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 2021  novembre 08 Lunedì calendario

Intervista a Francesco De Carlo. Parla di Dave Chapelle accusato di omotransfobia

Dave Chappelle è uno dei più grandi comici al mondo, ha costruito la sua arte passeggiando sulla lastra sottile che separa ciò che è provocatorio, ma illuminante, da ciò che è offensivo. Un equilibrio in crisi: dopo l’ultimo show su Netflix, The Closer, Chappelle è accusato dalla comunità Lgbtq+ di omotransfobia. Netflix alla fine si è scusata. Sono finiti in discussione, soprattutto, i confini della comicità e del politicamente corretto, e i margini della libertà di espressione. Ne parliamo con Francesco De Carlo, uno dei talenti più luminosi tra i nuovi comici della stand up comedy italiana. “Il clima non è tanto sereno – esordisce – se ogni parola che dici può provocare un popolo di persone incazzate che ti esplodono contro su Twitter. Come in ogni fenomeno la realtà è piena di sfumature, ma si formano due chiese, convinte di portare la verità assoluta. La chiesa di chi si preoccupa solo di oltraggiare il politicamente corretto contro la chiesa degli ‘ultrasensibili’, che si offendono per le parole di un comico”.
Le chiese non ti piacciono, ma a quale delle due ti senti più vicino?
Chappelle è forse il più grande comico vivente. Ha un suo punto di vista molto forte, con cui mi capita di non essere d’accordo, ma mi fa ridere e pensare molto. È assurdo scambiare la sua provocazione per un’idea offensiva e violenta.
Le parole di un artista sul palco non vanno prese sul serio?
Un comico non è un chirurgo di Emergency, non cura il mondo: al massimo prova a raccontarne le ferite. L’unica forma di cura è la catarsi: prende un aspetto della vita e ne fa notare gli angoli ridicoli e paradossali. Può essere doloroso, ma il comico vive anche di eccessi e provocazioni.
The Close “mette contro” la comunità afro e quella gay. Come a dire: io sono nero e volete spiegare a me cosa sia l’emarginazione?
Appunto, gioca su un paradosso: da membro di una comunità discriminata e vessata, dice di essere invidioso della sensibilità pubblica per i diritti Lgbtq. È una provocazione, puoi pure trovarlo offensivo: ma allora non lo ascoltare! Nessuno ti costringe a vedere il suo spettacolo. Come nessuno ti costringeva a comprare Charlie Hebdo, se pensavi fosse osceno o irritante.
Invece chiedono a Netflix di “bruciare” il suo show.
Io sono un sostenitore del politicamente corretto, però nella vita… non sul palco. Per un artista è uno spazio sacro, c’è un patto col pubblico: chi va a vedere Chappelle sa cosa trova. Il palco è zona franca: non per offendere gratuitamente, ma per esplorare i limiti e rompere tabù.
Se Netflix si spaventa per gli attacchi a Chappelle, come farà a parlare liberamente un artista meno grande di lui?
Non potrà. Se si gioca sui sensi di colpa, non ci sarà più nessuno a cui sarà consentito mettere in discussione i valori dominanti. Non ci sarà più spazio per chi dice cose forti, che ti ribaltano dalla sedia. Andatevi a rivedere Carmelo Bene da Maurizio Costanzo: è straordinario, enorme, dissacrante. Ecco: chi fa il comico deve poter dissacrare. Senza libertà, non si fa ridere.
Su Netflix c’è anche un suo spettacolo, c’è stato qualche controllo dei contenuti?
No, sono stato completamente libero. Non è mai successo che qualcuno si offendesse a un mio spettacolo, nemmeno quando lavoravo a Londra. In un monologo, un comico può creare un contesto. In cui si possono dire anche cose estreme, ma che dentro quel contesto non siano offensive. Perché c’è differenza tra un punto di vista forte che usa una provocazione e una battuta su omosessuali, donne o stranieri che si basa su vecchi cliché. Questo molti autori italiani non l’hanno ancora capito.
Intanto da noi il dibattito mainstream lo fanno Pio e Amedeo per la libertà di dire “frocio” e “negro” in tv. Ma c’è pure una generazione di giovani – penso anche a Valerio Lundini, Edoardo Ferrario, Luca Ravenna – con una comicità diversa e un pubblico sempre più ampio. Come mai siete quasi tutti romani?
Perché a Roma sono tutti comici: pure la gente per strada! Per far ridere devi diventare più bravo del tuo pubblico. A parte tutto, è vero che la comicità si sta rinnovando. Penso sia fisiologico: cambiano i codici, il linguaggio, si ringiovanisce il pubblico.
Se ne accorge pure la vecchia televisione. Dalla prossima settimana conduci un programma su Rai Due. È meglio del palco?
Il mio ambiente naturale è lo spettacolo live, in tv ci sono un po’ di compromessi da fare e qualche resistenza da superare. C’è un’idea del pubblico sbagliata, lo misurano con strumenti vecchi. Però – e sottolineo il però – queste difficoltà rendono il lavoro più divertente, ti costringono a essere più attento e consapevole. E sono felice di parlare a un pubblico ampio invece che a una nicchia.