La Stampa, 8 novembre 2021
Tasse, Musk contro Biden
Centoquaranta caratteri per infiammare la rete, smuovere le coscienze ed entrare a gamba tesa nella politica di Washington, lanciando la sua personale sfida al presidente degli Stati Uniti. Elon Musk torna a far parlare di sé organizzando un referendum tra i suoi quasi 63 milioni di «seguaci» di Twitter. «Ultimamente si parla molto di guadagni non realizzati come mezzo di elusione fiscale, quindi propongo di vendere il 10% delle mie azioni Tesla», scrive l’uomo più ricco del mondo chiamando in causa Joe Biden e la sua proposta di far pagare più tasse ai ricchissimi d’America per finanziare l’agenda economica e sociale della Casa Banca andando ad operare un prelievo fiscale sulle «plusvalenze virtuali» di chi possiede titoli il cui valore è schizzato in alto. Proprio come quelli di Tesla, che hanno permesso a Musk di diventare l’uomo più ricco del pianeta con un patrimonio cresciuto del 1.700% a 388 miliardi di dollari in soli due anni. Nel mirino del visionario defezionista della Silicon Valley (ha preferito il Texas alla California) c’è una proposta di legge avanzata dai democratici in Senato con cui si intendono tassare non solo i guadagni in conto capitale, ovvero ottenuti dalla vendita di pacchetti azionari, ma anche le «plusvalenze virtuali» legate alle azioni che non vengono vendute, secondo il principio del «mark-to-market», ovvero sul valore dato dal mercato. Si tratta di una norma che prenderebbe di mira circa 700 tra le persone più ricche degli Usa – spiega il promotore, il presidente della commissione finanze del Senato, il democratico dell’Oregon Ron Wyden – da cui attingere preziose risorse per finanziare il maxi piano da 1.800 miliardi di dollari di Biden. Ovvero quello che contiene drastiche misure sociali e ambientali ma che per ora rimane al palo in Congresso per le contrapposizioni tra l’ala moderata e quella progressista dell’Asinello, divise sulle ricadute in termini di deficit federale. Di qui il futuro incerto, con un voto tra Senato e Camera per ora previsto entro fine novembre. Ebbene la nuova tassa sui Paperoni d’America poteva essere un modo per superare l’impasse: la legge avrebbe eliminato la capacità dei miliardari di differire a oltranza le imposte sulle plusvalenze.
La proposta però ha suscitato una forte opposizione ed è stata abbandonata alla spicciola alla fine di ottobre, sebbene i democratici siano pronti a riprenderla in mano in caso di stallo del piano di investimenti a Capitol Hill. E così a mettersi di mezzo è stato Musk il provocatore non nuovo a stravaganti sortite sui social come quando si è lanciato in dichiarazioni passionali per le criptovalute o come quando, il 7 agosto del 2019, annunciò la sua intenzione di effettuare un ritiro di Tesla dal listino azionario del Nasdaq a 420 dollari per azione. Azioni che hanno sempre avuto un peso. E questa non sembra essere da meno, anche perché lo stesso imprenditore visionario scrive su Twitter «rispetterò i risultati di questo sondaggio, in qualunque modo andrà», tirando in ballo il presidente Usa una riga più sotto con un gioco di parole arrotondando «abide» (ovvero rispetterò) in «abide(n)». Una sorta di citofonata al 1600 di Pennsylvania Avenue con cui Musk vuole far vedere di essere dalla parte degli oppositori, non tutti super ricchi, i quali temono che l’imposta possa essere allargata per applicarla, tra l’altro, ai beni dei contribuenti meno abbienti. «Succede che finiscono i soldi degli altri e vengono da te», aveva scritto il patron di Space X il mese scorso su Twitter. Musk contesta che le «plusvalenze virtuali» siano legate al concetto di elusione fiscale, e spiega che l’unico modo per pagare le tasse è per lui vendere le azioni, con conseguenze imprevedibili sull’andamento del titolo e i riflessi sul mercato. Musk infatti detiene azioni Tesla per circa 200 miliardi (17% del capitale), e il 10% che dovrebbe vendere (visto il 58% dei sì) ammonta ad almeno 20 miliardi di dollari. «Il fatto che l’uomo più ricco del mondo paghi o no le tasse – replica lo stesso senatore Wyden – non dovrebbe dipendere dai risultati di un sondaggio su Twitter».