Tuttolibri, 13 novembre 2021
Selvaggia Lucarelli: «Ho amato uno stronzo»
Quando arrivi al piano di Selvaggia Lucarelli e trovi tre porte senza un cognome vai per esclusione. Pensi che non sarà quella col Babbo Natale gommoso appiccicato, e sbagli. Sbagli anche a pensare che si porti avanti con gli addobbi come la Ferragni, lei semplicemente non li ha tolti mai, da imprecisati anni. Ma il grande privilegio di intervistarla a casa sua è che incontrerai Evangelion, il gatto rosso e pazzo che si è portata su da Melilli, Siracusa, nel famigerato viaggio siciliano documentato su Instagram in cui è stata molto criticata per aver mostrato, dell’isola, bellezza&monnezza.
Il satanasso felino è l’ultimo arrivato e nelle «storie» (e live per tutta l’intervista) molesta il cane cardiopatico Godzilla che quasi ci ha rimesso un occhio. Entrambi sono ormai piccole star dei social ma in questa casa tutti son personaggi noti; il compagno Lorenzo Biagiarelli fa il cuoco nella cucina tv della Clerici e il figlio Leon è nato dal matrimonio con Laerte Pappalardo. Quanto a lei, essendo giornalista «crossmediale» definirla non è facile, una sintesi buona la fa il sito di Radio Capital su cui conduce ogni giorno Le mattine: «Esordisce come attrice teatrale ma il successo del suo blog la catapulta nel mondo del giornalismo, salvando così quello del teatro». Ironie a parte, è penna sopraffina, riconosciuta anche da chi non la ama. Vittorio Feltri le ha detto «verghi pezzi che guastano la digestione» e questa è stima. Ha scritto a lungo per Il Fatto che ha lasciato a settembre e ora lavorerà per Domani: «Ho firmato» ci dice, confermando Dagospia. E poi scrive per la testata online Tpi, ha una rubrica a Piazza Pulita su La7 e da anni è giudice di Ballando con le stelle su Rai1.
Ha pubblicato quattro libri con Rizzoli e adesso siamo da lei per l’uscita del quinto, Crepacuore, diverso dai precedenti perché racconta una sua bruttissima storia personale ma ha l’ambizione di servire anche ad altri precipitati in una dipendenza affettiva patologica. Nasce da un podcast - Proprio a me, Chora Media - nato a sua volta da una confidenza fatta alla Bignardi prima dell’intervista all’Assedio. Una storia che l’incontro fra un narcisista patologico e un’affamata d’amore ha trasformato in una tempesta perfetta. E in un incubo a tre; perché, ahilei, nel caos ci finisce anche il figlio che all’inizio di tutto aveva due anni.
Hai scritto un thriller…
«Questo genere di storie sono un crescendo di dolore, disastri, distruzione della propria personalità ed è qualcosa di graduale, di cui non ci si accorge subito, per cui mi rendo conto che possa sembrare un thriller perché tutto si complica e c’è sempre questo odore di disastro imminente, questa sensazione che stia per succedere qualcosa di sempre più grave, perché poi è così, le conseguenze vanno a intaccare tutto quello che ti circonda, quindi nel mio caso anche mio figlio e mettono in pericolo - non è un modo di dire - anche la vita».
Nei thriller gli ambienti contano e il loft del narcisista è pareti bianche, pochi arredi, nessun colore ammesso oltre grigio, beige e nero. A entrare qui sembra che tu abbia fatto dell’arredamento un gesto liberatorio. Colori ovunque e spazi pieni. È così? O l’horror vacui ce l’avevi anche prima?
«No no, dev’essere stata una reazione ma io non me ne sono accorta, evidentemente però ho vissuto per tanti anni così privata dei colori anche in senso metaforico che forse è stata una compensazione».
Perché denudarsi così sulla pubblica piazza?
«Ho sempre saputo che avrei raccontato prima o poi questa storia ma avevo bisogno di masticarla tanto, non volevo parlarne inquinata dal rancore, e l’ho fatto nel momento in cui la mia fragilità aveva una sua struttura, avevo imparato a leggerla e la mia interpretazione poteva aiutare gli altri; la dipendenza affettiva è qualcosa di cui avevano parlato gli psicologi ma non le persone, il mio è fare un coming out e riconoscere non di aver incontrato uno stronzo, ma di essere l’altra parte del problema. È un punto di vista nuovo su queste dinamiche affettive e mi sono detta be’, alla fine che faccio di quel che mi è successo? Un romanzo Harmony o mi svelo e aiuto tanti a spostare lo sguardo come ho fatto io?».
Racconti dal love bombing alla fine. E usi il vocabolario della tossicodipendenza. Non è troppo?
«Uso questo termine perché dal 2013 è riconosciuto da un punto di vista clinico, e mentre scrivevo il libro è successa una cosa curiosa. Ho intervistato Fabio Cantelli, protagonista del documentario SanPa, ex tossicodipendente, e mentre raccontava, ogni cosa che diceva corrispondeva a quel che io provavo. Ha detto che ha cominciato a uscire dal tunnel della droga quando si è sentito sfinito, si è visto dal di fuori e si è fatto pena. Esattamente quel che è successo a me a Vulcano, e mi sono ammalata».
Entriamo nelle scene, senza spoilerare troppo: te che per regalo di compleanno ti infili nella doccia e col viakal gli pulisci le fughe delle microtessere a mosaico… l’hai fatto?
«Sìsì, c’era il compleanno e lui non voleva che entrassero in casa oggetti non concordati quindi se gli regalavo una cosa che poi gli disturbava la vista? Pensavo: se invece gli faccio trovare la doccia fiammante mi amerà per sempre; e in effetti ha funzionato, ho sentito che era fiero di me, non più innamorato però soddisfatto».
Ti cade la tazza di caffè e spacca gli unici 10 cm quadri di vetro in una distesa di parquet; poi per una lite finisci con la mano in una nicchia di cristallo e al pronto soccorso, mentre ti cuciono, lui chiede la lastra per incorniciarla…
«Sviluppo del terrore vero e proprio nei confronti di avvenimenti della quotidianità che in una coppia sana sarebbero del tutto trascurabili, per me la tazza di caffè che cade voleva dire un orizzonte cupo in cui lui poteva trovarmi inadeguata goffa e lasciarmi, cosa che poi effettivamente avviene; la cosa dell’ospedale dice la sua totale anaffettività, e mi ha gelato».
Tuo figlio, allora piccolissimo: elenchi situazioni in cui lo hai messo in pericolo. La più grave è quella in cui riveli che dormiva nella spa al piano di sotto. Non hai paura di quel che dirà il padre, i suoceri, i suoi compagni?
«No, cioè il padre sì ma credo mi riconosca la capacità che ho avuto nel riparare quel che ho combinato. Quanto ai giudizi non mi spaventano anche se so che è la parte più delicata del libro e mi sono interrogata sulla opportunità di mettere alcuni passaggi, però è stato liberatorio perché a tutti piace la definizione di "mamma imperfetta" nel senso di "sbadata"; ma la sbadataggine non è imperfezione, lo è invece dare la priorità alla nostra vita senza valutare le conseguenze che le nostre scelte hanno sui figli. E credo che questo passaggio possa essere d’aiuto».
In esergo citi Saramago e Baudelaire...
«Storia dell’assedio di Saramago perché questo libro nasce all’Assedio della Bignardi, se non avessi raccontato a Daria sarebbe rimasta una chiacchiera tra amiche; Il vampiro di Baudelaire perché dice cos’è una dipendenza affettiva».
Che libri leggi ora?
«Ho molta ammirazione per chi trova il tempo. A me arrivano 15 libri a settimana e leggo quel che mi serve. L’ultimo che mi ha appassionato è Spillover, sul comodino ho quello di Travaglio sulla vita di Montanelli e poi libri di viaggio. Prima con Lorenzo stavamo tre mesi all’estero, ora ci siamo messi a comprare guide in maniera compulsiva, e tutto Bruce Chatwin».
Nel loft non c’era libreria…
«No, solo nicchie per libri "belli", quelli che sono oggetti di arredamento che nessuno apre, spesso ancora nel cellophane».
Le tue battute nascono da sole come le canzoni di Vasco o c’è costruzione?
«La costruzione c’è, ho lavorato anni con i comici, con Max Giusti andavo tutte le sere a ridere nei cabaret, quindi ho registrato il ritmo della battuta e l’ho trasferita nella scrittura; poi ho letto e riletto tutto Stefano Benni. C’è grande lavoro e pure un po’ di dono dell’improvvisazione che devo aver passato a mio figlio, con più sarcasmo; con le dovute proporzioni io sono più alla Benni, lui più alla Ricky Gervais ».
Cosa ti dà più soddisfazione? Giornali, radio, tv, instagram, podcast?
«La scrittura. Ho lasciato il Fatto e preso un mese di pausa. Ora ho firmato con Domani. Quello è il mio canale di comunicazione preferito, mi permette di raccogliere le idee».
La tua fisicità. Mai avuto problemi da #metoo?
«Sì ma non legati solo al mondo dello spettacolo. E devo dire che è sempre imbarazzante parlarne perché vedi quanto ci si scopre cretine anche di fronte alla mano di un uomo che tu ritieni una persona importante e dici "caspita sono quella che va in TV dice tutto a tutti e poi mi trovo una mano sul sedere da questo viscido e non so dirgli "che c... stai facendo". Una volta un personaggio importante mi fece questa cosa e gli dissi "sei più intelligente di quello che stai facendo"; forse non era neanche vero però mi chiese scusa e lo fa tutt’oggi».
Il titolo "Crepacuore" è di tuo figlio, la copertina?
«Io ho scelto il colore, volevo che fosse femminile ma non troppo perché nelle dipendenze affettive siamo coinvolti in due e poi mi auguro che lo leggano non solo i manipolati ma anche i manipolatori. Il titolo l’ha scelto Leon che aveva trovato un termine giapponese (sindrome di Tako-Tsubo, ndr), io ho detto molto bello ma meglio in traduzione».
A guardare quanto lo posti su Instagram, ti sei liberata di un uomo e finisci nelle grinfie di un gatto?
«Il gatto ha personalità da manipolatore, ti cerca quando deve appagare un bisogno primario, che può essere anche la coccola. E se vogliamo continuare la lettura psicologica il cane assomiglia a me e a tutti i dipendenti affettivi: non vede niente oltre il proprio padrone».
Anche la cucina di Biagiarelli crea dipendenza?
«Quella è più grave… Con lui ho preso 2 kg l’anno, vuol dire che 20 anni di fidanzamento potrebbero essere 40 chili…».