La Stampa, 11 novembre 2021
Intervista a Carlo Messina
Le banche non sono più un problema, «non vedo crisi all’orizzonte», dice. L’inflazione che avanza anche in Europa «non ha un carattere strutturale». Secondo Carlo Messina la legge di Bilancio dimostra «pragmatismo e realismo». Ma anche un banchiere di primo piano come l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo mostra di avere le idee chiare di quello che dovrebbe essere il futuro politico del Paese: ritiene che a Palazzo Chigi oggi «ci sia il meglio che l’Italia possa esprimere». L’ottimo, insomma, è che Mario Draghi resti dov’è. Lasciando intendere che anche Sergio Mattarella, «galantuomo che ha gestito fasi difficili del populismo e della pandemia in modo unico», sarebbe bene non cambiasse indirizzo e rimanesse al Quirinale. Secondo Messina, il momento è cruciale e la priorità resta «la lotta alla povertà». Ecco il dialogo con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, nel corso de «L’Alfabeto del futuro».
Dottor Messina, che tipo di ripresa stiamo vivendo: è solo un rimbalzo oppure sarà qualcosa di più strutturale?
«I consumi hanno ripreso e questo ha portato a un’accelerazione della crescita. In parallelo negli ultimi mesi si è assistito a un ritorno degli investimenti da parte delle imprese e, in collegamento con l’avvio del Pnrr che ha cominciato a far attivare degli investimenti pubblici, questo sta generando una crescita del Pil che secondo me supererà il 6%, che rappresenta anche un volano per entrare nel 2022 con un potenziale di crescita intorno al 5%. Ora dobbiamo fare in modo che la crescita risulti sostenibile, che non sia solo collegata al 2021 e al 2022, ma che si realizzi poi negli anni successivi. E qui è fondamentale il corretto utilizzo dei fondi che ci arriveranno dall’Europa».
Gli investimenti sono in ripresa, ma dopo un ventennio in cui sono stati molto bassi. Bisogna fare di più?
«Occorre fare molto di più. Più che finanziario, è stato questo il vero "spread" rispetto a paesi come Germania e Francia. Ora la macchina si sta muovendo partendo dalle grandi aziende che stanno cominciando a ridurre i depositi bancari e a usarli per fare i loro investimenti. E alle grandi aziende stanno seguendo in filiera le piccole e medie imprese. Quando si muovono le pmi si genera un ciclo di crescita che ha delle condizioni strutturali. Gioca molto la fiducia: per poter realizzare dei percorsi di investimento le imprese devono vedere delle prospettive di sostenibilità nei loro investimenti. E qui credo che sia fondamentale il collegamento con il Next Generation Eu. Se quel piano non dovesse avere un accelerazione ci troveremmo con un ulteriore freno agli investimenti e ciò, in termini di prospettive del Paese sarebbe drammatico».
In che senso?
«Abbiamo un’occasione unica per attivare la crescita e lavorare sui punti di debolezza del nostro Paese: da un lato il debito pubblico, dall’altro la povertà. Se questo non accadrà, torneranno in evidenza gli elementi fino ad oggi non più considerati come elemento di attenzione. Ricordiamoci che il nostro Paese ha un debito pubblico di 2.700 miliardi, 750 miliardi dei quali ce li finanzia la Bce. Se non riusciremo a crescere, perché non attiveremo i motori, esso diventerà un fattore di grandissima attenzione internazionale».
Parliamo della lotta alla povertà: quanto fatto in questo anno è servito? Siamo tornati a livelli accettabili?
«Nell’ultimo anno la situazione relativa alla povertà si è ulteriormente deteriorata. Rappresenta una priorità assoluta. Se noi siamo preoccupati per ciò che accade nelle piazze per mille, 5 mila manifestanti per il green pass, immaginiamo cosa comporta avere 5 milioni di poveri che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, a mangiare, a soddisfare bisogni elementari. È indispensabile poter accelerare sulla crescita, che porta posti di lavoro e dignità, e fare interventi immediati come il reddito di cittadinanza. Le priorità sono il contrasto alla povertà e dare vaccini ai Paesi che non ne dispongono. Sono più importanti del Clima, a cui ci si potrà dedicare negli anni a venire».
Qualcuno sostiene che la legge di Bilancio sia rinunciataria, la legge delega sul Fisco è tutta da scrivere, sulla riforma previdenziale c’è stato un rinvio. Come la giudica?
«Credo che per le condizioni in cui ci troviamo sia una manovra di grande realismo e molto pragmatica. È evidente che però questo non può essere il modo in cui gestiremo prossimo anno e mezzo di governo. Ci sono fasi – come questa che è di transizione mentre ci si avvicina alla scelta del futuro Presidente della Repubblica – in cui il compromesso è inevitabile, per tenere tutti a bordo. Poi bisognerà trovare qual è il filone di priorità. Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia dimostrato in tutta la sua storia di avere un grado di capacità nell’affrontare anche le fasi transitorie con una visione che ha sempre portato risultati nel medio-lungo termine».
Il leader della Cgil Landini critica il governo rispetto a un disagio sociale che sembra montare nel Paese. Da ministero ombra delle Attività Produttive, quale appare oggi Intesa Sanpaolo, come giudica il rischio di conflitti sociali?
«Gli italiani hanno reagito alla crisi in modo straordinario. Ce la possiamo fare se ognuno fa la sua parte ed evita di lamentarsi troppo».
I banchieri e le autorità monetarie ribadiscono che il sistema bancario è solido, ma è recente lo choc per la rottura delle trattative su Mps e resta pendente il caso Carige. Dobbiamo aspettarci altre crisi bancarie?
«Non ne vedo all’orizzonte, ritengo che in Italia abbiamo due condizioni di attenzione. Una è Carige e ritengo che nel corso dei prossimi mesi possa avere un suo percorso di soluzione positiva. L’altra è Mps. Ma Siena è tornata a generare utili. Ed è controllata dallo Stato. Solo in Italia questo può essere considerato un problema, soprattutto per un arco temporale limitato: in Europa non è uno stigma per nessuno. È chiaro che bisogna garantire il tempo necessario perché la Commissione Ue possa consentire di continuare a operare in tale contesto statale. Nel contempo però i tassi tenderanno a salire, e ciò favorirà la redditività di banche come Siena con forti depositi. Nel mentre lo Stato potrà lavorare per una privatizzazione a condizioni migliori di quelle della negoziazione che non ha avuto buona conclusione».
Sulla ripresa grava anche l’incognita della tensione sui prezzi delle materie prime. Quanto la preoccupa?
«Credo che l’elemento collegato con la crescita dei prezzi in Europa abbia un carattere non strutturale. Superata la fase invernale, nel corso del 2022, una grossa componente verrà riassorbita».
I tassi di interesse risaliranno. Dopo la Fed, anche la Bce cesserà gli acquisti di debito sovrano del nostro Paese. Perché lo spread risale?
«Lo considero un fenomeno fisiologico dovuto al rialzo dei tassi. In Usa avverrà più rapidamente, la Bce attenderà il 2023 prima di iniziare a muovere i tassi di interesse. Oggi il debito non è considerato la priorità da nessuno degli investitori internazionali. L’Italia è vista come un’opzione di crescita perché ha un potenziale di rimbalzo molto significativo, se la sua gestione sarà corretta. Oggi non c’è elemento che io veda come fattore di possibile allarme, ma grandissima volontà di effettuare investimenti nel Paese».
Domanda diretta: dove sta meglio Draghi, a Palazzo Chigi o al Quirinale?
«Rispondo non da banchiere, ma da cittadino. Ritengo che oggi abbiamo un presidente della Repubblica integerrimo, un galantuomo che ha gestito le fasi difficili del populismo e della pandemia in modo unico, un personaggio irripetibile. A Palazzo Chigi c’è un uomo che è il meglio che l’Italia possa esprimere in credibilità, cose fatte e reputazione. Togliere questo tipo di prospettiva al nostro Paese lo considero un fattore che indebolirebbe di molto il nostro Paese. Ritengo che il presidente del Consiglio, rimanendo al suo posto, possa fare il bene del nostro Paese».