il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2021
Storia del primo computer Olivetti
Il titolo è La macchina zero (racconto grafico di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte, editore Solferino). Un libro di avventure che ricorda i maghi sapienti di Harry Potter, insediati in un castello in cui tutto è diverso e migliore. Immaginate una fabbrica con le paghe alte, la formazione professionale curata, i rapporti rispettosi e gentili, un grande asilo per i bambini, una grandissima biblioteca, case per le famiglie e uffici per i dipendenti disegnati da architetti di fama mondiale.
Tutto ciò avviene, nel racconto grafico di Rocchi e Demonte, in una piccola città italiana che non offre alcun incentivo: se non un mestiere e la solitaria persuasione (che nessun altro imprenditore italiano condivideva) che il lavoro (accurato, intelligente e ben ricompensato) sia la più importante materia prima. A questo punto della storia – che, come stiamo per vedere, è felice ma anche tragica – compaiono due personaggi che resteranno unici anche dopo la loro fine.
Sono Adriano Olivetti, l’imprenditore che sogna molto e trasforma i sogni in merci e prodotti, disegnati come mai era accaduto e desiderati nel mondo. E Mario Tchou, il giovane ingegnere cinese che prevede, progetta e realizza il primo calcolatore elettronico italiano, europeo, e il solo nel mondo che possa competere con l’unico calcolatore americano, quello della Ibm. Olivetti, che vive nel futuro, crede nel computer che l’ingegner Tchou sta disegnando e riorganizza la sua fabbrica come il luogo e la comunità di una grande attesa. C’entra la più avanzata tecnologia (i transistor), c’entrano gli ingegneri che conoscono e percorrono questo nuovo orizzonte, c’entrano gli architetti che dovranno costruire gli spazi, c’entrano i designer che dovranno inventare le forme, totalmente nuove e diverse.
La “macchina Zero” comincia ad esistere in uno spazio di alcune stanze, al piano terra del Palazzo Olivetti, in via Clerici a Milano. Qui il recensore di questo libro, che racconta la storia grande ma quasi sconosciuta del calcolatore italiano – e dei due personaggi che stavano per cambiare la vita industriale, economica, politica del Paese – deve introdurre se stesso. L’ingegner Olivetti e l’ingegner Tchou mi hanno chiesto di trasferirmi subito negli Usa e stabilire un reticolato di contatti con le università americane, per individuare e portare in Italia giovani dottorandi americani e non americani. Olivetti diceva: filosofi, letterati, sociologi, antropologi, matematici; per formare, insieme agli europei e agli italiani, una “legione straniera” di esperti della nuova tecnologia che stava nascendo.
Era l’inizio del 1959. Nel gennaio del 1960 l’ingegner Olivetti viene trovato morto, da solo, su un treno diretto a Ginevra. Nel novembre del 1961, sulla autostrada Milano-Torino l’ingegner Tchou morì in un inspiegato scontro con un’altra automobile E così la “Macchina Zero” non ha mai cominciato la sua corsa nel mondo. I due maghi della grande fiaba italiana non c’erano più.