Laura Cesaretti per "il Giornale", 9 novembre 2021
"ALTRO CHE 101 TRADITORI, PRODI NON AVEVA I NUMERI" – L’EX LOTHAR DALEMIANO, CLAUDIO VELARDI: “NEL 2013 D'ALEMA AVVERTÌ LEALMENTE SIA IL PROF CHE L'ALLORA SEGRETARIO PD BERSANI CHE SAREBBERO ANDATI A SBATTERE. POI TUTTO VENNE MESSO IN CONTO AL SOLITO UOMO NERO DI RIGNANO, MATTEO RENZI, MA È UNA LEGGENDA DI COMODO COSTRUITA DOPO” – VELTRONI KING-MAKER DI CIAMPI E NAPOLITANO “PER FREGARE D’ALEMA” -
Oggi Claudio Velardi è presidente della Fondazione Ottimisti e Razionali, che ha appena compiuto cinque anni e che «nacque nel momento più oscuro della politica italiana, con il populismo, il sovranismo, la guerra alla competenza sulla cresta dell'onda, per cercare di riportare un po' di ragionevolezza nel discorso pubblico». Il tempo (e l'arrivo di Draghi) «ci hanno dato ragione».
Ma Velardi, nella sua prima vita da «quadro politico» di alto livello e consigliere di Massimo D'Alema ai tempi d'oro, ha vissuto da dentro molte elezioni per il Colle, e conosce trucchi, regole e segreti di una partita che negli ultimi decenni, ricorda, «la sinistra è riuscita sempre a gestire, pur senza avere la maggioranza».
Quando iniziò questa egemonia della sinistra? «Con l'elezione, paradossalmente, del Dc più di destra, in un momento di crisi drammatica: Oscar Luigi Scalfaro. Una candidatura inventata in modo estemporaneo e apparentemente folle da Marco Pannella, che non aveva truppe in Parlamento, e che risultò la carta vincente grazie alle lotte interne alla Dc e all'opportunismo della sinistra, che ottenne in cambio la presidenza della Camera per Giorgio Napolitano».
Il successore di Scalfaro fu Ciampi, e a quell'epoca lei era dentro tutti i giochi, al fianco di D'Alema premier. Come andò? «Andò che D'Alema, e con lui Silvio Berlusconi con cui c'era un accordo sul nome di Giuliano Amato, furono fottuti da Walter Veltroni che si mise d'accordo con Gianfranco Fini e propose Ciampi, poi eletto al primo scrutinio. Ricordo che ancora il giorno prima, mentre passavo in Transatlantico, Berlusconi mi prese da parte e mi chiese: "siete sicuri che i vostri non faranno scherzi su Amato?". Lo rassicurai. E poi il giorno dopo Veltroni tirò fuori il nome di Ciampi».
Una mossa abile? «Da manuale: la carta Ciampi era forte, prestigiosa, era impossibile a D'Alema dirgli di no, e aveva un'allure di modernità e novità che faceva apparire più antichi gli altri aspiranti, da Amato a Marini o Jervolino. E, quel che più conta, venne tenuta coperta fino all'ultimo».
Una regola aurea, no? «Certo: quando si deve eleggere un presidente, i primi nomi sono sempre quelli che poi vengono tagliati fuori. Così come vengono impallinati quelli che provano a mettersi in prima fila a fare i registi: da questo punto di vista, l'operazione fatta da Matteo Renzi nel 2015 per eleggere Mattarella fu magistrale. Anche se non gli portò fortuna. In genere comunque le cose si decidono a pochissime ore dal voto, su una carta coperta, mentre la principale attività nelle settimane precedenti è quella di creare cortine di fumo e fake news per occultare le mosse e bruciare le carte altrui».
Nel 2006 toccò a Napolitano. «Anche lì ci fu la manina di Veltroni per fregare D’Alema, che ci sperava tanto da essersi messo a fare i conti dei suoi voti potenziali: un errore madornale, nessuno può vincere quella partita in modo muscolare. Il nome venne tenuto fuori fino all'ultimo: ricordo di aver incontrato Napolitano, che all'epoca era un pensionato del Parlamento europeo, ad un matrimonio ad Anacapri. Ero a un tavolo con D'Alema, Bassolino, le nostre mogli e lui si avvicinò sorridendo: "Vedo che avete fatto il tavolo dei potenti". Poche settimane dopo era al Quirinale».
Nel 2013 fu rieletto dopo il tonfo dei 101 di Prodi. Come andò? «Sui 101 fu fatta una letteratura ex post: la realtà è che l'elezione di Prodi non era nel novero delle possibilità. Troppo ingombrante, troppo divisivo, troppe antipatie personali maturate negli anni: i numeri non c'erano, e D'Alema avvertì lealmente sia Prodi sia l'allora segretario Bersani che sarebbero andati a sbattere. Poi tutto venne messo in conto al solito uomo nero di Rignano, Matteo Renzi, ma è una leggenda di comodo costruita dopo».