La Stampa, 9 novembre 2021
La lobby del petrolio
Il tempo stringe. Il 12 novembre, data di chiusura della Conferenza sul Clima, si avvicina rapidamente e il febbrile lavoro dei negoziatori non si ferma neanche di notte. Ma lontano dalla frenesia tutta discorsi, star e applausi, nelle salette private e blindate dove si sta cercando di mettere in piedi il documento finale della «storica» Cop26, si respira tutto fuorché entusiasmo. Nella bozza preliminare diffusa dal presidente della conferenza di Glasgow, Alok Sharma, c’è tutto quello che dovrebbe esserci tranne il punto fondamentale: l’addio, seppure graduale, ai combustibili fossili. Che neppure vengono citati. Eppure, sarebbe una delle condizioni necessarie alla transizione verde. La «dimenticanza» secondo attivisti e osservatori ha una causa precisa: le lobby del petrolio. Mentre i leader del mondo si affannano a trovare accordi, intese e alleanze per ridurre l’inquinamento da CO2, i gruppi di pressione lavorano senza sosta per boicottarli e continuare a bruciare combustibili fossili.
Il primo campanello d’allarme l’aveva suonato GreenPeace, che a fine ottobre aveva svelato, grazie a un’inchiesta realizzata da Unearthed, team di giornalisti investigativi, l’esistenza di una lobby che stava lavorando dietro le quinte per «annacquare» il rapporto sul clima dell’International Panel on Climate Change (Ipcc) delle Nazioni Unite, in modo da eliminare le conclusioni più scomode, quelle che potrebbero minacciare gli interessi di alcune grandi aziende e Paesi. In prima fila c’era l’Arabia Saudita. Ieri è arrivata anche l’inchiesta degli attivisti di Global Witness, che hanno analizzato l’elenco dei partecipanti alla Cop26 e hanno scoperto che 503 delegati con legami e interessi nei combustibili fossili erano state accreditate. Un numero enorme, se pensiamo che sulle circa 40.000 persone che partecipano alla Cop il Brasile ha la più grande squadra di negoziatori, con 479 delegati.
«Se l’industria dei combustibili fossili fosse un Paese - dicono da Global Witness - avrebbe di gran lunga il maggior numero di delegati. Centinaia di lobbisti hanno invaso Glasgow, difendendo gli interessi dei grandi inquinatori. È come se i lobbisti di Big Tobacco intervenissero a una conferenza sul cancro ai polmoni».
E il paragone non è casuale. Come l’industria del tabacco ha negato per anni gli effetti dannosi sulla salute, «l’industria dei combustibili fossili ha passato decenni a negare e ritardare un’azione reale sulla crisi climatica – spiega Murray Worthy di Global Witness. La loro influenza è uno dei motivi principali per cui 25 anni di colloqui sul clima non hanno portato a tagli reali delle emissioni globali».
Ancora secondo Unearthed, l’Arabia Saudita, ma anche Australia e Giappone hanno spinto per rimuovere dai rapporti che il mondo ha bisogno di eliminare gradualmente i combustibili fossili e l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), dal canto suo, ha voluto eliminare diversi passaggi, tra cui un riferimento a «potenti gruppi di pressione che hanno interesse a mantenere le attuali strutture economiche ad alto contenuto di carbonio».
Non solo: il Regno Unito ha organizzato il vertice in collaborazione con aziende come Boston Consulting Group, che fornisce consulenza alle compagnie petrolifere e del gas, e l’unica differenza rispetto alle precedenti Cop è che sono state vietate le sponsorizzazioni dirette alla Conferenza. Ma non è un mistero che diversi eventi collaterali siano stati organizzati da grandi aziende o banche che investono nei combustibili fossili o organizzazioni come la Association of Oil and Gas Producers.
Il tempo stringe, il documento è ancora una bozza, ma se non si inverte la rotta, i grandi inquinatori potrebbero averla vinta ancora una volta.