Blitz, 11 novembre 2021
Pensioni d’oro dei giornalisti? Pierluigi Roesler Franz replica a Boeri, Cazzola e Renzi: «solo fandonie»
Ma di quali pensioni d’oro INPGI 1 parlano?Perché non ricordano che l’INPGI 1 è l’unico ente sostitutivo dell’INPS? Parlano a vanvera di pensioni d’oro. E contrariamente a quello che essi sostengono, il calcolo con il sistema retributivo, conti alla mano, nel 95% dei casi non ha fatto guadagnare i giornalisti, ma l’INPGI 1.
Bene ha fatto ieri la Segreteria dell’Associazione Stampa Romana a replicare ai professori Tito Boeri e Giuliano Cazzola e a Matteo Renzi, ex premier e leader di Italia Viva.
Perché l’art. 28 inserito nella legge di bilancio che prevede dal 1° luglio 2022 l’incorporazione dell’INPGI 1 nell’INPS è una norma equilibrata e costituzionalmente corretta, in quanto non costituisce alcun furto a danno dei giovani.
E non è punitiva nei confronti di tutti i giornalisti lavoratori dipendenti in attività di servizio o in pensione. I quali manterrebbero inalterati tutti i loro diritti pregressi e non subirebbero alcuna penalizzazione. Ciononostante, suscita evidentemente le reazioni sdegnate di chi vuole a tutti i costi comunque un regolamento di conti con la categoria.
Vogliono un regolamento di conti con i giornalisti attraverso le pensioni
Mi permetto umilmente di ricordare ai due docenti e all’illustre parlamentare che prima di sproloquiare sull’INPGI 1, ente intitolato alla memoria di un grande personaggio come Giovanni Amendola. E che assicura da circa un secolo l’assistenza e la previdenza dei giornalisti lavoratori subordinati. Occorre conoscere bene a 360° e in ogni dettaglio le numerose e complesse questioni giuridiche legate all’Istituto di via Nizza.
Che, guarda caso, con sentenza n. 19497 del 16 luglio 2008 è stato definito dalle Sezioni Unite civili della Cassazione un “unicum” nel panorama previdenziale italiano proprio perché è un ente atipico e del tutto “sui generis”.
Oggi l’INPGI 1 é da 70 anni – per effetto della legge Rubinacci n. 1564 del 20 dicembre 1951 (che prende il nome dal grande ministro del Lavoro campano dell’immediato dopoguerra), entrata in vigore quando l’INPGI 1 era ente pubblico.
E che è rimasta fino ad oggi sempre operativa dopo la sua privatizzazione e trasformazione in Fondazione privata nel 1995. E lo rimarrà fino al 30 giugno 2022 se, come ciu si augura, sarà approvato l’art. 28 della legge finanziaria Draghi per il 2022 – è tuttora l’unico ente sostitutivo dell’INPS in Italia.
Ed é l’unico ente previdenziale privatizzato che – a differenza dell’INPGI 2 per il lavoro giornalistico autonomo e delle altre Casse professionali (medici, avvocati, ingegneri, architetti, notai, dottori commercialisti, ecc.) – si accolla il pesantissimo onere degli ammortizzatori sociali.
Cui si aggiungono gli altrettanto onerosissimi costi dei contributi figurativi previdenziali (compresi anche quelli relativi al servizio militare, alla maternità, all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori.
Inpgi ha pagato anche per le pensioni dei parlamentari giornalisti
Che da 51 anni accolla all’ente gli oneri sulla futura pensione dei giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, governatori di Regioni e sindaci di grandi città. E alla copertura di posizioni previdenziali di lavoratori dipendenti da aziende fallite dopo il definitivo riconoscimento in sede giudiziaria dpo circa una quindicina d’anni in media dei risultati delle ispezioni dell’ente).
Purtroppo, però, l’INPGI 1 in 70 anni, tranne la fiscalizzazione di alcuni oneri sociali (20 milioni di euro l’anno dal 2009 per i prepensionamenti da aziende in crisi previsti dalla famigerata legge sull’editoria n. 416 del 5 agosto 1981, che inizialmente consentiva l’anticipata uscita dalle aziende ad appena 55 anni -. Ma escludeva dalla sua applicazione le giornaliste che già potevano andare in pensione a quella giovane età – con uno scivolo di 15 anni a carico totale dell’INPGI 1 (costo di 1 miliardo di vecchie lire per ogni giornalista), lo Stato per decenni non ha ristorato l’INPGI 1 per diverse centinaia e centinaia di milioni di euro.
In pratica, quasi tutta la spesa sostenuta dall’INPGI 1 per far fronte all’assistenza e agli ammortizzatori sociali è stata pagata dallo stesso INPGI 1, tanto è vero che in 11 anni il patrimonio INPGI 1 è sceso da 2 miliardi 400 milioni di euro ad appena 900 milioni di euro (patrimonio oggi pressoché identico a quello dell’INPGI 2) con una perdita secca di ben 1 miliardo e mezzo di euro (pari a circa 3 mila miliardi di vecchie lire) e una perdita giornaliera di circa 650 mila euro!
Non è forse vero che in tutti questi anni lo Stato ha ristorato l’INPGI 1 come ente sostitutivo dell’INPS versandogli, come detto, i 20 milioni di euro l’anno dal 2009 per i prepensionamenti e solo per il 2021 si è accollato il rimborso della Cassaintegrazione e di altre indennità assistenziali? E tutto il resto che fine ha fatto? È andato già in cavalleria? E perché non lo scrivete allora?
Ma l’INPGI 1 non doveva essere forse ristorato dallo Stato, come avviene ogni anno da tantissimi lustri per la parte relativa all’assistenza, per gli altri dipendenti iscritti all’INPS dove l’Erario copre tali costi rimborsandoli per intero all’INPS stesso?
Altrimenti mi potete spiegare, illustri docenti ed esimio senatore, che significa “ente previdenziale sostitutivo dell’INPS”? È forse una “patacca”? E perché lo Stato ha finora riservato un diverso e più favorevole trattamento all’INPS rispetto all’INPGI 1 che è stato pesantemente penalizzato?
La stessa legge Rubinacci del 1951, che si compone appena di 2 articoli, stabiliva anche che i contributi dovuti dai datori di lavoro (e le prestazioni erogate dall’INPGI 1) non potevano essere inferiori a quelli stabiliti per le corrispondenti forme di assicurazione obbligatorie INPS. Ma è assodato che gli editori hanno pagato per svariati decenni fino al 2016 parecchi punti percentuali in meno di contribuzione all’INPGI 1 rispetto a quelli previsti all’INPS. Si è calcolato che l’INPGI 1 sia stato così depauperato in 65 anni (dal 1951 al 2016) di almeno un miliardo di euro per il minore incasso di contributi!
Secondo voi è tutto normale? E la politica è estranea a tutto questo?
Vi consiglio poi un’attenta rilettura delle 36 pagine della motivazione di una recente, ma già definita “storica” sentenza-trattato delle Sezioni Unite Civili della Cassazione (è la n. 21764 del 29 luglio 2021, scaricabile on line.
Che ha fissato due principi di diritto di fondamentale importanza. E che mettono a nudo le gravi inadempienze dello Stato anche sul fronte del mancato versamento all’INPGI 1 delle migliaia di giornalisti iscritti all’Ordine, impiegati come lavoratori dipendenti in uffici stampa pubblici.
1) “deve essere considerata giornalistica l’attività svolta nell’ambito dell’ufficio stampa di cui alla legge 150 del 2000 per il quale il legislatore ha richiesto il titolo dell’iscrizione all’albo professionale e previsto un’area speciale di contrattazione con la partecipazione delle OO.SS. dei giornalisti”.
2) “in presenza di svolgimento di attività giornalistica l’iscrizione all’INPGI ha portata generale a prescindere dalla natura pubblica e privata del datore di lavoro e dal contratto collettivo applicabile al rapporto”.
È una decisione che ha praticamente valore di legge perché è stata emessa dal supremo organo interpretativo del diritto in Italia e risolve così una controversa questione che si trascinava da anni. Riguardante il mancato versamento all’INPGI 1 dei contributi previdenziali dovuti da giornalisti dipendenti da uffici stampa pubblici e privati. In pratica i loro contributi non potranno più essere versati all’INPS, ma dovranno essere incassati esclusivamente dall’ente di via Nizza.
Alla luce del nuovo art. 28 della finanziaria per il 2022 è una decisione giunta forse tardivamente, ma comunque molto significativa dei danni subiti dall’istituto. In essa viene anche ricostruita passo passo l’intera storia dell’INPGI a cominciare dalle Casse Pie di previdenza di fine Ottocento alla nascita ufficiale dell’ente nel 1926 da una “costola” della FNSI alle leggi Rubinacci del 1951 e Vigorelli del 1955.
Ma dal 2000 ad oggi quanti sono stati i giornalisti dipendenti da uffici stampa pubblici che hanno versato i loro contributi all’INPGI 1? Vogliamo contarli? In realtà sono stati pochissimi, mentre migliaia di colleghi – loro malgrado – hanno continuato a versare all’INPS.
Ebbene, lo Stato non ha forse delle precise responsabilità su queste strane dimenticanze protrattesi per ben 21 anni che hanno condotto anche la Corte Costituzionale nel giugno 2020 a lanciare un ultimatum alle Camere affinché venisse finalmente attuata la legge 150?
E veniamo ad uno dei vostri cavalli di battaglia: le pensioni dei giornalisti sono “dorate” rispetto a quelle degli altri lavoratori pubblici e privati perché calcolate con il più vantaggioso sistema retributivo, anziché con quello contributivo.
Peccato, però, che per l’INPGI 1 nel 95% dei casi è l’esatto contrario. Evidentemente siete stati male informati o qualcuno vi ha tratto in errore. Quindi la vostra, con tutto il rispetto, è una fake news che va rispedita al mittente. Quello che più mi colpisce è che due docenti così noti non si siano neppure documentati, nonostante che questa notizia sia vecchia di circa 2 anni e mezzo.
Infatti vi sarebbe bastato leggere da pag. 7 a 10 del documento corredato da esempi pratici, depositato il 18 giugno 2019 agli atti della Commissione parlamentare bicamerale per il controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale che ha sede a Roma a palazzo San Macuto dove è spiegato tutto per filo e per segno, cliccare qui.
In questo documento è bene spiegato che “senza la clausola di salvaguardia del doppio calcolo (retributivo/contributivo), applicata dal 2017 e mutuata dal sistema generale. Ove era stata introdotta dal legislatore nel 2015 con effetti retroattivi sulla riforma del 2012, come correttivo degli effetti distorsivi causati dall’estensione del sistema contributivo a tutti gli assicurati previsto dalla cosiddetta “riforma Fornero”, ’applicazione tout court del sistema di calcolo contributivo agli iscritti INPGI.
Considerati gli alti livelli di retribuzione media della categoria, soprattutto in età di pensionamento, avrebbe comportato l’erogazione di trattamenti più elevati ed una impennata dei livelli di spesa pensionistica”.
In soldoni, quindi, nel 95% dei casi i giornalisti con il sistema retributivo ci hanno rimesso, mentre con il sistema contributivo – come da voi sostenuto – avrebbero avuto diritto nel 95% dei casi ad una pensione più elevata!
In altri termini, sul punto viene smentito quanto sostenuto ancora oggi da molti commentatori ed esperti della materia che continuano ad affermare a spada tratta il contrario.
Uno di questi, ad esempio, è l’autorevole giornalista Ivo Caizzi, autore dell’articolo “Inpgi, il regalo di Draghi all’élite dei giornalisti, pubblicato ieri su “Il Fatto Quotidiano”. Il quale parla a vanvera di “pensioni d’oro”, mentre sono pensioni dovute sulla base dei contributi legittimamente versati all’INPGI 1.
Particolare curioso: guarda caso il collega Ivo Caizzi è stato l’unico giornalista italiano a lasciare l’INPGI 1 ente pubblico e a passare all’INPS trasferendovi tutti i pregressi contributi quando l’ente di via Nizza venne privatizzato come Fondazione nel 1995. Caizzi infatti esercitò legittimamente l’opzione prevista dal decreto legislativo del governo Berlusconi n. 509 del 1994.
Pertanto prima di diffondere notizie erronee che creano un’inutile confusione ed allarme sociale converrebbe sempre documentarsi prima e far bene i conti, essendo dimostrato, dati alla mano, che le pensioni dei giornalisti iscritti all’INPGI 1. I quali hanno versato sul 100% della loro retribuzione quando erano al lavoro sono medio-alte rispetto alla media delle pensioni INPS e non è quindi possibile metterle a confronto.
Peraltro è bene ricordare, perché anche questo non secondario aspetto è stato dimenticato, che i contributi versati durante l’attività lavorativa dai dirigenti iscritti all’INPDAI quando era ancora in vita prima di confluire nell’INPS non erano calcolati sul 100% della loro retribuzione come i giornalisti, ma sul 60%. E ciò ha contribuito al default dell’INPDAI.
Ritengo utile ricordare un particolare di non poco conto sull’INPGI 1 prima che si possa parlare di un suo dissesto e cioè che lo Stato è stato sempre al corrente giorno dopo giorno che succedeva all’ente di via Nizza sia quando era ente pubblico sia da ente privatizzato perché è stato da sempre amministrato sotto il pieno controllo governativo. Come si può quindi parlare allora di “privatizzazione” in senso stretto?
Attualmente tra i 16 componenti del CdA siedono con diritto di voto due rappresentanti governativi, uno nominato dalla Presidenza del Consiglio, l’altro dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
E anche tra i sette componenti del Collegio Sindacale dell’INPGI, tra cui il sottoscritto, vi sono tre rappresentanti governativi (il posto di Presidente del Collegio è riservato al rappresentante del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, mentre dei restanti 2 sindaci ministeriali una rappresenta la Presidenza del Consiglio e l’altra il MEF, Ministero dell’Economia e delle Finanze).
L’INPGI 1 e l’INPGI 2 sono vigilati dai ministeri del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Economia e delle Finanze e sono sottoposti all’esame della Sezione Controllo Enti della Corte dei Conti che annualmente riferisce al Parlamento con una propria dettagliata relazione. Sono tutte visibili dal 1996 al 2018 che é l’ultima approvata con determinazione n. 1 del 12 gennaio 2021, cliccare qui. Tuttavia la Corte dei Conti non ha ancora inviato le relazioni ai bilanci del 2019 e 2020.
A sua volta la COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) vigila sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio dell’INPGI 1 e dell’INPGI 2, nonché delle altre Casse professionali di previdenza privatizzate.
Anche i rendiconti annuali dell’INPGI 1 e dell’INPGI 2 sono sottoposti per legge (decreto legislativo n. 509 del 1994) a revisione contabile indipendente e a certificazione da parte dei soggetti in possesso dei requisiti prescritti.
Negli ultimi sei anni, cioè per i bilanci 2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2020, tale incarico è stato svolto dalla Società di revisione E&Y Spa (già Reconta Ernst & Young S.p.A), mentre in precedenza fino a tutto il 2014 analogo lavoro era stato svolto dalla Società di revisione PricewaterhouseCoopers Spa.
Da 26 anni tutti i bilanci dell’INPGI sono stati certificati, come prevede la legge, da società preposte alla revisione contabile indipendente e le cui risultanze sono pubbliche e non hanno mai dato adito ad alcun rilievo.
Sono stati inoltre sempre predisposti anche i bilanci tecnico-attuariali INPGI 1 e INPGI 2 (negli ultimi anni li aveva elaborati un professionista esterno indipendente, l’attuario prof. Marco Micocci), che sono stati puntualmente inviati ai ministeri vigilanti. L’ultimo bilancio che fotografa la situazione INPGI 1 al 31 dicembre 2020 è stato predisposto dallo stesso professionista.
A vigilare sull’efficienza, sull’equilibrio e sull’utilizzo dei fondi disponibili dell’INPGI 1 e dell’INPGI 2, é, invece, preposta per legge la Commissione parlamentare bicamerale per il controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale che ha sede a Roma a palazzo San Macuto ed è composta da deputati e senatori (l’attuale Presidente è il senatore professor Tommaso Nannicini).
Pertanto i Ministeri vigilanti hanno, di concerto, il potere di approvare definitivamente oppure di respingere o approvare subordinatamente a specifici emendamenti tutti i provvedimenti predisposti dagli organi amministrativi dell’INPGI in materia di bilancio e di previdenza.
Analogamente sono trasmessi alla COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) gli atti di sua stretta competenza.
A partire dal 1992 ad oggi i verbali di tutte le sedute degli organi collegiali dell’INPGI (Consiglio Generale, Consiglio di Amministrazione e Comitato Amministratore) sono stati stenografati con lo stesso sistema in funzione al Senato.
Mentre tutti i verbali del Collegio Sindacale vengono trasmessi alla Sezione Controllo Enti della Corte dei Conti e ai Ministeri vigilanti del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Economia e delle Finanze assieme alle delibere che necessitino di approvazione adottate dal CdA e dal Consiglio Generale e/o dal Comitato Amministratore della Gestione Separata.
Da ciò emerge che la politica è stata sempre informata da decenni, giorno dopo giorno, di tutto ciò che accadeva all’INPGI 1. Si è sempre operato alla luce del sole.
Nessuno ha tenuto nascosto nulla. C’è da chiedersi, però: è normale che lo Stato abbia dormito per tutto questo tempo senza intervenire quasi mai in favore dell’INPGI 1 e costringendo così l’ente a prosciugare il suo patrimonio? Tutto lascia, però, supporre che ciò non sia dovuto ad un improvviso colpo di sonno.
Esimi professori, gentile onorevole, non avete nulla da aggiungere in merito? E allora, per cortesia, dovreste prendere in considerazione altri due delicati aspetti pensionistici.
Perché ve la continuate a prendere con veemenza sempre con i giornalisti titolari di vitalizi INPGI 1, che considerate pensionati “d’oro”? Quando questo termine si addice di più con ogni probabilità ai vecchi pensionati della Banca d’Italia, del Fondo Volo ed del Fondo Telefonici agganciato alla clausola oro per le rivalutazioni pensionistiche.
Non vi ricordate per caso di una leggina di poche righe approvata nel 1993 in soli 2 giorni da Camera e Senato che addossò allo Stato il 50% del costo della ricongiunzione contributiva in favore dei dipendenti di Sip, Stet e Italcable accollando a queste tre società l’onere del restante 50%? Insomma un bel regalo di “Pantalone” a migliaia di dipendenti telefonici che ha consentito loro di veder enormemente aumentate d’incanto le pensioni quasi per “grazia ricevuta”.
Analogamente, il senatore Renzi, così attento alle pensioni INPGI 1 e alla sua futura pensione, conoscerà certamente l’art. 31 dello Statuto dei lavoratori del 20 maggio 1970. Che obbliga l’INPGI 1 come l’INPS ad accreditare i contributi figurativi sulla posizione previdenziale di cittadini o di giornalisti eletti senatori, deputati, parlamentari europei, sindaci di grandi città o governatori di Regioni.
Ebbene il costo sopportato dall’INPS anche per la futura – tra parecchi anni – pensione del sen. Renzi è già stato restituito dallo Stato all’INPS, mentre in 51 anni l’INPGI 1 per questa “voce” di bilancio non ha mai ricevuto nulla dallo Stato.
Secondo lei, senatore Renzi, è normale tutto questo disinteresse che ha gravemente danneggiato l’ente di via Nizza? Ritiene forse legittimo questo mancato ristoro?
Vi segnalo poi un argomento che non avete sinora preso in considerazione, mentre avreste dovuto farlo nella vostra approfondita analisi. Ve la siete infatti presa con tutti i pensionati INPGI considerandoli “d’oro”. Quando invece i giornalisti in pensione hanno fatto ampiamente la loro parte perché attraverso il blocco della perequazione per 9 anni delle loro pensioni e i vari tagli delle loro pensioni (l’ultimo per il triennio 2017-2020) ed hanno consentito all’INPGI 1 di risparmiare complessivamente circa 65 milioni di euro, ma anche questo “tesoretto” è stato già utilizzato dall’ente di via Nizza per pagare le pensioni nell’ultimo biennio.
Da ultimo, come la mettiamo con i circa 2400 giornalisti pensionati INPGI 1 che attendono da anni (il 1° della lista è in fila dal settembre 2010) di essere pagati di circa 150 milioni di euro complessivi per la cosiddetta EX FISSA FIEG/INPGI, di cui 50 milioni di euro dovrebbero poi finire nelle casse dell’Erario per l’imposta Irpef?
L’Associazione Stampa Romana, guidata da Lazzaro Pappagallo, è stato dal 2017 l’unico sindacato regionale assieme al Gruppo Romano Giornalisti Pensionati, presieduto da Romano Bartoloni, a dare ascolto a questi sfortunati colleghi rappresentati dal Direttivo del Comitato Diritto Ex Fissa e a prendersi cura dei loro problemi.
In questi 4 anni, però, la FNSI non solo ha fatto poco o nulla, ma si é addirittura costituita in giudizio contro quei colleghi che hanno osato semplicemente rivendicare un loro più che legittimo diritto. Cioé il pagamento dell’EX FISSA FIEG in base ad accordi pregressi firmati proprio dalla stessa FNSI!
Ed ora la stessa Federazione non contenta di ciò pretende addirittura da alcuni di questi colleghi il rimborso delle spese legali sostenute, minacciandoli persino di iniziare pignoramenti e/o altre iniziative giudiziarie!
È un fatto normale in quella che è definita la “patria del diritto”? Ma che sindacato unitario è questo se la FNSI arriva a portare in tribunale i suoi stessi soci iscritti “rei” soltanto di pretendere quanto loro spetta? L’Associazione Stampa Romana ha fatto, invece, benissimo a prendere le distanze da queste inconcepibili ed assurde iniziative e ad occuparsi di questi colleghi molti dei quali in difficoltà economiche, facendo sentire la loro voce e rilanciando le loro più che legittime proteste.
Domandina finale: secondo voi che fine farà l’EX FISSA FIEG/INPGI con il passaggio dell’INPGI 1 nell’INPS a partire dal 1° luglio 2022, visto che nell’art. 28 della legge finanziaria varato il 28 ottobre dal Consiglio dei ministri non c’è neppure una riga in proposito? L’erario non ha nulla da ridire? E come saranno tutelati i 2.400 giornalisti pensionati creditori? Finiranno – speriamo di no – come Don Falcuccio?