Corriere della Sera, 11 novembre 2021
Giuliano Amato tra i non candidati al Quirinale
Nel robusto elenco dei non candidati al Quirinale, il professor Giuliano Amato è iscritto d’ufficio. Non solo perché, per garbo, non ci si candida a nulla, ma perché lui una preferenza dice di avercela già, ed è una donna, e quindi il dottor Sottile, così soprannominato per le sue qualità di fine giurista, si sente escluso di fatto.
Chiedere chi sia questa donna sarebbe invadente e soprattutto inutile. Si può invece ricordare che sette anni fa, nella partita che anche allora lo vide non candidato, si rallegrò per la scelta di Sergio Mattarella, oltre che per la stima personale, perché era suo compagno di banco alla Corte costituzionale. E certo sua compagna di banco all’Alta Corte è stata anche Marta Cartabia, che lì ha conquistato lo scranno più alto, prima volta di una donna presidente, e che ora occupa il ruolo di Guardasigilli nel governo di Mario Draghi.
Il curriculum di Giuliano Amato è imponente: garante della Costituzione, nemico del giustizialismo, solidi rapporti internazionali, vocazione europeista, convinto atlantista. Titoli che fanno dire a Rino Formica, che con lui ha condiviso gli anni complessi della guida socialista del Paese con Bettino Craxi e quelli difficili di Mani Pulite, che è indiscutibile il suo impegno di scienza e di corretta opera di governo. Ma ripete che ora occorre individuare un nome per un presidente giovane, che non abbia alle spalle una lunga storia di accorta navigazione, per costruire la democrazia nascente della Repubblica italiana. Peraltro Formica ritiene che Amato, quasi certamente, assumerà l’altissima carica di presidente della Corte costituzionale. «Un riconoscimento molto gratificante. Ma oggi il Paese chiede una classe dirigente giovane, competente e non fanaticamente divisiva».
Però agli anni di Amato, 83, oltre che alle sue capacità si guarda con attenzione. E c’è chi si spinge a dire, più come deduzione che come fonte diretta, che a lui non dispiacerebbe guidare una transizione di due anni, o magari poco più di uno, visto che presto arriverà il nuovo Parlamento, con nuovi equilibri e con 345 deputati e senatori in meno, che potrebbe tornare a esprimersi. È vero che la Costituzione non prevede presidenti a tempo, ma è anche vero che sarebbe difficile la convivenza di un capo dello Stato eletto da una maggioranza che potrebbe essere in tutto o in parte diversa da quella che ci restituiranno le urne.
Difficile però digerire una sua candidatura da parte di una fetta importante di grandi elettori. Gli remano contro le sue posizioni sulla giustizia (il suo governo, nel 1993, approvò il decreto Conso che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti, i magistrati di Mani Pulite si ribellarono e Oscar Luigi Scalfaro non lo firmò), le polemiche sulle cosidette pensioni d’oro, delle quali è uno dei fruitori, la scelta del 1992 quando, a fronte della crisi finanziaria, varò in una notte il decreto che autorizzava il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti degli italiani.
Giuliano Amato ha raccontato così sul Corriere, 25 anni dopo, a Federico Fubini, quella vicenda: «Fu un male necessario. Giovanni Goria (ministro delle Finanze) mi prese da parte e mi chiese se poteva studiare il prelievo. E studialo! Risposi, ma, aggiunsi, prima senti che cosa ne pensa Ciampi (allora governatore della Banca d’Italia). Il mattino dopo c’era il Consiglio dei ministri. Goria arrivò verso mezzogiorno e sedette all’altra parte del tavolo. Allora feci un errore di avventatezza, perché gli sillabai sottovoce: Hai par-la-to con Ciampi? Speravo leggesse le mie labbra. Lui fece cenno di sì, chissà che aveva capito. Gli detti la parola e la misura passò. Ciampi probabilmente avrebbe sconsigliato, ma non sapeva niente!».
Claudio Martelli, che con Giuliano Amato ha condiviso esperienze di governo e una lunga militanza nel Partito socialista, pensa che la vera occasione di diventare presidente della Repubblica l’abbia avuta l’ultima volta, quando un’intesa tra Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema spingeva per eleggerlo. Allora fu Matteo Renzi a far saltare quel banco, guidando i grandi elettori alla scelta di Sergio Mattarella.
Ma ora non si vedono king maker all’orizzonte, come lo furono ad esempio Ciriaco De Mita per Francesco Cossiga, Bettino Craxi per Sandro Pertini, Walter Veltroni per Carlo Azeglio Ciampi. E non ce ne sono anche perché il Parlamento è sbrindellato, unito dalla voglia di tenere in vita la legislatura fino all’ultimo giorno ma assolutamente diviso di fronte a una scelta così importante come quella del capo dello Stato.
Martelli vede quindi improbabile un percorso che porti Amato al Colle, soprattutto per i no delle forze populiste e sovraniste. «Non so quale sia il pensiero di Giuliano – dice – ma è un uomo disincantato, che affronterà anche questo passaggio con la consueta ironia». E ricordando come lui stesso si fosse definito un ermafrodito, metà tecnico e metà politico, affida al prossimo futuro un punto interrogativo: «Siamo sicuri che il suo nome non sia spendibile altrimenti se al Quirinale andrà Mario Draghi e se le elezioni non disegneranno una chiara maggioranza bipolarista?». E aggiunge un suo personale auspicio: due socialisti liberali ai vertici dello Stato.