Il Messaggero, 10 novembre 2021
Il nuovo atlante delle isole remote
Guardiamo alle stelle, sogniamo lo spazio infinito ma dobbiamo essere consapevoli che il nostro pianeta ha ancora in serbo meraviglie e terre disabitate. Ma un viaggio, per essere tale, deve aprirci la mente e cambiare il nostro punto di vista. Lo ha dimostrato la scrittrice tedesca Judith Schalansky che, nel 2013, ha firmato l’Atlante delle isole remote raccogliendo la storia di cinquanta isole che non figurano su Google Earth e talvolta, nemmeno nelle cartografie ufficiali. Atolli e fazzoletti di terra, luoghi lontani dai radar in cui scopriamo storie di animali, sognatori ed esploratori, viaggi avventurosi da seguire sulla carta, in punta di dito.
L’AUTRICEL’Atlante ha venduto trentamila copie e più di dieci anni dopo la sua pubblicazione (in Germania il volume uscì nel 2009), la scrittrice classe ’80 già vincitrice del Premio Strega europeo 2020 con Inventario di alcune cose perdute, pubblicato da Nottetempo – firma una nuova edizione rinnovata dell’Atlante (pp.160 25), aggiungendo altre cinque isole e una nuova prefazione.
Schalansky ci consegna un’esortazione al viaggiare in poltrona che ricorda il fascino delle grandi avventure di Salgari nella giungla. Questi itinerari ci conducono agli antipodi del mondo dall’isola di Sant’Elena a Iwo Jima – con ricadute politiche perché «non importa quanto lontano ci conduca il viaggio, ci si imbatte di continuo nelle tracce della propria specie» e quindi, la voglia di scoprire una terra abbandonata «si rivela una pura utopia». E allora, cosa significa per l’ecosistema questa brama di visitare anche «l’ultimo angolo del mondo»? Lo vediamo sull’isola di Gough, appena nove abitanti nell’oceano Atlantico meridionale, in cui i topi domestici giunti con le imbarcazioni dei cacciatori di foche sono diventati sempre più invasivi e intanto, le trivellazioni davanti all’isola degli Orsi stanno avvelenando le coste sul mare di Barents. La natura selvaggia ci affascina – «sull’Isola di Natale regna la guerra», una quotidiana lotta cruentissima fra granchi e formiche – e non mancano segnali di speranza, come nel caso dell’atollo di Midway – nelle isole Hawaii – che dopo essere stato utilizzato per esperimenti balistici, è stato dichiarato riserva naturale sotto tutela dell’amministrazione dell’aeronautica americana.
PRIMITIVIE in questo panorama suggestivo, spicca la storia di North Sentinel – sessanta chilometri quadrati nell’oceano Indiano – in cui vive un numero imprecisato di discendenti diretti della prima ondata di emigrazione africana, risalente a diecimila anni fa, uomini capaci di «lavorare il metallo dei relitti delle navi andate a fondo davanti alla loro isola per farne punte di freccia affilate che non esitano a scagliare contro gli intrusi», proteggendosi dalle pressioni del governo indiano che ha provato inutilmente a corromperli «lasciando sulla riva dei regali come noci di cocco, vasellame, ma anche un maiale da ingrasso, una bambola e un’automobile giocattolo».
Centosessanta pagine e cinquantacinque isole remote che dimostrano quanto sia importante – nel nostro tempo globalizzato – recuperare la poetica, l’elogio del mistero e il potere dell’ignoto. Un consiglio? Spegnete lo smartphone e mettetevi comodi, il viaggio comincia una pagina alla volta.
F. M.