Corriere della Sera, 9 novembre 2021
I numeri sugli animali domestici in Italia
Gli italiani sono decisamente un popolo di amanti degli animali: se nel 2019 era stato raggiunto il rapporto di 1 a 1 tra popolazione e «pet» – circa 60 milioni gli uni e altrettanti gli altri —, nel 2020 il numero dei secondi è ulteriormente cresciuto e oggi nelle nostre case si contano 62,1 milioni animali domestici, di cui circa 8,2 milioni di cani e 7,9 milioni di gatti (il resto è rappresentato dai pesci degli acquari, quasi 30 milioni, e dai volatili, quasi 13).
Non è un caso che l’incremento sia stato più marcato proprio nell’anno della pandemia: lockdown e zone rosse hanno da un lato favorito la vita domestica e tante famiglie hanno pensato di completarsi accogliendo un amico a quattro zampe; e dall’altro chi non aveva qualcuno accanto ha trovato nella compagnia di un cane o di un gatto il conforto alle lunghe giornate di isolamento. Sul fronte economico questo si è tradotto in un anno record per le aziende del settore, che hanno fatto registrare una crescita eccezionale dell’8,8% rispetto all’anno precedente.
I numeri emergono dal 14esimo rapporto Assalco-Zoomark che, come ogni anno, scatta la fotografia del comparto del pet care in Italia. Le famiglie che possiedono un animale domestico sono 12,2 milioni, circa un milione in più rispetto alla precedente rilevazione e, di fatto, la metà di tutte le famiglie italiane censite dall’Istat, che sono 25 milioni e 700 mila. Questo pone il nostro Paese al di sopra della media europea stimata da Fediaf, che si attesta al 40%. Ma più che le percentuali dicono i numeri assoluti: nel vecchio continente sono censiti più di 300 milioni di animali da compagnia, 228 milioni se si considera solo l’area Ue, con un rapporto per abitante di 1 a 2, la metà rispetto all’Italia. C’è poi un’altra differenza: in Europa il pet più diffuso è il gatto, con circa 110 milioni di esemplari, seguito dal cane con 90 milioni. In Italia fino al 2020 i due animali domestici per eccellenza si equivalevano in numero, ovvero circa 7 milioni gli uni e gli altri; nell’ultimo anno i cani hanno superato i felini ma entrambe le specie sono comunque cresciute fino ai numeri già citati all’inizio, per un totale di oltre 16 milioni.
L’aumento del numero di animali domestici è stato determinante nella crescita dei fatturati e dei volumi di acquisti. Solo per il pet food gli italiani hanno speso, da giugno 2020 a giugno 2021, 2 miliardi e 350 milioni di euro, con un incremento del 6,4% rispetto all’anno precedente.
Per gli accessori, ovvero tutto quello che non è cibo (prodotti per l’igiene, antiparassitari, giochi, abbigliamento, ciotole, guinzagli, etc), la spesa è stata di 75,1 milioni. Un discorso a parte riguarda le lettiere per gatto, una necessità per tutte le famiglie che ospitano i propri mici in un appartamento, che da sole valgono 78,3 milioni di euro.
Il trend positivo, in realtà, era iniziato già prima della pandemia: anche negli anni della crisi economica il pet care era stato uno dei pochi settori a fare registrare variazioni sempre in positivo e dal 2017 ad oggi la progressione è stata rispettivamente del 2,6%, del 3%, del 4,3%. Fino, appunto, al 6,4% dell’ultima rilevazione.
Lo studio evidenzia anche come sia sempre maggiore la propensione dei consumatori ad acquistare prodotti di qualità, che si traduce in una variazione maggiore in termini di valore che di volumi e la buona tenuta dei negozi specializzati, sia quelli tradizionali sia quelli delle principali catene tematiche, con una crescita progressiva anche dei cosiddetti «petshop gdo», ovvero i nuovi punti vendita dedicati agli animali legati ai marchi della grande distribuzione organizzata.
In aumento sono anche le strutture veterinarie nelle diverse forme, dallo studio gestito da un singolo medico alle cliniche: erano 7.100 nel 2018, sono arrivate a 9.400 nel 2021 (fonte Seat/Iol).
Tutto bene dunque? Le cose potrebbero anche andare meglio se le istituzioni dessero un piccolo aiuto. I prodotti per gli animali in Italia sono ancora equiparati ai beni di lusso, con un’aliquota Iva del 22%. Una contraddizione se si pensa al valore sociale degli animali in famiglia, ormai assodato, che la pandemia ha messo ulteriormente in evidenza. Le associazioni di categoria e il mondo animalista da tempo chiedono di abbassarla almeno al 10%.