Dopo l’interruzione dovuta alla pandemia riprende il tour di Raf e Umberto Tozzi, due icone . Questa volta sarà in un clima più raccolto, nei teatri. Data “zero” a Fermo, il 16.
Quando vi siete conosciuti? Ai tempi di “Si può dare di più”, 1987?
Raf: «Un po’ di tempo prima a casa di Giancarlo Bigazzi».
Cosa sapevate l’uno dell’altro?
Raf: «Umberto era uno dei cantanti più popolari e io conoscevo le sue canzoni».
Umberto Tozzi: «Io sapevo che Raf era un talento perché Giancarlo me ne aveva parlato molto bene. Da lì è nata una prima collaborazione, con la stesura a tre del testo di Si può dare di più . Poi abbiamo incominciato a frequentarci al di fuori dell’ambiente musicale. Siamo diventati amici, abbiamo composto insieme e avuto grande successo all’Eurofestival con Gente di mare : momenti meravigliosi...».
Oggi si parla dei Måneskin ma anche voi avete avuto un grandissimo successo negli Usa.
Tozzi: «Era molto diverso. Sono felice del loro successo ma oggi è importante anche il lato estetico, avere vent’anni e una certa attitudine. Dopodiché auguro ai Måneskin di continuare scrivendo grandi canzoni».
Lei ha venduto 80 milioni di dischi nel mondo, molti negli Stati Uniti.
Perché non è andato in tour lì?
Tozzi: «Per un italiano era già un miracolo se una canzone riusciva a varcare l’Oceano. Ma il problema era che comunque non eri accettato nei Paesi anglosassoni».
Raf: «Allora le case discografiche avevano un grande potere ed essendo molte di esse americane avevano maggiore interesse a vendere i propri artisti nel resto del mondo piuttosto che il contrario.
Oggi contano meno e quindi è più facile uscire dai confini ed entrare in paesi chiusi come gli Stati Uniti».
Lei però cantava in inglese con “Self control”: pensava già allora di sfondare all’estero?
Raf: «In realtà no, non era studiato.
Cantavo in inglese perché era la musica che ascoltavo e così mi esprimevo in quel modo. Già dai primi provini la canzone sembrava interessare molto a vari produttori americani e a quel punto la strada che mi si prospettava sarebbe stata quella di andare a vivere lì. Io però non me la sono sentita perché avevo dei legami in Italia...».
Anche “Ti amo”, oltre che in Italia, ha avuto un successo straordinario in tutto il mondo.
Tozzi: « Ti amo è stata la mia salvezza: era il 1977 e venivo da un album che si intitolava Donna amante mia che era stato un grande… insuccesso! È stata anche per me una sorpresa, non so che fine avrei fatto altrimenti. Credo avrei continuato a suonare perché era sempre stato il mio sogno».
Davvero? Non sentiva che quel pezzo aveva qualcosa di magico?
Tozzi: «Onestamente no. Però devo dire che la ritengo la canzone più originale del mio repertorio, anche se Gloria è stata un tale successo che molti pensano il contrario. Credo che
Ti amo sia il brano che mi rappresenta di più».
Nel testo quanto c’è di lei e quanto di Bigazzi?
Tozzi: «Abbiamo avuto un rapporto da subito molto chiaro, dividevamo tutto cinquanta e cinquanta. Io però ho lottato tantissimo per far uscire Ti amo come singolo, perché all’epoca volevano usare il brano Se tu mi aiuterai . Ma io mi impuntai».
“Ti amo” sembra una frase banale, eppure le parole di quel pezzo non lo sono per niente, anzi, sono molto strane se ci si pensa.
Tozzi: «La mia cultura musicale è soprattutto inglese, a parte Lucio Battisti che per me ha rivoluzionato tutto. Il risultato dei miei testi dunque doveva essere “sonoro”, funzionale alla musica. Ho adoperato quella linea in quasi tutti i miei brani.
Il significato viene dopo, però arriva».
Un altro brano simbolo è “Cosa resterà degli anni Ottanta” il cui testo aveva anche un lato oscuro: “Anni maledetti/ anni bucati e distratti/ noi vittime di noi”.
Raf: «C’era un malessere di vivere che veniva sostituito a poco a poco da una sensazione più ottimistica: si aveva paura di vivere le cose più semplici, effimere, ma c’era bisogno anche di quelle…».
Avete nostalgia di quel periodo?
Raf: «Beh, se mi chiedessero dove vorrei essere proiettato con una macchina del tempo tornerei lì...» .
Tozzi: «Erano veramente dei tempi meravigliosi! Sembrava che tutto fosse più semplice, più gioioso».
Adesso finalmente tornate sul palco: il lockdown è stato duro?
Tozzi: «Mi ha spaventato tantissimo e, devo essere sincero, non avevo neanche voglia di suonare. Quando ho problemi non mi viene. Per questo non vedevo l’ora di vaccinarmi e quando l’ho fatto sono stato benissimo. Non nascondiamocelo: è cambiato tanto a livello sociale».
Raf: «Io mi trovavo negli Stati Uniti, in Florida, e lì c’era un governatore tipo Trump. Nonostante questo non è andata male, forse grazie al clima chissà. Speriamo che anche il nostro show possa dare un po’ una mano a superare i momenti brutti che tutti hanno vissuto».