Corriere della Sera, 12 novembre 2021
Perché è stato condannato Claudio Foti
Sono circa le 15 quando Claudio Foti, 70 anni, esce dall’aula. Il gup Dario De Luca lo ha appena condannato a quattro anni – con il rito abbreviato chiesto dai legali Andrea Girolamo Coffari e Giuseppe Rossodivita – per abuso d’ufficio e lesioni gravissime. È un uomo dall’aria mite che adesso, sospeso dalla professione, dice di vivere con i 490 euro della pensione mensile. Nell’affrontare i giornalisti che lo circondano rudemente, risponde con l’aria di chi sta rivolgendosi agli specialisti di un convegno sull’assistenza ai minori e, almeno all’apparenza, davvero pare «stupito per una condanna che mi amareggia».
Poi sfodera quello che per lui e la sua difesa è un asso nella manica da far valere in appello. Ovvero le consulenze tecniche di parte firmate da Luigi Cancrini e Mauro Mariotti, rispettivamente celeberrimo psichiatra e stimatissimo neuropsichiatra, per i quali «tutto è stato fatto correttamente, anzi “molto bene”, nella quindicina di sedute» in cui Foti si è trovato davanti la minore che, secondo l’accusa, avrebbe convinto di essere stata abusata dal padre.
Le carte processuali che lo hanno portato alla condanna parlano di «serrate sedute di psicoterapia svolte con modalità suggestive e suggerenti». In questo modo nell’adolescente si sarebbe «radicato un netto rifiuto nell’incontrare il genitore» causando per questo, per via «della prolungata assenza paterna durante l’intero periodo adolescenziale», stress, depressione e altri disturbi.
Non solo. Per convincerla degli abusi – sostiene l’accusa – lo psicoterapeuta torinese, «in violazione dei protocolli di riferimento, avrebbe sottoposto la minore alla terapia con la tecnica dell’Emdr», e cioè la discussa «macchina dei ricordi». Scuote la testa l’avvocato Rossodivita: «Non è assolutamente vero...». Foti invece vuole puntualizzare: «Una versione ridicola, quella di ricondurre i comportamenti delle vittime delle violenze all’uso di un macchinario: la verità è che aiutarle a rompere il muro del silenzio può comportare grandi ingiustizie, come in questo caso». Quanto all’idea di un «“sistema Foti” è un’aberrazione; c’è stata invece una criminalizzazione di un lavoro da ricondurre a una finalità di persecuzione ideologica nei miei confronti».
L’atmosfera attorno allo psicoterapeuta non è delle più tranquille. L’altra sera Foti, già a Reggio Emilia per l’udienza, a cena al ristorante dell’albergo è stato avvicinato dal responsabile di sala che gli ha detto che «qui non diamo da mangiare al lupo di Bibbiano!». Il maître poi si sarebbe scusato.
Ma il presidente della «Hansel e Gretel» stavolta non è stato affatto mite: e ha avviato querela.