la Repubblica, 13 novembre 2021
Dalla mafia alla Lollo, l’ultima giravolta di Ingroia
«Mi chiamo Gina Lollobrigida e sono una donna che ha rappresentato l’Italia nel mondo. Oggi, a più di 90 anni, sono piena di energie e di voglia di fare ancora. Purtroppo sono anni di grande amarezza perché subisco attacchi alla mia libertà e al mio patrimonio...». Alt, d’accordo, la storia è intricata, per quanto abbastanza nota: ruota sull’età dell’attrice e soprattutto su un bel mucchio di soldi e diversi soggetti che ci girano attorno generando una malsana, ma irresistibile curiosità. Però chi è quel signore soddisfatto seduto sulla poltrona al suo fianco?
Sorpresa delle sorprese: sì, è proprio Antonio Ingroia, già campione fra i paladini dell’antimafia e dopo mille avventure candidato alla presidenza del Consiglio quale fondatore e leader del partito arancione “Rivoluzione civile”.
L’attrice vegliarda l’ha scelto come avvocato “guerriero” nelle sue peripezie famigliari e giudiziarie. Lui l’ascolta guardando in camera, annuisce, sorride, quando lei affronta la questione del figlio, «sangue del mio sangue», Ingroia si gratta la pancia e alla fine protettivo le prende le mani. Quindi mette in scena la sua vibrante concione nella quale, invocate giustizia verità, libertà, si designa «avvocato d’attacco» e come tale s’impegnerà a restituire Lollobrigida «all’arte», eccetera.
Il video dura sei minuti, a loro modo formidabili. Lo si guarda come un documento che esalta le meraviglie del possibile, ma anche con un certo senso di colpa perché, pur affrontando vicende abbastanza tristi, come succede in Italia fa anche un po’ ridere. C’è un attimo in cui Ingroia sembra guardare nel vuoto; forse si è solo distratto, o forse sta pensando anche lui all’imprevedibilità del destino, dalle aule popolate dai più sanguinari mafiosi e dalla Costituzione minacciata dal più torbido e complice berlusconismo, a una prossima, magari, incantevole puntata di “Un giorno in Pretura” a base di cospicue eredità e pseudo truffe sentimentali.
Per cui, dopo aver impiegato un’oretta a ricostruire una biografia densa di accuse e applausi, quindi di arrivismo, aggiustamenti e ghirigori, alla fine ci si sorprende a chiedersi quale modello letterario incarni Ingroia: Bel Amì o Don Chisciotte? Ma non funziona così, essendo la vita più ricca dei libri, mentre l’umile cronaca certamente aiuta a inquadrare il personaggio nella sua originaria passione, ma pure nelle sue debolezze.
E va bene: chi non ne ha? Ma Ingroia ha sempre puntato sul macroscopico, parente stretto dell’eccesso, dal Guatemala alla Val d’Aosta, dai trionfi come pm ai ruzzoloni come imputato. Sempre troppo eroe, troppo narciso, troppo litigioso, troppi talk-show, troppa fiducia in se stesso, nella sua intelligenza e nella sua astuzia, che invece si ribaltano nell’ingenuità con una punta di grottesco. Una concezione del suo essere magistrato troppo elastica, a dir poco. Troppi politici bazzicati, Di Pietro, Fini, Grillo, i rifondaroli, i comunisti italiani, alla fine cattolici tradizionalisti, generali e filorussi: per un esito troppo povero.Un soggettone, in definitiva, tre quattro esistenze compresse e un po’ a vuoto, “Azione civica”, “La mossa del cavallo”, la confessione radiofonica, la partita del cuore, il red carpet a Venezia, la serie Netflix (sul caso Maniaci: bravissimo), penultima tappa la ‘ndrangheta dietro il Covid. Adesso Gina Lollobrigida che l’ha scelto. Capacità d’intendere e di volare (oh-oh).