Il Messaggero, 13 novembre 2021
L’inchiesta che serve sulla fabbrica delle inchieste
Tre eventi di questi giorni sembrano essersi sovrapposti per rendere ancora più esplosiva la situazione della giustizia. La quale, per il momento, attende solo il detonatore, che prima o dopo sarà innescato. Intanto la dinamite si accumula, e un quarto evento si profila minaccioso.
Primo evento. La Procura di Firenze, nell’ambito dell’inchiesta su Renzi e altri, ha depositato circa novantamila pagine, di cui qualcuno ha indicato ai giornalisti amici le più significative ancorché penalmente irrilevanti: conti correnti, parcelle, dichiarazioni dei redditi, persino diari personali.
L’indagine si fonda sul presupposto che la Fondazione Open fosse un’articolazione, o una protesi, del partito dell’ex premier, e che i finanziamenti ricevuti, benché regolarmente dichiarati, violassero la relativa normativa.
Il fatto che la magistratura si attribuisca la facoltà di decidere cosa sia un partito e cosa no, è già abbastanza singolare. Tanto più che i suoi provvedimenti più cruenti, perquisizioni e sequestri, sono stati in gran parte annullati dalla Cassazione con motivazioni assai severe. Ma che siano state depositate tante pagine quante quelle del processo di Norimberga, manifesta una certa insicurezza probatoria. Ma questo lo vedranno i giudici.
Resta il problema vero: che per la solita combinazione di una legge sgangherata, di una magistratura aggressiva e di una stampa compiacente i più elementari diritti alla riservatezza sono stati, ancora una volta, vilipesi. L’aspetto più disgustoso è che gli ex amici di Renzi, invece di solidarizzare per questa porcheria, abbiano taciuto o ne abbiano cercato profitto. È la solita speranza che il coccodrillo mangi l’avversario, senza sapere che alla fine il coccodrillo mangerà anche te: a differenza dei Borboni della Restaurazione, hanno dimenticato tutto e non hanno imparato niente.
Secondo evento. Probabilmente per reazione a questa nefandezza, i renziani hanno votato a favore di un ordine del giorno di Fratelli d’Italia sull’uso e abuso delle intercettazioni. La situazione è stata ibernata con un affannoso rinvio, e qualcuno ha interpretato questa nuova alleanza come una prova generale per l’elezione al Quirinale, sulla linea già emersa con la bocciatura del Ddl Zan. Comunque sia, è la prima volta che in Parlamento si forma uno schieramento che mira a combattere queste continue violazioni della Costituzione, secondo la quale «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili».
Terzo evento. Anticipando una pagina del prossimo libro di Bruno Vespa, i giornali hanno riportato un episodio che, se confermato, sarebbe a dir poco atroce. A gennaio l’onorevole Lorenzo Cesa, allora segretario dell’Udc, aveva rifiutato di aderire al raccogliticcio gruppo di responsabili che Giuseppe Conte cercava di raccattare per costituire, nella più perfetta sintesi hegeliana, il suo terzo governo dopo il fallimento dei primi due.
Cinque giorni dopo il gran rifiuto il parlamentare era stato raggiunto da una informazione di garanzia, con contestuale perquisizione domiciliare, per associazione a delinquere di stampo mafioso. Naturalmente una pura coincidenza. Sennonché – sempre secondo il libro di Vespa Cesa sarebbe stato avvicinato poco dopo da un membro dei servizi segreti che lo avrebbe rassicurato sul buon esito dell’indagine, purché si comportasse con saggezza.
In effetti Cesa si era comportato saggiamente anche prima, tanto che la sua posizione sarebbe poi stata stralciata e archiviata. Ma in quel momento qualcuno ha ritenuto utile consigliarlo, o ammonirlo, in una certa direzione politica. La cosa andrà, auspichiamo, chiarita. Ma come, e da chi?
Prima di rispondere a quest’ultima domanda aspettiamo il quarto e imminente evento. A Perugia, dove è imputato, il dottor Palamara ha chiesto a propria difesa la citazione di una quarantina di testi, altissimi magistrati, molti dei quali ancora in servizio. È presumibile che i suoi difensori intendano domandar loro se abbiano partecipato a cene, conversazioni e accordi come quelli sapientemente divulgati a suo tempo per impallinare i componenti moderati del Csm.
Il quale Csm ha maldestramente ritenuto di mettere il coperchio sulla pentola bollente radiando Palamara come se fosse l’unico responsabile di quel sistema che anche i commentatori più accorti hanno definito un verminaio. Sarà un colpo mortale per la residua, e lo diciamo con dolore, credibilità della magistratura.
Eccoci allora al penultimo atto. In vista delle elezioni per il Quirinale è possibile che qualche toga intervenga – naturalmente in ossequio all’obbligatorietà dell’azione penale – attenzionando, come si dice, qualche candidato? Sì, purtroppo è possibile. Ma forse sarà la sua ultima occasione.
Quando inizierà il processo a Palamara, e la situazione si farà incandescente, anche i tre eventi che abbiamo citato agli inizi, cioè la vergognosa devastazione dei diritti civili, l’abuso delle intercettazioni, e la pressione giudiziaria in prossimità della formazione di un governo saranno significativamente rievocati. A quel punto solo una Commissione parlamentare, già chiesta dai radicali, sui rapporti tra politica, giustizia e magari stampa potrà provare a mettere ordine in questa democrazia malata.