Corriere della Sera, 11 novembre 2021
Estratto dalla nuova edizione di "Roma non perdona" di Carlo Verdelli
Pubblichiamo un estratto della prefazione alla nuova edizione di «Roma non perdona. Come la politica si è ripresa la Rai», il libro di Carlo Verdelli pubblicato da Feltrinelli.
Il bello di questa storia è che negli ultimi anni alla Rai non è cambiato niente. Il brutto di questa storia è che negli ultimi anni alla Rai non è cambiato niente. Con due risultati. Il primo è che il ritardo della Rai rispetto al mondo si è ulteriormente allungato, avvicinando l’azienda a momenti fatali. Il secondo, assolutamente marginale, è che questo libro, uscito nella primavera del 2019, conserva tragicamente intatta la sua attualità.
Il periodo in questione va a grandi linee da metà 2015 a metà 2017: il tentativo di Antonio Campo Dall’Orto, e di un piccolo gruppo di volenterosi scelti da lui, di portare il Servizio pubblico nel nuovo millennio (dove non era e dove continua a non essere), ammodernandolo, svecchiandolo, e soprattutto affrancandolo dal patto di sangue che l’ha prosciugato fino a renderlo esanime: quello con la politica o, per essere più precisi, con i politici.
Scopo della missione narrata in Roma non perdona: prendere la Rai per la coda e farla girare in direzione del futuro, senza guardare in faccia a nessuno, togliendola dalle grinfie di Roma, appunto, per riconsegnarla all’Italia intera, a cui appartiene per diritto e di fatto, visto che il canone che ogni cittadino paga, 18 euro a bimestre, rappresenta due terzi del fatturato, e quindi gli azionisti di larghissima maggioranza sono, sarebbero, proprio i cittadini.
Come finirà e perché finirà quell’avventura – morti-killer-mandanti – è anticipato nel titolo del libro: Roma non ha perdonato il tentato oltraggio, e nemmeno la politica, che lesta si è ripresa il maltolto. Campo Dall’Orto, il capocordata, si congederà con una presa d’atto della sconfitta che suona come un allarme tutt’altro che disattivato: «Ci siamo battuti per una Rai un po’ più libera».
Quel più di libertà, indispensabile al presente e soprattutto ai destini dell’azienda, continua a restare un obiettivo di là da venire, come i miraggi nel deserto: domani forse, la prossima volta, con la nuova gestione magari. Lo ha confermato Roberto Fico, presidente della Camera, in un’intervista di disarmante onestà rilasciata ad Annalisa Cuzzocrea per Repubblica. «Purtroppo le nomine dei direttori di rete e dei telegiornali sono fatte fuori dal luogo deputato, cioè il consiglio di amministrazione. Lì vengono ratificate ma derivano da accordi tra i partiti che in quel momento storico sono al governo. E questa cosa non è mai cambiata in alcun modo fino a oggi». Neanche con voi 5 Stelle? gli chiede Cuzzocrea. «No, neanche con noi. È la realtà dei fatti, nessuno si è sottratto».
L’intervista delle verità tutt’altro che nascoste esce il 3 maggio 2021, alla vigilia di una tornata di nomine che porteranno al vertice Carlo Fuortes e Marinella Soldi, rispettivamente amministratore delegato e presidente, che a cascata nomineranno nuovi direttori, dirigenti, mezzibusti e bellimbusti (al maschile e al femminile). Ma comunque, in assenza di una legge «libera Rai», con quattro consiglieri di amministrazione già selezionati dai partiti, la partenza resta a handicap. A peggiorare il quadro, il gigantismo immutabile dell’offerta Rai contro i velociraptor come Sky, Dazn, Netflix, Disney, Amazon e simili che ormai offrono film, sport, documentari e serie a flusso continuo, a scelta, su richiesta, da consumare quando e dove vuoi.
La somma di tutto questo non fare, rimandare, tralasciare, chiudere occhi l’ha sintetizzata il nuovo ad Fuortes, già amministratore dell’Opera di Roma, costretto a presentare un bilancio 2020 da incubo (e non c’entrano gli effetti della pandemia): «Il buco è di 57 milioni. Ma con i debiti pregressi il deficit sale a 300 milioni di euro. Continuando così, si portano i libri in tribunale. Lo eviteremo tutti insieme cambiando tutto». Ottima intenzione, un po’ già sentita, come scoprirete leggendo le prossime pagine. Cambiare tutto per non cambiare, se non proprio niente, quasi niente. Il problema è che si era con l’acqua alla gola già nel 2016. Adesso, con l’accelerazione impressa al mondo da tecnologie sempre più spinte, i margini per correggere la rotta si sono fatti ristrettissimi e lo spettro di diventare la prossima Alitalia non è più da catalogare come una favola nera per spaventare i piccoli.
La Rai è fuori corso, questo è il problema dei problemi. E lo è (anche) perché i partiti, con la complicità dei dirigenti messi lì da loro stessi, si sono accontentati di spartirsi le briciole di un po’ di celebrità, senza minimamente curarsi di attrezzare il Servizio pubblico per i nuovi bisogni di un pubblico in mutazione genetica.
Roma non perdona è la cronaca dettagliata di un fallimento o piuttosto di un’illusione. Riportarlo in libreria è un atto di speranza. Forse non tutto è perduto, non ancora. Forse indagare sui perché un cambiamento indispensabile sia stato respinto con perdite può tornare utile a meglio sfruttare quella che rischia di essere davvero l’ultima occasione per ridare un senso e un futuro possibile al Servizio pubblico. Non c’è un secondo da sprecare, dopo i miliardi di miliardi di secondi malamente sciupati.