il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2021
GLi Amazombie di Jessica Bruder
Racconta Jessica Bruder che tutto è iniziato venendo a conoscenza del programma CamperForce. Amazon ha pensato di sopperire alla mancanza di manodopera nei picchi di vendite richiamando masse di lavoratori in camper, roulotte e tende per farli correre avanti e indietro in magazzini grandi come tredici campi da calcio armati di pistola scanner. Sono precari cronici o vittime del crollo finanziario del 2008 e spesso hanno i capelli bianchi. “Amazombie” come Linda May. “È lei di gran lunga il personaggio centrale del libro” dice la Bruder. Ormai sessantenne e senza pensione, Linda ha scelto di vagare in cerca di lavori stagionali piuttosto di marcire sul divano-letto dei figli. Ma come conciliare la scelta “alternativa” di vivere in camper con lo sgobbo tra i regali di Natale? Jen e Ash, una coppia di camperiste, hanno cercato il lato umoristico compilando una lista di prodotti assurdi come “uno stimolatore anale attaccato a una coda di volpe”.
Il successo di Nomadland, libro (“tradotto in 24 lingue” dice orgogliosamente la Bruder) e film premio Oscar, è planato come un inquietante insetto nel piatto sempre più popolare della “vanlife”. Persino in Italia ci sono gruppi Facebook che glorificano le dure gioie della vita in camper e hanno trovato altra benzina nella diffusione del lavoro virtuale amplificato dal Covid. Su Youtube proliferano canali di chi ha fatto il salto (nel buio?) e pubblica video di cieli stellati visti attraverso l’oblò, ma anche consigli per le riparazioni e gli acquisti nell’intento di condividere o camparci se i follower sono tanti. Meglio un cesso “nautico” con serbatoio da 100 litri svuotabile solo in “aree attrezzate” o quello “a cassetta” con serbatoio da 25 litri ma svuotabile ovunque portandolo in giro come un trolley dal- l’imbarazzante contenuto?
Dettagli a parte, cosa si nasconde dietro l’utopia di liberarsi di affitti e bollette che confina con la distopia ormai pietrificata nel volto spigoloso di Frances MacDormand, protagonista del film di Chloé Zhao? È una scelta vera oppure obbligata? “Poniamola in questi termini: è come scegliere tra una botta in testa e un colpo al ginocchio” dice la giornalista. Ma chi prende un colpo al ginocchio non organizza festival di persone colpite al ginocchio, mentre i nuovi e vecchi nomadi americani si incontrano nei var “Rubber Tramp Rendezvous”, come quello nel deserto dell’Arizona tra il bookstore di un librario nudista e la tomba di Hi Jolly, cammelliere dell’esercito statunitense d’origine siriana, sormontata dalla sagoma di un dromedario. In altre parole per quanto la scelta sia forzata, alle spalle si sente il vento di una controcultura.
Il furgone lo possedeva già o lo ha comprato per scrivere il libro? “L’ho comprato. In passato per seguire un festival avevo usato una tenda” dice la Bruder, che ha concluso la tournée italiana di presentazione del libro con un trekking delle Dolomiti insieme a una amica. Molte persone che vivono in camper hanno un cane. Anche Steinbeck si è portato dietro un barbone di nome Charley, per il suo “viaggio alla ricerca dell’America” su un pickup soprannominato “Ronzinante”. Non ha pensato di fare la stessa cosa con il suo cane? “Il mio cane è di taglia piccola e non me la sono sentita di portandomelo dietro” dice la Bruder che sembra essere stata più ispirata da un altro titolo di Steinbeck (Furore) e mostra la foto sul telefonino di un cagnetto con un cappottino irto di aculei per proteggerlo dagli animali selvatici. Succede anche questo a New York.
Da dove è partita per scrivere il libro? Dove vive? “A Brooklyn”. Come è riuscita a fare un lavoro tanto approfondito in un momento in cui il giornalismo ha il fiato sempre più corto e sempre meno risorse? “Insegno alla scuola di giornalismo della Columbia University”, spiega la Bruder. Senza gli echi romantici della vita nomadica il racconto non avrebbe avuto lo stesso fascino a doppio taglio e sarebbe stato una versione più recente del lavoro d’inchiesta di Barbara Ehrenreich, Una paga da fame (Feltrinelli). È stato un modello per lei? Tra l’altro la Ehrenreich ha recensito molto bene Nomadland. “Conoscevo Una paga da fame ma i miei modelli sono stati altri” dice la Bruder.
Genere picaresco e precariato vanno a nozze da tempo: La strada di Jack London e Walk on the wild side di Nelson Algren sono forse i titoli più noti. “Era così difficile andare, era così difficile restare, era tutto così difficile fino in fondo”, scrive Algren in stato di grazia letteraria. Passando col suo furgone sopra gli stessi baratri simbolici e reali, la Bruder si focalizza su donne spesso sole e questo dà forza e originalità al racconto. In compenso mancano totalmente persone di colore… “Non ne ho incontrate. Il mondo dei vandweller è un mondo di bianchi. Credo che essere di colore e vivere in un camper sia davvero troppo nell’America di oggi”.