il Giornale, 8 novembre 2021
Identikit di chi compra all’asta
Piera Anna Franini
Dici asta e la mente corre al colpo di martello, allo scoccare dell’«aggiudicato», alle cifre da capogiro di alcune opere ed oggetti come il milione e 472mila dollari per le Nike di Michael Jordan, per citare una recente aggiudicazione. Aste debitrici della regola delle tre D – divorzio, debito, decesso – che sono poi le cause principali per cui di solito si mette sul mercato un oggetto di valore. Al netto delle scariche di adrenalina per chi acquista e delle malinconie, ma anche dei momenti liberatori per chi vende, le aste rimangono un formidabile (...)
(...) momento di scambio socio-economico, metro di misura di desideri, mode, gusti e tendenze del momento. S’aggiunga il fatto che identificano l’area dove si concentra la ricchezza del mondo, ora corrispondente ad Asia e America a fronte di un’Europa che è un pozzo di tesori cui i due colossi attingono a piene mani.
GLI UTENTI CAMBIANO
A tacere della fase post Covid-19, questo secondo decennio ha visto un crescendo di volume d’affari per le grandi case, dai giganti internazionali Christie’s e Sotheby’s alla Pandolfini, punta italiana del settore. Il boom di investimenti in opere d’arte e beni di collezione si spiega in gran parte con l’affacciarsi di nuovi acquirenti da Paesi che fino a qualche anno fa erano silenti. È il caso di Cina e Medio Oriente (Pechino è diventato il primo mercato per le aste) sebbene siano ancora gli Stati Uniti a dominare il mercato globale: gli Usa sono il Paese con più milionari e, come ricorda Guido Guerzoni, specialista di economia dell’arte, sono proprio i paperoni ad assegnare «una media del 10% del patrimonio ai cosiddetti investimenti di passione. All’interno di questi investimenti, le categorie più popolari sono quelle dei gioielli, pietre preziose e orologi, l’arte è la terza categoria in ordine di popolarità con una quota del 17%».
I nuovi frequentatori di case d’asta appartengono, oltre che a nuove aree geografiche, anche a nuove fasce anagrafiche: l’ultimo trend è infatti l’impennata di utenti millennials. Filippo Lotti, Sotheby’s Italia Managing Director, spiega: «Il numero dei trenta/quarantenni che si rivolge a noi è quadruplicato rispetto a cinque anni fa».
A far notare un elemento in più è Mariolina Bassetti, presidente di Christie’s Italia: «Le nuove ricchezze si concentrano proprio nella fascia dei trentenni e quando ci si arricchisce il primo bene cui si guarda è il collezionismo. Nelle nostre ultime aste online il 58% dei partecipanti era costituito da millennial. Questa evoluzione generazionale spiega successi come quello di Everydays». Everydays, opera digitale di Beeple, è stata venduta da Christie’s a più di 69 milioni di dollari. L’asta, che si svolgeva online e in cui si accettavano anche pagamenti in criptovaluta, ha visto numeri inediti: 22 milioni di spettatori e 33 persone che hanno partecipato in modo attivo facendo un’offerta. Tra questi ultimi il 91% non aveva mai partecipato ad un’asta di Christie’s, più della metà si trovava negli Usa, il 58% era millennial, il 6% apparteneva addirittura alla Generazione Z (nati alla fine degli anni Novanta), il 33% alla Generazione X (nati tra il 1965 e il 1979) e solo il 3% erano Baby Boomer (le classi prima del 1965).
Qual è dunque l’identikit dell’odierno frequentatore di case d’asta? «Si tratta come ovvio di collezionisti anche se non c’è un profilo unico: non vendiamo solo i Botticelli da 90 milioni, ma anche gioielli da mille euro in su. Il nostro utente è mediamente benestante, seppur non necessariamente milionario, è incuriosito da beni che possono risultare superflui ma che vanno a comporre il mondo in cui vive, oggetti che parlano di chi li possiede. Poi ci sono acquisti sani e folli. Ci sono collezionisti che non condividono nulla, altri che invece collezionano per condividere», spiega Lotti.
Ad accelerare tutti i processi in atto è stata la pandemia. Ne è convinto Pietro De Bernardi, il direttore della Pandolfini, la casa d’asta fondata a Firenze dal bisnonno Luigi e che per volumi di vendita (43 milioni in pre-pandemia) è al primo posto fra le concorrenti italiane, oltre che tra le prime dieci europee. A ridosso del 2020, spiega De Bernardi, «totalizzavamo il 10% di vendita in sala, 50% al telefono e 40% online. Dall’inizio della pandemia l’online registra un +180%. La sala si è dimezzata. I clienti importanti faticano ad assicurare la loro presenza fisica, non hanno tempo e oggi hanno anche difficoltà a muoversi. Seguo le aste di tutto il mondo e in sala, salvo qualche eccezione, è lo stesso dappertutto».
L’asta, però, è anche spettacolo, un seguito di colpi di scena, rischia di perdere la sua fragranza quando atterra su una piattaforma digitale. Ben lo sa Filippo Lotti, battitore trentennale e che ancora avverte l’emozione quando sale sul rostro. Il colpo più emozionante? «Non è quello dell’aggiudicato, come si sarebbe portati a pensare, ma il primo. Così come non sono le cifre astronomiche ad elettrizzare, non conta se il lotto vale 1 milione o 10mila euro, conta riuscire a venderlo al massimo del suo valore. Il martello è qui con me e lotta», prosegue accompagnando le parole con rintocchi di martello. «Dico lotta perché sono convinto che come l’ebook non ha sostituito il libro cartaceo, così l’asta digitale non scalzerà quella tradizionale, per certi tipi di vendite rimarrà ancora indispensabile la presenza».
MODELLO IBRIDO
Il punto di arrivo, in realtà già oggi nei fatti, è un modello ibrido, prosegue Bassetti. «E anche le aste online possono regalare emozioni e in qualche misura spettacolo». Su tutte quella globale del 10 luglio 2020. «Per recuperare le aste perdute nei mesi precedenti abbiamo realizzato un’asta di Arte Moderna e Contemporanea in quattro locazioni diverse, con quattro diversi battitori e seguendo altrettanti fusi orari. Un unico schermo che legava le quattro location. È stato un modo per tornare attivi». E l’espressione suona riduttiva se si considera che l’operazione si è conclusa con aggiudicazioni per 421 milioni di dollari.
A fronte del crescendo di operazioni da remoto, conteranno sempre di più forza commerciale e reputazione del marchio. «Se si può contare su uno staff di esperti stimati, per molti clienti risulta meno importante vedere l’opera dal vivo», spiega De Bernardi.
Pandemia, ricchezze concentrate in aree geografiche e fasce anagrafiche diverse che impatto hanno sulla tipologia degli aggiudicati? Quali oggetti sono caduti in disgrazia e quali invece alla ribalta? «Sta avendo molto fortuna il collezionismo di gioielli, orologi, prodotti piccoli e dunque facili da trasportare e da vedere, anche da lontano. Ha successo tutto ciò che è ben visibile digitalmente», spiega Bassetti. Da Sotheby’s, osserva Lotti, vanno a ruba «borse, borsette, prodotti di design, arte asiatica contemporanea e alcolici, dai vini ai distillati. Questa intera area copre in questo momento il 45% delle nostre vendite». Sono invece in grande sofferenza gli arredi e i mobili antichi, una categoria leader fino agli anni Ottanta e poi in lenta decadenza. «Una volta il trumeau veneziano o lombardo era uno status symbol e costava più di un Fontana, ora non lo vuole più nessuno», aggiunge ancora Lotti. Che mette in guardia su una categoria: «Vi sono oggetti di design che possono essere riprodotti facilmente». Quindi? «Ha senso comprare il prototipo, i pezzi primi, altrimenti si rischia il buco nell’acqua».