la Repubblica, 13 novembre 2021
Sergio Staino racconta la sua cecità
Quando ero piccino, tra le opere di beneficenza svolte dalla mia famiglia, c’era il sostegno a una particolare iniziativa: l’attività artistica di persone con grave disabilità. A promuovere laraccoltadeicontributi economici, provvedeva l’invio per posta di diverse serie di cartoline, che riproducevano a colori i quadrirealizzati— colpennellostrettotraidenti o sotto l’ascella o tra l’alluce e il secondo dito del piede – da persone afflitte da mutilazioni. Le immagini inducevano una qualche inquietudine in me e nelle mie sorelle perché accanto alle foto dei quadri si trovavano quelle dei pittori: e quei moncherini, quegli arti tronchi, quellemembra amputate producevano un notevole turbamento. E maggioredisponibilitàaunattogeneroso.Aquanto ricordo, nessun quadro mai venne indicato come realizzatodauncieco.Lacosamivieneinmente quandomitrovoaparlareconSergioStaino,come me non vedente, importante illustratore e disegnatore, inventore del personaggio di Bobo, rivoluzionario in acuta crisi di identità esistenziale epolitica.Pittorinonvedenti?Nontutti sannodella vicenda del quasi-cieco Claude Monet, del quale trovo traccia in un noir di Michel Bussi ( Ninfee nere, pubblicatoinaudiolibrodaEmons).Tomaso Montanari mi parla di uno scultore del Seicento, Giovanni Gonnelli (Firenze), e Marica Fantauzzi ha scovato, negli Stati Uniti, un pittore contemporaneo, John Bramblitt, anch’egli privo della vista. Ma qui non siamo storici dell’arte (per chi voglia approfondire: Lacecitàdeipittori diBarbaraAntonelli) e, a interessarci, è piuttosto il comprendere come diavolo faccia Staino a disegnare tutti i giorni le sue vignette.