Robinson, 13 novembre 2021
Homo cuoco
La scimmia nuda balla. Ma solo nei momenti liberi. Perché la maggior parte del tempo lo passa davanti ai fornelli. Lo dice Alexandre Stern, scrittore, gastronomo e imprenditore del food, nel suo nuovo libro La scimmia ai fornelli (Carocci). Che rilegge l’intera storia umana attraverso le trasformazioni della cucina. Perché homo sapiens non è altro che l’evoluzione di homo edens. Nel senso che a distinguere l’uomo dalle altre specie è prima di tutto la cottura del cibo. Che va di pari passo con l’arte e con la religione. Tutto il resto, linguaggio compreso, lo condividiamo con gli altri animali. I delfini comunicano, gli scimpanzé vivono in società complesse, le lontre si servono di pietre per aprire le conchiglie, i castori costruiscono dighe. E le formiche, nel loro piccolo, s’incazzano. Oltre a coltivare funghi. Mentre a spignattare siamo solo noi esuli figli di Eva. Che dagli spiedi primitivi fino all’invenzione della piastra a induzione, abbiamo fatto del cibo il carburante della storia. Al punto che tutti i grandi tornanti dell’evoluzione sono in un modo o nell’altro legati alla tavola.
Se la cultura umana nasce dalla cottura, allora la cucina è la cellula primigenia della civiltà. E tutto è iniziato con la scoperta del fuoco, la grande start up dell’umanità. Perciò dal momento in cui gli umani hanno cominciato a produrre il fuoco, il fuoco ha cominciato a produrre gli uomini. E il passaggio dal crudo al cotto, grazie anche ad innovazioni come la pentola, ha fornito al bipede parlante un incremento proteico senza precedenti. Risultato, un ipersviluppo delle funzioni e dimensioni cerebrali che lo ha messo in grado di adattare la sua dieta ai diversi habitat. Insomma, la possibilità di nutrirci sempre meglio ha messo il turbo al cammino evolutivo della nostra specie. Ma dall’alimentarsi meglio al mangiare bene il passo è stato lungo. E tuttavia, obbligato e senza ritorno. Infatti è proprio dalla necessità di cucinare i cibi, di conservarli, di distribuirli e di consumarli insieme, che nasce il cosiddetto progresso. Anche perché, mentre l’ex scimmia studia per diventare chef, impara in corso d’opera che certi cibi fanno bene alla salute e altri fanno male. La medicina all’origine è, di fatto, una forma di alimentazione sempre più consapevole. Ed oggi curiosamente torna ad esserlo, per una sorta di resipiscenza nei confronti di quell’overdose farmacologica che ha letteralmente impasticcato il pianeta. Oltretutto la cucina ci ha trasformato in agricoltori e allevatori integrando la nostra dieta con cereali e latte. Producendo così un’ulteriore spinta evolutiva che ha come corrispettivo un decisivo upgrade gastronomico. Dal quale deriva la maggior parte delle istituzioni base della civiltà. A partire dalla divisione del lavoro tra i maschi cacciatori e guerrieri e le femmineraccoglitrici e cuoche. Ma dalle necessità e dagli sfizi alimentari nascono anche quelli che chiamiamo servizi pubblici. Come il forno. Che in origine è collettivo ed appartiene alla comunità, o in altri casi al signore, che lo mettono a disposizione di tutti. O come il mulino. Ma anche il torchio per la spremitura dell’uva e la macina per le olive. Insomma la res publica, oggi diremmo il bene comune, nasce a tavola. E il focolare diventa il centro civile e religioso della città. Dove il fuoco, simbolo della vita collettiva, viene custodito da autentiche sacerdotesse come le Vestali. Almeno fino alla modernità. Che cambia tutto privatizzando il rapporto con il cibo. Da allora progresso e disuguaglianze vanno di pari passo. Da una parte la grande gastronomia dei re, dei potenti e dei grandi cuochi, gli stellati di ieri e di oggi. Dall’altra la gastronomia popolare senza quarti di nobiltà che usa ingredienti poveri e fa le nozze coi fichi secchi. Da una parte l’élite che mangia bio e chilometro zero. Dall’altra il popolo di Coccia de morto, ingrassato e ammalato dal junk food.
Se è vero che non abbiamo mai mangiato così bene, conclude Stern, «come dimostra l’esplosione del numero di ristoranti gourmet in tutto il mondo, è altrettanto vero che non abbiamo mai mangiato così male. E per rendersene conto basta aggirarsi tra le corsie di un supermercato». È come se stessimo vivendo un processo di disinvenzione di pratiche e tecniche culinarie secolari, che inverte il tradizionale cammino dell’umanità. Insomma dimentichiamo competenze e conoscenze, saperi e saper fare millenari. Ma al tempo stesso la gastronomia si è trasformata in un culto e la giusta alimentazione in una passione- ossessione. A riprova del fatto che la cucina è la fotografia più fedele dello stato di salute di una civiltà. Perché ha la stessa forma della vita.