la Repubblica, 12 novembre 2021
Il ristorante di Adrià e Ducasse sui tetti di Parigi
Lasciato il frastuono urbano lungo la Senna, il cliente attraversa un sentiero che si snoda tra le piante, entra nel colossale edificio di Jean Nouvel e, dopo aver preso un ascensore fino all’ultimo piano, accede a una gigantesca terrazza dove si trova faccia a faccia con la Tour Eiffel. È come se avesse il simbolo per eccellenza di Parigi quasi nel piatto. «Indubbiamente, è anch’essa un ingrediente di questo menu», dice scherzoso Alain Ducasse, lo chef più stellato del pianeta secondo la bibbia Michelin (21 stelle in totale e ristoranti in Francia, Monaco, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Thailandia, Cina, Singapore e Qatar), pope della cucina classica francese, paladino della sostenibilità e dei prodotti naturali, e artefice, con il suo amico Albert Adrià, dell’ultima follia del pianeta gastronomico: Admo, un ristorante effimero (ma vedrete...) situato sul tetto del Musée du Quai Branly.
L’avventura imprenditoriale franco- spagnola dei due chef, che ha aperto i battenti mercoledì, può contare sulla collaborazione dello chef Romain Meder, braccio destro di Ducasse, e di Vincent Chaperon, chef de cave di Dom Pérignon, che porta il suo Rosé Vintage 2008 recentemente presentato per alcuni abbinamenti nel menu. A questo si aggiungano i dolci creati dalla francese Jessica Préalpato, votata miglior pasticcera del mondo nel 2019 dalla lista 50 Best. Sono i responsabili di un menu con cinque portate a pranzo e sette la sera, al prezzo molto parigino di 380 euro, vini (francesi e spagnoli) a parte. Avete indovinato: Admo – acronimo di Adrià-Ducasse-Meder – Ombres – si rivolge innanzitutto a una clientela di benestanti, anzi di molto benestanti, in grado di sborsare mille euro per una cena a due sotto le luci scintillanti della grande torre, nello spazio solitamente occupato da Les Ombres, il ristorante del museo.
«Non è caro», tuona Ducasse, che giustifica il prezzo ricordando «il numero di persone che lavorano qui e l’alta qualità del prodotto». Caro? Non caro? Dove sono i confini tra questi concetti in un mondo di cifre da capogiro come quello dell’alta cucina, dove da un lato diventa argomento di conversazione la fine del menu degustazione e la democratizzazione della clientela e dall’altro si chiedono e si pagano ancora mille euro per una cena?
Adrià e Ducasse sono consapevoli che l’idea non funzionerà se non riuscirà ad attrarre quella clientela di foodies francesi, ma anche americani, inglesi, giapponesi e russi, curiosa dell’ultima pazzia gastronomica. Certo, se Admo riempirà tutti i tavoli (c’è già la coda per le prenotazioni), il conto è chiaro: in 100 giorni, le entrate sarebbero tra i 9 e i 10 milioni di euro. È una scommessa, ammette Ducasse: «Non sarà facile, l’asticella è molto alta e, si sa, i buongustai sono esigenti, curiosi e hanno enormi aspettative. Entreranno e ci chiederanno: “Che c’è di nuovo?”. E dovremo cercare di sorprenderli ancora, perché siamo a Parigi, perché siamo noi quattro e perché siamo ambiziosi. E dobbiamo sperare che il cliente se ne vada sorpreso dall’esperienza, e non dal conto».
In ogni caso, vede questa operazione come «energizzante per il mondo della gastronomia. Stiamo parlando di un’industria, non dimentichiamolo. Proprio come esiste un’industria dell’alta moda, esiste un’industria dell’alta cucina. E l’alta gastronomia traina tutta la cucina, non ho complessi nel dirlo. Il che non significa che quando un cuoco fa un menu a 25 euro non ci metta la stessa cura che in un menu da 500. La Mercedes fa grandi auto e poi la Smart. E la Smart è fantastica. Lo stesso vale per i cuochi».
Inizialmente, Admo durerà 100 giorni. E poi... « Wait and see ! », dice Ducasse. Tutto dipende da come andranno gli affari. Perché il business fa parte dell’industria, un’industria che la pandemia ha lasciato malconcia e, in molti casi, ferita a morte. Adrià stesso ha vissuto in prima persona il dramma della cassa integrazione, dei mancati pagamenti, della procedura fallimentare, della mancanza di fornitori e forniture e, in generale, dell’impossibilità di continuare a vivere come prima del Covid. La chiusura di alcuni dei suoi ristoranti di Barcellona e lo scioglimento del gruppo imprenditoriale elBarri, che cogestiva, sono state le conseguenze.
In questo senso, l’apertura di questo pop-up nei cieli sopra Parigi è per lui un simbolo di rinascita. Lo chef de L’Hospitalet ricorda perfettamente il giorno in cui Ducasse gli telefonò e senza tanti giri di parole gli disse: «Albert, ho sentito che hai chiuso tutto e io ho chiuso il mio ristorante nell’hotel Plaza Athénée dopo 21 anni... Ti piacerebbe venire a Parigi a divertirti con me?». «Quando Alain me l’ha proposto, ho pensato che fosse una follia, ma questo pensiero è durato mezz’ora. Da quel momento in poi ho pensato che fosse fantastico. E grazie alla pandemia, abbiamo potuto dedicarci a questo progetto con l’intensità che richiedeva. In un momento come questo, era importante trasmettere il messaggio che la cucina è condivisione. Di culture, amicizie, tecniche, cibo».
Anche Ducasse ha vissuto una brusca frenata. Il suo contratto con il gruppo alberghiero Dorchester Collection, proprietario del Plaza Athénée, è terminato a giugno dopo due lunghi decenni. Ducasse ha lasciatoperché non era d’accordo sul modo in cui il gruppo imprenditoriale voleva negoziare con lui sulla paternità e il copyright delle sue creazioni.
Così, all’improvviso, il tandem Adrià/Ducasse si è trovato in un contesto simile a quello di due ragazzi senza lavoro che vogliono inventarsi qualcosa. Qualcosa a 380 euro, non ce lo scordiamo. Un ristorante effimero sui tetti di Parigi? Detto fatto. L’inaugurazione, dopo una breve ma intensa fase di preparazione e di prova-e-sbaglia con le squadre dei due chef mescolate insieme nelle cucine di Les Ombres (Adrià ha portato 15 collaboratori da Barcellona), è stata il culmine della fase preliminare dell’insolito esperimento. Non si trattava di affiancare piatti di Ducasse/ Meder e piatti di Adrià, ma di presentare vere preparazioni a quattro mani. Come si preparano piatti a quattro mani tra chef di fama mondiale? «Aaaah, questa è la domanda, la grande domanda!», replica Adrià.«No comment», si limita a dire Ducasse. «Abbiamo fatto un esercizio che non è usuale né facile: l’inizio e la fine del menu sono firmati da ogni chef con la sua identità, ma tutti i piatti principali escono dalla cucina a quattro mani, e davvero non saprete chi ha fatto cosa. È come se fosse uno chef... con due teste», spiega Meder. «Il segreto – dice Adrià – è nella stagionalità, e Ducasse è intransigente in questo: volere le cose quando ci sono aiuta l’ecosistema. Il brutto viene quando si vuole tutto tutto l’anno. Quando vuoi avere avocado tutto l’anno, devi sapere che distruggi il pianeta. E attenzione: è una facile da dire quanto difficile da fare».
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