La Stampa, 8 novembre 2021
Andrea Pennacchi parla del padre deportato
«Il giorno di Ferragosto del 1944 mio padre che ha 17 anni viene convocato dai nazisti. Vieni, ti portiamo in un bellissimo campo estivo a Ebensee in Austria. Ti divertirai. Ti faranno fare dei giochi. Molto divertenti. Magari però saranno giochi mortali. Come il gioco dell’alano che ti azzanna quando meno te l’aspetti. Oppure il gioco dell’impiccato. In ogni caso ti sentirai protetto, c’è il filo spinato»: suona pressappoco così l’attacco dell’ironico e sconvolgente monologo dello scrittore e attore 52enne Andrea Pennacchi, andato in onda venerdì durante la puntata di Propaganda Live su La7. Nel programma di Diego Bianchi e di Makkox, Pennacchi è una presenza abituale: è suo il personaggio di Poiana, padroncino del Nord-Est. Il testo di venerdì, però, alla vigilia del centenario della nascita del Partito nazionale fascista (il 9 novembre 1921), racconta la deportazione e la vita di suo padre nel Lager nazista, nel 1944.
A ispirargli la versione sarcastica della pièce (un’altra, meno ironica, venne scritta e rappresentata a teatro in epoca pre-Covid, con il titolo Mio padre) è stata la manifestazione no Green pass di qualche giorno fa a Novara. I dimostranti erano travestiti da internati, con casacche a righe e un finto filo spinato, e la capeggiava un’infermiera, adesso radiata dall’incarico, che ha «giustificato» con paragoni insostenibili la macabra messa in scena. «L’esperienza di mio papà nel Lager - spiega Pennacchi - si è coniugata con la mia personale esperienza. Sono stato colpito da un Covid molto grave, finendo in rianimazione. Comprendo la libertà di protesta ma sono fortemente contrario ai No vax e ai no Green pass. Soprattutto vedere la sceneggiata di Novara mi ha sconvolto: la loro era ignoranza storica o desiderio di mettere in burletta la più grande tragedia del ’900? Generosamente propendo per la prima ipotesi».
Come mai suo papà, così giovane, venne arrestato?
«Mio padre era un antifascista padovano. Faceva parte delle Sap, Squadre di azione patriottica, lavorava in una tipografia e stampava materiale di propaganda contro il regime mussoliniano. Pure mio nonno, che faceva il carrettiere, era fortemente ostile alle camicie nere. E lo fu fin dal 1921, dalla nascita del partito fascista. Aveva già intuito cosa sarebbe accaduto. Successivamente, col suo barroccio, aiuterà alcuni ebrei a fuggire. Papà crebbe in questo clima di opposizione e presto si unì ai gruppi di ribelli che facevano attentati contro fascisti e nazisti. La sua cattura fu dovuta alla confessione di un suo compagno sappista che era stato torturato».
Quali sono gli episodi della vicenda di suo padre che l’hanno maggiormente colpita?
«Mio papà, scomparso nel 1999, al rientro dalla prigionia e per molti anni ebbe una sorta di ritrosia a parlare della sua esperienza. Solo poco a poco venni a sapere delle inenarrabili sofferenze che aveva sopportato. Per ricostruire questo lungo viaggio di rimozione e di dolore ho lavorato anni. Imprigionato a Padova assieme a mio zio, mio padre venne poi trasferito a Verona, quindi a Mauthausen, per approdare infine a Ebensee. In quest’ultimo campo il comandante, di nome Ganz, aveva come braccio destro un giovanotto soprannominato "la pantera bionda". Aveva un alano che scatenava contro i prigionieri e inoltre godeva nell’abbatterli a pugni».
Quando e come avvenne la liberazione dal Lager?
«I prigionieri del campo di concentramento lavoravano a scavare dei tunnel che sarebbero dovuti diventare siti per mettere a punto e lanciare missili contro gli Alleati. Vedendo la sconfitta vicina, le SS tentarono di costringere i detenuti a entrare nei tunnel. Intendevano farli saltare e farli diventare dei cimiteri. Per fortuna vi fu una rivolta, a cui parteciparono mio padre e mio zio, che impedì ai nazisti di portare a termine il funesto progetto. Il 6 maggio 1945 i deportati non credevano ai loro occhi: arrivò il Terzo Cavalleggeri americano. Rientrato in Italia, mio padre decise di non vendicarsi nei confronti dell’uomo che lo aveva denunciato: era un musicista che incontrava spesso nelle strade di Padova. Lo perdonò. Si viveva in un’atmosfera di riconciliazione e di desiderio di voler superare le drammatiche fratture causate dalle dittature. Qualcosa che oggi mi pare stia venendo meno».
Si avverte, negli ultimi tempi, un’aria di grande nostalgia e di rigurgiti neofascisti. È anche per questo che ha deciso di rendere pubblico il viaggio agli inferi del suo genitore?
«Certo, la spinta a narrare oggi l’odissea di mio padre mi è venuta anche per via del clima che stiamo respirando da qualche tempo. Non solo si sta verificando il rifiuto drastico della memoria, della cancellazione degli eventi del periodo nazi-fascista. Ma per di più emergono legami anche personali fra protesta No vax e gruppi di estrema destra, infiltrati e ben radicati nelle file dei manifestanti "per la libertà". Si finge di lottare per gli ideali e invece si cerca di riabilitare le dittature».