Il Messaggero, 8 novembre 2021
Ma Dio è uomo o donna?
Il quesito si trascina insoluto da sempre, si almanaccano i teologi e si confrontano i filosofi: Dio è donna o uomo? La natura del Creatore sembra essere destinata a restare un mistero ma sullo sfondo si fa strada la moda dilagante, ispirata al politically correct, di mettere un asterisco di genere dopo il nome, in modo da opacizzare le desinenze maschili e femminili. Dio* diventa così neutro, senza specificare il sesso. I giovani cattolici in Germania (tra i più accesi sostenitori della riforma della Chiesa in chiave egalitaria, democratica, progressista e, ovviamente, rispettosa del gender) si stanno battendo per far passare questa versione salomonica. Dio con l’asterisco. Di fronte a questa mossa la conferenza episcopale tedesca nonostante le spaccature al suo interno tra progressisti e tradizionalisti si è immediatamente ricompattata per riportare un po’ d’ordine. E così l’idea di scrivere Dio* versione politically correct è stata respinta in un amen.
L’ORTOGRAFIA«Il dibattito teologico sulla questione non è rilevante in questo momento. Abbiamo ben altri problemi da affrontare nella Chiesa in questo momento» ha tagliato corto il portavoce della conferenza, Matthias Kopp, aggiungendo che Dio è più del sole, della luna e delle stelle. Quindi, ha aggiunto, «non possiamo afferrare Dio. Non possiamo descrivere Dio a parole». Tutto è nato da un documento della Comunità cattolica giovanile tedesca, Katholische junge Gemeinde, in cui si anticipava la road map delle riforme inclusiva anche dell’ortografia di come definire Dio. I ragazzi motivavano questo passaggio perché i loro coetanei sembrano scoraggiati e stanchi di vedere l’immagine classica di un Creatore raffigurato sempre bianco e maschio.
«La rappresentazione di un Dio maschio e bianco non è all’altezza e rende più difficile l’accesso di molti giovani alla Chiesa e alla fede». L’associazione giovanile cattolica (che conta circa 600 mila iscritti) metteva l’accento sulla discriminazione femminile implicita. I vescovi di fronte a questa alzata d’ingegno non sono riusciti a restare silenti. Solitamente tolleranti nei dibattiti diocesani, persino in quelli più estremi (tipo se non sarebbe meglio avere una Papessa) stavolta non ci hanno pensato due volte a reagire. Solo un vescovo ha timidamente accolto con favore l’ipotesi, probabilmente per non inimicarsi i ragazzi, essendo il responsabile del settore giovanile della conferenza episcopale tedesca. Il fatto è che i giovani nemmeno vogliono riflettere sul fatto che le prime parole del Padre Nostro sono appunto, Padre Nostro. Tuttavia ad avere aperto pubblicamente il fronte sulla natura di Dio è stato proprio un Papa, Albino Luciani, il pontefice che regnò solo 33 giorni dopo essere stroncato da un attacco cardiaco. Durante un angelus, domenica 12 settembre 1978, disse: «Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile è papà, più ancora è madre». Ruppe il tabù definendo Dio anche madre. Un altro Papa, trent’anni dopo, Benedetto XVI corresse un po’ il tiro e da teologo di peso, nel primo volume del suo Gesù di Nazareth, sulla maternità di Dio ebbe un po’ da dire. «Madre non è un titolo di Dio, non è un appellativo con cui rivolgersi a Dio. Noi preghiamo così come Gesù, sullo sfondo della Sacra Scrittura, ci ha insegnato a pregare, non come ci viene in mente o come ci piace. Solo così preghiamo nel modo giusto». In un altro passaggio Benedetto XVI affermava: «Se nel linguaggio plasmato a partire dalla corporeità dell’uomo l’amore della madre appare inscritto nell’immagine di Dio, è tuttavia anche vero che Dio non viene mai qualificato né invocato come madre, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Madre nella Bibbia è un’immagine ma non un titolo di Dio». E ancora: «L’immagine del padre era ed è adatta a esprimere l’alterità tra Creatore e creatura, la sovranità del suo atto creativo. Solo mediante l’esclusione delle divinità-madri l’Antico Testamento poteva portare a maturità la sua immagine di Dio, la pura trascendenza di Dio».
I GENERILa Crusca, tempo fa, a proposito del dilagare dell’uso dell’asterisco scriveva che non dobbiamo cercare di forzare la lingua «al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire. L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale».