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 2021  novembre 12 Venerdì calendario

L’arte degli affari d’oro


La prima ricerca sull’industria dell’arte in Italia. Uno studio dell’Osservatorio Nomisma, promosso dal gruppo Apollo, ne radiografa lo stato di salute negli ultimi dieci anni. Segmento per segmento, tra campanelli d’allarme ed exit strategy. Il biennio horribilis del Covid ha tracciato un solco, specie nel comparto della logistica; ma il quadro generale resta incoraggiante. E decolla chi sta al passo coi tempi digitali. L’evidenza è nei numeri: diminuiscono gli operatori, aumenta sensibilmente il volume d’affari. Nel 2019 c’erano, per esempio, nella nostra penisola 1.667 gallerie, 610 in meno del 2011, e 1593 antiquari a fronte dei 1890 precedenti. Tuttavia il fatturato è lievitato: considerando insieme gallerie, antiquari, mercanti d’arte e case d’asta, siamo dalle parti del boom, 1,04 miliardi di euro. E se a questi aggiungiamo tutti i player della filiera (compresi i restauratori, gli artigiani, l’istruzione, le fiere, le assicurazioni, le pubblicazioni, eccetera), il giro d’affari balza a 1,46 miliardi di euro, l’impatto economico complessivo a 3,78 miliardi, il valore aggiunto prodotto a 1,60 miliardi, l’effetto moltiplicatore a 2,60 miliardi. Non trascurabili nemmeno le ricadute occupazionali: sono 36 mila i lavoratori interessati, per 597 milioni di euro di reddito. Il 28 per cento delle imprese tricolori d’area galleggia nel range dei 65–200 mila euro fatturati l’anno; un quinto assurge sopra il milione di euro.
Le cifre sono relative al 2019. Su scala internazionale, il valore delle vendite del mercato dell’arte e dell’antiquariato si attesta, a quella data, a 64 miliardi di dollari e a livello europeo il nostro paese ne assorbe il 2%. Il 6%, se si esclude il Regno Unito ormai fuori dall’Unione.
Fiere d’arte: nel 2019 l’indotto diretto era di 68,1 milioni di euro e dopo il bruciante stand-by dei lockdown e delle zone rosse monta adesso un grande senso di rivalsa. La rediviva edizione autunnale di Mercanteinfiera, a Parma, ha registrato un indotto di 14,8 milioni di euro, più 1,5 milioni di euro rispetto a due anni fa. Molto giocherà in futuro la formazione, che vede attualmente all’opera 32 accademie e istituti di eccellenza con 2.200 studenti diplomati l’anno. Nuove professioni si stagliano all’orizzonte, d’accordo con un “processo di decentramento amministrativo e il coinvolgimento di attori privati”: in primis, il manager culturale, “la cui formazione di qualità deve essere ‘ambidestra’, tecnico-culturale e amministrativo-gestionale”. È lui che deve orchestrare gli eventi delle strutture culturali, “cooperando con architetti, ingegneri, conservatori e archeologi”. Con l’aiuto, si intende, di fotografi e videomaker, illustratori digitali, sviluppatori di app, web developer, data scientist, esperti di blockchain e di realtà aumentata. Solo che “la dinamicità del mercato richiede un mix di competenze ben bilanciato e trasversale che non corrisponde alle attuali offerte formative – lamenta Nomisma –. Si rende necessario uno sforzo politico per rafforzare l’identità delle accademie e superare lo squilibrio tra potenzialità e risorse disponibili”.
Ci vorrebbero certezze normative e azioni prioritarie “per supportare la sostenibilità economica dell’impresa e del settore” alla luce della pandemia perdurante. Come “la semplificazione della normativa sull’export e sull’acquisto di opere vincolato”, o “la riduzione dell’Iva sulla compravendita”. Meno burocrazia, più strategia, nel nome universalmente inteso dell’arte.