la Repubblica, 11 novembre 2021
Nella Romania con le tombe sulle strade
BUCAREST — A mezzogiorno, all’hub Romaexpo, il più grande della città, il tabellone degli utenti in attesa segno un mesto “0”. Nell’enorme parcheggio deserto tra i capannoni solo due uomini che stanno andando via. Medici e infermieri sbadigliano in speranzosa quanto vana attesa, l’altra paradossale faccia della medaglia rispetto ai loro colleghi costretti a turni di 24 ore negli ospedali ormai allo stremo. Vaccini e tamponi li trovi a ogni angolo di strada, centri pubblici, farmacie, cliniche private, ma nessuno sembra interessato. Come se il virus che ieri ha rialzato ancora la testa facendo altre 405 vittime e più di 6.300 nuovi positivi non li riguardasse. E siamo nella capitale, quella che ha risposto meglio alla fallimentare campagna di vaccinazione di un governo debole e ormai sfiduciato. Non c’è da stupirsi.
Seconda cartolina: Giurgiu, 60 chilometri più a sud e 60.000 abitanti, difende a spada tratta il suo vescovo Ambrogio finito sotto inchiesta per diffusione di notizie false e pericolose durante il sermone della domenica: «Non abbiate fretta di vaccinarvi, fate vaccinare prima loro, prima tutti i parlamentari e tutti i senatori, e i deputati. Questi 120 milioni di vaccini comprati da Citu ( il premier) sono scaduti e stanno cercando di venderli all’estero». E dire che l’anno scorso di questi tempi se l’era vista brutta il patriarca, ricoverato per tre settimane proprio per Covid. Ma adesso non sfugge al ruolo che la Chiesa ortodossa, anche se non ufficialmente, ha scelto di giocare in questa pandemia, quello della predicazione No Vax. E non c’è paesino di campagna, da queste parti, che non ti accolga conl a scritta “Nu vaccin” o “vaccin=iad” sui muri. «Chi si vaccina finisce all’inferno, si prende il cancro al 100% per punizione e muore – dice convinta un’anziana donna fuori dalla Cattedrale della Dormizione – non possiamo intrometterci nel volere di Dio. E poi il Covid si cura come un’influenza».
Terza cartolina: Slobozia, un’ora di macchina a est dalla capitale. Due escavatori aprono buche al limitare dell’asfalto del manto stradale. Al cimitero non c’è più posto, mancano persino le bare. «Qui al massimo moriva una persona al giorno, adesso arriviamo anche a dieci e di questi sei o sette muoiono in casa perché non si fa a tempo a soccorrerli. E non c’è dove seppellirli, così ho dovuto chiamare l’escavatore», spiega disperato il sindaco Dragos Soare che sta predisponendo un servizio di tamponi gratuiti per i suoi cittadini una volta a settimana.
Un piccolo viaggio a Bucarest e dintorni che ci dice quanto in Romania la notte del Covid sarà ancora assai lunga se la gente continuerà a rifiutare il vaccino. Ieri il governo ha prorogato lo stato di emergenza e il ministero della Salute, a fronte del fallimento della campagna che finora vede immunizzato solo il 33% della popolazione, si è dato una nuova scadenza per arrivare a quota 90%: fine del 2023. Un orizzonte lunghissimo.E intanto: «È la roulette russa della vita, non siamo in grado di garantire la sopravvivenza a chi riesce a trovare posto in ospedale. Il sistema ospedaliero non regge, lavoriamo 24 ore al giorno, in una situazione catastrofica. Stiamo facendo tutti gli sforzi possibili ma è peggio che la Lombardia all’inizio della pandemia». A guidarci nei gironi danteschi dei reparti di emergenza è Dorel Sandesc, luminare della terapia intensiva. Letti e barelle affastellati ovunque, nei corridoi, nelle sale d’attesa, anziani con il respiratore sistemati su una sedia da giorni mentre si aprono freneticamente gli scatoloni con gli aiuti arrivati da mezza Europa: caschi, ventilatori, farmaci (qui sembra normale che i malati se li debbano portare da casa). L’Italia ha inviato anticorpi monoclonali, ma è una goccia nel mare in ospedali dove adesso comincia a mancare anche l’ossigeno e i medici oltre a curare si affannano al telefono disponendo il trasferimento d’urgenza, con aerei militari, dei malati nelle terapie intensive dei Paesi che hanno dato la loro disponibilità: Germania, Ungheria, Italia dove ieri sono arrivati i primi quattro malati gravi. «Non posso dire che siamo costretti a scegliere ma di certo oggi arrivare in ospedale non significa avere salva la vita»,ammette desolato il professor Sandesc che come tutti i medici del suo Paese invoca scelte drastiche da parte del governo: «L’unica strada per venirne fuori è correre con le vaccinazioni ma fino a ora hanno prevalso la sfiducia nelle istituzioni e sono passati messaggi sbagliati. Come è stato fatto in occidente il governo deve introdurre subito regole e obblighi, a cominciare dal Green Pass sui luoghi di lavoro. Se si riuscirà bene, altrimenti il peggio deve ancora venire. Ma come dice il Dalai Lama, non bisogna mai perdere la speranza. E senza speranza non riusciremo a farcela».