1 - LE FONTI FOSSILI FUORI DALL'INTESA IRA SUI SAUDITI: «C'È IL LORO STOP», 9 novembre 2021
LA TRIVELLA CE L'HANNO MESSA PROPRIO LI' - NELLA PRIMA BOZZA DEL DOCUMENTO FINALE DELLA COP26 NON C’È NESSUN RIFERIMENTO AI COMBUSTIBILI FOSSILI. LA LOBBY DEL PETROLIO, GUIDATA DALL’ARABIA SAUDITA, HA VINTO ANCHE QUESTA VOLTA - INTANTO SUL VERTICE “DELLE BUONE INTENZIONI” ARRIVA UN’ALTRA BOMBETTA DAL “WASHINGTON POST”, CHE DENUNCIA IL DIVARIO TRA LE EMISSIONI DI CO2 DICHIARATE DA DIVERSE NAZIONI CON QUELLE EFFETTIVAMENTE IMMESSE NELL’ATMOSFERA -
Sara Gandolfi per il "Corriere della Sera" C'era grande agitazione ieri nelle stanze chiuse dei negoziatori. E non solo per il ritorno tanto atteso di Barack Obama. Domenica notte è iniziata a circolare la prima bozza del documento politico finale di Cop26, diffusa dal presidente Alok Sharma.
Il «Non paper: sommario sui possibili elementi identificati dalle Parti» elenca adattamento, finanza, migrazioni, partecipazione dei giovani e giusta transizione. Cita l'obiettivo del Net Zero (l'economia a emissioni zero) entro il 2050, il target inseguito da Usa ed Unione Europea, e l'«urgenza di un'azione per mantenere vivo l'obbiettivo di 1.5°C».
Esprime pure «profonda preoccupazione» per l'obiettivo non ancora raggiunto del fondo per il clima da 100 miliardi di dollari. Ma in quella lista di due paginette non sono mai citati i combustibili fossili. E tanto basta per scatenare, dietro le quinte, la delusione dei Paesi più vulnerabili e anche di quelli più ambiziosi.
Per ora i delegati non commentano pubblicamente e prosegue il lavorio diplomatico. Ma è sulla bocca di tutti che il grande nemico, oggi come due anni fa a Madrid, è l'Arabia Saudita che si sarebbe messa di mezzo per far togliere dalla dichiarazione finale ogni riferimento ai combustibili fossili.
Per ora ci è riuscita, nonostante la «Dichiarazione globale di transizione dal carbone all'energia pulita» firmata da una quarantina di Paesi giovedì scorso (senza Usa, Russia, Cina, India, Australia). «È molto preoccupante che la prima bozza dell'accordo di Glasgow sia così debole», afferma Jennifer Morgan, direttrice di Greenpeace International.
Ieri mattina un'altra bomba era esplosa sul vertice delle buone intenzioni», come è stata ribattezzata Cop26 tra gli addetti ai lavori. Il Washington Post ha pubblicato un'inchiesta in cui denuncia il forte divario fra le emissioni di CO2 dichiarate da diverse nazioni rispetto a quanto effettivamente immesso in atmosfera: un divario che varia tra 8,5 miliardi e 13,3 miliardi di tonnellate all'anno di emissioni sottostimate.
Tutti i modelli di previsione rischiano di saltare. «Se non conosciamo lo stato delle emissioni oggi, non sappiamo se le stiamo riducendo in modo significativo e sostanziale», ha dichiarato al quotidiano Rob Jackson, presidente del Global Carbon Project. Secondo il Washington Post nella fascia bassa il divario è maggiore delle emissioni annuali di gas serra degli Usa, nella fascia alta si avvicina alle emissioni record della Cina e pari al 23% del contributo totale dell'umanità al riscaldamento del Pianeta.
Si allarga il divario fra nazioni ricche e vulnerabili. «C'è uno scollamento tra le dichiarazioni pubbliche e ciò che sta accadendo nei negoziati», ha denunciato il presidente del gruppo dei Paesi meno sviluppati, Sonam Phuntsho Wangdi. Neppure le cifre annunciate oggi - 232 milioni di dollari per l'Adaptation Fund e altri 450 milioni mobilitati per progetti locali di resilienza - convincono. «Carità aleatoria», commenta Lia Nicholson, a nome dell'Alleanza dei piccoli Stati insulari.
2 - LA LOBBY DEL PETROLIO Monica Perosino per "la Stampa"
Il tempo stringe. Il 12 novembre, data di chiusura della Conferenza sul Clima, si avvicina rapidamente e il febbrile lavoro dei negoziatori non si ferma neanche di notte. Ma lontano dalla frenesia tutta discorsi, star e applausi, nelle salette private e blindate dove si sta cercando di mettere in piedi il documento finale della «storica» Cop26, si respira tutto fuorché entusiasmo.
Nella bozza preliminare diffusa dal presidente della conferenza di Glasgow, Alok Sharma, c'è tutto quello che dovrebbe esserci tranne il punto fondamentale: l'addio, seppure graduale, ai combustibili fossili. Che neppure vengono citati. Eppure, sarebbe una delle condizioni necessarie alla transizione verde.
La «dimenticanza» secondo attivisti e osservatori ha una causa precisa: le lobby del petrolio. Mentre i leader del mondo si affannano a trovare accordi, intese e alleanze per ridurre l'inquinamento da CO2, i gruppi di pressione lavorano senza sosta per boicottarli e continuare a bruciare combustibili fossili.
Il primo campanello d'allarme l'aveva suonato GreenPeace, che a fine ottobre aveva svelato, grazie a un'inchiesta realizzata da Unearthed, team di giornalisti investigativi, l'esistenza di una lobby che stava lavorando dietro le quinte per «annacquare» il rapporto sul clima dell'International Panel on Climate Change (Ipcc) delle Nazioni Unite, in modo da eliminare le conclusioni più scomode, quelle che potrebbero minacciare gli interessi di alcune grandi aziende e Paesi.
In prima fila c'era l'Arabia Saudita. Ieri è arrivata anche l'inchiesta degli attivisti di Global Witness, che hanno analizzato l'elenco dei partecipanti alla Cop26 e hanno scoperto che 503 delegati con legami e interessi nei combustibili fossili erano state accreditate. Un numero enorme, se pensiamo che sulle circa 40.000 persone che partecipano alla Cop il Brasile ha la più grande squadra di negoziatori, con 479 delegati. «Se l'industria dei combustibili fossili fosse un Paese - dicono da Global Witness - avrebbe di gran lunga il maggior numero di delegati.
Centinaia di lobbisti hanno invaso Glasgow, difendendo gli interessi dei grandi inquinatori. È come se i lobbisti di Big Tobacco intervenissero a una conferenza sul cancro ai polmoni». E il paragone non è casuale. Come l'industria del tabacco ha negato per anni gli effetti dannosi sulla salute, «l'industria dei combustibili fossili ha passato decenni a negare e ritardare un'azione reale sulla crisi climatica - spiega Murray Worthy di Global Witness.
La loro influenza è uno dei motivi principali per cui 25 anni di colloqui sul clima non hanno portato a tagli reali delle emissioni globali». Ancora secondo Unearthed, l'Arabia Saudita, ma anche Australia e Giappone hanno spinto per rimuovere dai rapporti che il mondo ha bisogno di eliminare gradualmente i combustibili fossili e l'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), dal canto suo, ha voluto eliminare diversi passaggi, tra cui un riferimento a «potenti gruppi di pressione che hanno interesse a mantenere le attuali strutture economiche ad alto contenuto di carbonio».
Non solo: il Regno Unito ha organizzato il vertice in collaborazione con aziende come Boston Consulting Group, che fornisce consulenza alle compagnie petrolifere e del gas, e l'unica differenza rispetto alle precedenti Cop è che sono state vietate le sponsorizzazioni dirette alla Conferenza. Ma non è un mistero che diversi eventi collaterali siano stati organizzati da grandi aziende o banche che investono nei combustibili fossili o organizzazioni come la Association of Oil and Gas Producers. Il tempo stringe, il documento è ancora una bozza, ma se non si inverte la rotta, i grandi inquinatori potrebbero averla vinta ancora una volta.