Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 13 Sabato calendario

Intervista a Badiucao

Uno sberleffo pop alla dittatura. Un cazzotto giocoso in faccia al dispotismo. Una risata artistica in grado di seppellire la censura. La sinistra e formale diffida dell’ambasciata cinese («Le opere diffondono false informazioni e mettono in pericolo le relazioni con l’Italia») non hanno fermato la mostra del dissidente cinese Badiucao. Al contrario, hanno moltiplicato la potenza liberatoria del taglio di nastro al museo bresciano di Santa Giulia. Riflettori mediatici a livello mondiale (dalla Cnn al New York Times) e misure di sicurezza mai viste per una mostra dimostrano che il caso sfonda il muro dell’arte contemporanea e irrompe nel campo minato della geopolitica.
Trentacinque anni, aspetto pacioso che nasconde uno spirito guerriero, Badiucao studia giurisprudenza a Shangai quando viene folgorato da un documentario su piazza Tienanmen. Decide di dedicare il suo talento artistico alla denuncia politica: campagne partecipative, affissioni in luoghi pubblici, illustrazioni online. Riparato in Australia, sfida il governo cinese con un linguaggio immaginifico, imprendibile: le caricature di Xi Jinping con Winnie the Pooh (costate all’orsacchiotto la messa al bando in Cina), l’allegoria truce dei manifesti dei grandi brand globali, le performance sulla sedia delle torture, il lettino di matite appuntite per l’artista sgradito al regime, la parete di maschere appositamente create per celare la sua identità, le tracce di sangue lasciate dagli orologi dati in premio ai militari che reprimono i cortei dei dissidenti. Fino alla pandemia: le lettere da Wuhan, il volto dolente di Li Wenliang, il medico ero perseguitato per aver lanciato l’allarme sul Covid. Tutto è arte, tutto è politica.
Questa è la sua prima vera mostra: che emozione prova ora che è aperta?
«Sto vivendo un’esperienza speciale. Da anni cercavo di allestire una mostra, questa possibilità non mi era mai stata offerta a causa delle pressioni contro il mio lavoro».
Qual è il senso di questo allestimento, a cui ha contribuito personalmente?
«Ora, qui, al Museo di Santa Giulia sono finalmente stato accolto come un artista a 360 gradi con molte cose da dire. Questa per me è un’esperienza nuova».
Come ha vissuto la richiesta dell’ambasciata cinese in Italia di cancellare la mostra?
«Non nascondo l’inquietudine quando sono venuto a conoscenza della lettera. Ma Comune e Fondazione musei hanno affrontato la minaccia in modo straordinario. Un modello per tutto il mondo».
In Italia la lettera cinese è parsa incomprensibile. Lei che spiegazione dà?
«Il governo cinese si comporta con la prepotenza tipica dei bulli. Tutto dipende dalla reazione della vittima. Più dimostri paura, più il bullo diventa aggressivo. Ma se immediatamente dimostri fermezza, il bullo cinese cessa di mettere in atto le minacce. Questo è accaduto: l’ambasciata cinese ha smesso perché è stata sconfitta».
Com’è stata vissuta la vicenda in Cina?
«Ho ricevuto numerose critiche da un gruppo di propaganda cinese che mi ha accusato di andare contro gli interessi nazionali distorcendo la verità».
Ci sono state altre pressioni?
«A Bologna, durante una lezione all’Accademia delle belle arti, un gruppo di cinesi ha disturbato l’evento urlando e minacciandomi per mettermi a tacere».
C’era un disegno coordinato?
«L’obiettivo era creare un clima propizio al boicottaggio e alla cancellazione della mostra di Brescia. Ma la lettera del sindaco di Brescia Del Bono mi ha fatto sentire sostenuto e tutelato qui in Italia».
Lei crede che la Cina si fermerà?
«No. Attenti alle parole. La lettera dell’ambasciata paventa ripercussioni. Il governo cinese non sa come affrontare gli individui che non rispettano le indicazioni del potere, se non ricorrendo a minacce».
L’Occidente è in grado di fronteggiarle?
«Si dice che i diritti umani vanno tutelati a livello universale, ma l’Occidente non si comporta in modo coerente, se ciò comporta la necessità di porsi contro la Cina».
A cosa si riferisce?
«Non dovrebbero tollerare genocidi, violenze, soprusi. Da Tiananmen a Hong Kong. Anche se mi rendo conto che affrontare di petto il governo cinese potrebbe portare a una guerra globale».
Quello che è accaduto a Brescia avrà effetti altrove?
«Tutti i governi dovrebbero agire in modo esemplare, come qui, e non cedere. Così siamo tutti timidi Davide di fronte a un protervo gigante Golia, ma se ci uniamo in un’alleanza tra democrazie possiamo combattere efficacemente il modus operandi del mostro cinese». Nessun individuo da solo, bisogna unire le forze».
Questa alleanza sta nascendo?
«Non ancora. Ma questo può essere un inizio. I governi occidentali devono resistere alle pressioni e rifiutare i compromessi. Questa è la mia testimonianza. Come uomo. Come artista. Come militante dei diritti umani».
Qual è il messaggio delle opere dedicate alle prossime Olimpiadi invernali?
«Urlare che è la scelta della Cina come sede dei Giochi è vergognosa. L’universalità dello sport non dovrebbe essere un messaggio di pace e per i diritti umani? Invece le prossime Olimpiadi sembrano sempre più simili a quelle di Berlino del 1936. Una replica del format nazista fondato sul genocidio contro i più deboli. Bisogna affrontare la questione e boicottarle».
La mostra avrà percorsi e attività dedicati ai bambini. Si impressioneranno?
«Il mio lavoro artistico è interattivo, allegro. Per loro ho pensato all’installazione della sala gialla realizzata sul pavimento con mattoncini che rappresentano le barricate a Hong Kong per difendersi dalla violenta repressione dell’autorità. Una specie di area gioco per i bambini, per costruire nuove opere come fossero Lego».
Con quale messaggio?
«L’installazione libera la loro fantasia. Giocando, i bambini possono capire cosa sono costretti a subire i loro coetanei nati in un paese senza libertà».