Fino a diventare la maggiore capitalizzazione del mondo, come Microsoft adesso.
A questo punto ti sei è trasferito in America…
Durante la trasformazione della Ge sono diventato il leader delle acquisizioni mondiali. Ero a Londra da tempo e a un certo punto Welch mi chiese di entrare nel consiglio d’amministrazione e subito dopo divenni vicepresidente esecutivo.
Hai detto che l’acquisizione più straordinaria fu il Nuovo Pignone. Lo negoziasti con Giorgio La Pira, il sindaco di Firenze…
La Pira c’era stato prima, quando lui parlava direttamente con la Madonna. Chi invece ce la vendette fu il governo, mi pare il primo governo Prodi o comunque era un governo lungimirante, che ha visto quello che offriva la Ge, cioè la potenzialità di espansione, la capacità di creare valore. Ma anche il personale del Nuovo Pignone era molto superiore, tecnicamente molto capace. Certo, non si poteva licenziare ma abbiamo investito e abbiamo preso una quantità di ordini tale che dopo un anno e mezzo avevamo già recuperato il prezzo pagato all’azionista Eni. Abbiamo continuato a investire e così il Nuovo Pignone è diventato il leader e mondiale nel suo settore dei macchinari per l’estrazione del petrolio.
Hai già spiegato alcuni segreti del grande successo, prima di tutto l’internazionalizzazione, le acquisizioni, i forti investimenti in tecnologia. Ma era anche molto famosa la vostra scuola di management…
Quello è tutto merito di Jack. Io, per esempio, passavo tre o quattro giorni al mese a insegnare. Era la nostra università interna, per i quadri intermedi ma anche per i top manager c’erano dei corsi continui. Ma c’era in tutti anche il convincimento che dovevamo diventare, dovevamo essere i migliori al mondo.
È stato tutto questo il mix del grande successo?
La base è stata sicuramente quella di avere una competenza tecnologica al massimo livello, soprattutto nei business più avanzati. Ma anche l’aver scoperto prima degli altri che i soldi e il progresso tecnologico si facevano soprattutto vendendo non solo i prodotti, ma i servizi a essi collegati.
Il prodotto a volte poteva addirittura essere regalato. Mi riferisco anche ai motori di aviazione. Tanto poi guadagnavano tutto quello che dovevamo guadagnare con le parti di ricambio e le manutenzioni. Abbiamo sviluppato anche dei contratti di servizio molto sofisticati, che scattavano dopo un certo numero di ore di volo eccetera. Non è in assoluto che l’abbiamo inventata noi questa pratica; è quello che hanno fatto i venditori di rasoi a mano che regalavano il rasoio per poi guadagnare sulle lamette. Certo, potevamo anche regalare le turbine a gas per poi guadagnare sulle parti di ricambio.
Ma a un certo avete deciso di entrare anche nella finanza con GE Capital…
In realtà, un’attività finanziaria c’è sempre stata per finanziare le vendite dei nostri prodotti di massa, come i televisori. Poi, probabilmente, l’attività è cresciuta perché andava molto bene e in maniera più rapida del resto del business.
È stato comunque il primo settore a entrare in crisi….
Tutto funzionava perchè al vertice c’era un uomo che sapeva tutto di tutti. Quando poi è uscito dall’azienda, è mancata nella nuova leadership questa competenza, la competenza di Welch che aveva creato appunto il successo. La complessità creata avrebbe probabilmente consentito di avere due uomini al comando, non essendoci un altro Welch. Io lo sostenni in consiglio al momento dell’uscita di Jack e della nomina di Jeffrey Immelt, ma senza nessun successo. Jeffrey aveva fatto molto bene nel settore delle macchine sanitarie, diventate il settore più remunerativo e Jack lo scelse per questo. Ma il creatore ha sempre un vantaggio rispetto alla replica.
Forse ha inciso anche la crisi finanziaria ed economica di quegli anni…
C’è stato di tutto un po’, ma la verità è che è venuta meno la leadership e che il successore si è dimostrato completamente inadatto a gestire la complessità della materia, che per arrivare dove Ge era arrivata, era inevitabilmente complessa. Io l’uomo giusto lo avevo. Era il capo dell’operatività in estremo Oriente, a HK: Jim McNerney. Inevitabilmente è uscito, ed è diventato il presidente della Boeing, facendo benissimo.
Perchè a un certo punto avete acquistato anche il network televisivo NBC?
Perchè chiudeva il cerchio ed era una bella bandiera per la gente naturalmente, perchè consentiva anche di comunicare il nostro concerto di attività. E ci permise di fare joint venture con Microsoft e di avere Cnbc, il canale economico-finanziario leader nel mondo.
Quando tu e Jack non eravate più al comando e Ge Capital era in forte difficoltà fu deciso di vendere NBC, riempiendola di una parte del grande debito del settore finanziario…
Sì, anche se non conosco bene questi fatti perchè ero fuori, ma so che lui (Immelt) ha fatto alcuni gravi errori strategici. Per esempio, entrare nel settore dei trasporti con Alstom. Jeffrey veniva dal settore plastica, come Jack. Poi era passato al medicale e lì non ci sono stati problemi…
E poiché il medicale guadagnava in proporzione più di tutti i settori, Welch lo ha scelto come successore….
Il settore medicale è stato straordinario. Abbiamo inventato straordinari sistemi di analisi, a cominciare dalla Tac per il cuore. Ma quello è un settore, mentre la grandezza di Ge era essere una conglomerata nella quale usavamo un sistema molto semplice: se un settore a minore tecnologia andava meno bene, vi spostavamo i migliori ingegneri del settore più sofisticato, quello degli aerei. Così si arrivava a una vera funzionalità della presenza in 12-13 settori.
Non pensi che anche le varie crisi generali abbiano influito?
Certo che hanno influito, dalle due Torri in poi. Ma Welch sapeva anticipare le crisi e l’operare in più settori consentiva di bilanciare gli andamenti, perchè. Se uno batteva in testa l’altro magari correva. Non tutti possano avere una tale capacità. Io in consiglio lo feci presente, ma Jack aveva deciso. Quando tutti e due siamo stati fuori dall’azienda ci siamo incontrati più volte e Jack non esitava mai a dire che l’unico errore della sua vita era stato la scelta del suo successore. Ma ormai lo aveva fatto. Ciò che tuttavia è incredibile è come un successo costruito in 40 anni, sia stato possibile distruggerlo in così breve tempo. Quando guardo indietro vedo due mondi: dal ’60 al 2000, un mondo straordinario quello di Ge: Dal 2000 in poi, un altro mondo. Noi riuscivamo, con integrità manageriale, a trasferire la best practice da un settore all’altro. Gli ingegneri top potevano risolvere i problemi dei settori tradizionali. Ma anche se si mettono in fila tutte le crisi che ci sono state e i cambiamenti indotti dalla galoppata del digitale, non è comprensibile la distruzione di ricchezza ed efficienza che c’è stata. Sono tristissimo. Sono sbarcato a New York e il giorno dopo ho dovuto leggere delle tre scissioni. Ma al punto in cui la nostra Ge è arrivata, è stata icuramente l’unica soluzione per salvare almeno tre settori, se non il concetto del conglomerato che ci ha portato tanto in alto. Speriamo che nelle migliori università di business il caso straordinario di Ge e la sua drammatica caduta venga studiata per evitare simili disastri.