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 2021  novembre 12 Venerdì calendario

Intervista al regista Antonio Capuano

A Roma ha anche provato a viverci: «Con mia moglie fittammo casa, mettemmo i bimbi a scuola. Ma non ci sono riuscito. Mi mancava Napoli: io sono di Posillipo e senza il mare non riesco a stare». Antonio Capuano, 81 anni, regista, torna in città domani pomeriggio. Al Cinema Troisi, dove con Paolo Sorrentino inaugura la retrospettiva che il Piccolo America gli dedica. Si parte da Polvere di Napoli, 1998, suo quarto lungometraggio ed esordio come sceneggiatore di Sorrentino. E il rimpianto per quel film, lo svela alla fine dell’intervista: «Venni a Roma a portare la sceneggiatura a Pino Daniele. Gli piacque, gli chiesi di comporre le musiche, accettò. Ma si misero in mezzo gli agenti.
Iniziarono subito a parlare di soldi.
Dicevano che le canzoni sarebbero state più importanti del film... fu una cosa orrenda. Lasciai stare».
Capuano, ha detto subito sì alla
proposta del Piccolo America?
«Ma certo: sarà carino stare sul palco con Paolo, raccontarci. E poi lo fanno anche per lanciare È stata la mano di Dio. È una bella cosa».
Presentando il suo nuovo film Sorrentino ha detto di lei che la ama e la odia. La cosa è reciproca?
« (Ride) Molto reciproca...assai reciproca».
Con “Polvere di Napoli” puntava in alto. Il suo modello era “L’oro di Napoli”.
«Volevo capire se quell’oro esisteva ancora. E l’ho capito man mano che ho messo in piedi in film, quando arrivai alla scelta degli attori. Allora mi sono detto: sono gli attori! L’oro di Napoli sono gli attori! Sono tante pagliuzze d’oro avvolte nella polvere. Le devi cercare ma ci sono. E tutto si origina da un punto».
Quale?
«Dal nostro principe, dal nostro Re: Totò. E non dai film che ha interpretato, attenzione. Molti di questi erano una cacata, diciamolo.
Parlo del suo essere attore: era sempre al di qua e al di là del film.
Anche con Pasolini: Totò riusciva ad essere al di qua e al di là del film anche se si trattava di Pasolini».
Nel suo film del 1998 c’è sul serio tanta polvere.
«E tanto vento e tante pagliuzze d’oro che il vento porta, sottrae, riporta. Lo girai in estate, ad agosto.
Volevo una Napoli metafisica, sospesa. E la volevo anche orientale, africana. Chiesi allo scenografo, Mario Di Pace, di ricoprire le macchine per strada con teli color deserto».
Come ci arrivò Sorrentino a quel film?
«Me lo presentò Nicola Giuliano. Mi chiese: “Antò vuoi leggere la sceneggiatura di un ragazzo? È bravo, promettente”. Dissi ovviamente di sì. La lessi. Mi accingevo a scrivere Polvere di Napoli. Incontrai Paolo, gli proposi: “Che dici, la vuoi scrivere con me questa sceneggiatura?”. Lui ci rimase. Rispose: “Come? Ma veramente mi stai chiedendo di scrivere un film cu’ tte?”. Era tenerissimo».
In “È stata la mano di Dio” c’è anche lei. Come è stato diventare un personaggio cinematografico?
«Questa è una cosa di Paolo. Se ha pensato in quei termini avrà avuto le sue ragioni. Ognuno di noi ha delle febbri particolari…».
Ma che effetto le ha fatto osservarsi sullo schermo?
«No, no. Non l’ho voluto vedere.
L’ho detto a Paolo: “ No jamm, non me lo mandare. Lo voglio guardare sul grande schermo”. Il cinema in televisione diventa un telefilm, non ha senso. È come il teatro visto in tv. Anzi, quello è ancora peggio».