La Stampa, 8 novembre 2021
Le malattie invisibili che colpiscono le donne
«Per anni mi hanno detto che i dolori erano “tutti nella mia testa”. Che dovevo “sopportare”, in fondo tutte soffrono, e perché io non avrei dovuto? Ma io stavo male, piangevo, spesso non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto. Poi, confrontandomi con altre ragazze, ho trovato un uroginecologo che facesse la giusta diagnosi». Martina Carpani ha 27 anni e da pochi mesi ha scoperto di essere malata, con sintomi che si porta dietro dall’adolescenza, di una «malattia invisibile»: la vulvodinia, che provoca un forte bruciore alla parte esterna dei genitali femminili tanto da sfociare in una infiammazione dei nervi dell’area pelvica. Per chi ne soffre, fare la pipì, avere un rapporto sessuale, anche uscire con gli amici e godersi una vacanza, diventa un’impresa impossibile. Martina non è un caso raro: in Italia ne soffre una donna ogni sette. Ma per il ministero della Salute ad oggi non esiste: nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, non ce n’è traccia. E così, il tempo medio che serve per vedersi diagnosticata la vulvodinia è di cinque anni, durante i quali si va da uno studio medico all’altro, sottoponendosi a numerosi esami e terapie che si rivelano ogni volta sbagliate. C’è infatti una quota minima di ginecologici che sa riconoscerne i sintomi e, di conseguenza, curarla. Stesso discorso per l’endometriosi – l’unica inserita nei Lea – il cui ritardo diagnostico è di sette anni e mezzo. Ma ci rientra anche la fibromialgia, la cui diagnosi richiede circa cinque anni, e in generale tutte le patologie del dolore pelvico. Malattie «femminili» perché i numeri indicano in 3 milioni le donne affette di endometriosi e in circa 2 i malati di fibromialgia con un rapporto di 9 donne per ogni uomo. Il senso di «malessere generale» che i fibromialgici provano, sfocia in rigidità muscolare, fortissime cefalee, stanchezza cronica, insonnia e dolori lancinanti all’apparato muscolo-scheletrico. Recentemente il ministro Speranza ne ha annunciato l’inserimento nei Lea ma Barbara Suzzi, presidente del Comitato Fibromialgici Uniti, avverte: «L’inserimento non garantirà risposte ai milioni di malati perché la casistica rientrerà in parametri che ancora non si conoscono».
Per Chiara Marra, ginecologa specializzata in endometriosi e coordinatrice dell’équipe per il dolore pelvico e cronico a Casa Medica di Bergamo, a rendere complicato il riconoscimento da parte dei medici sono due fattori: «Da una parte – spiega – c’è la normalizzazione del dolore: culturalmente è considerato normale che una donna soffra. Dall’altra, invece, c’è un problema di preparazione dei medici. Oggi sono pochi quelli che conoscono queste patologie». E pochi sono anche, in Italia, i centri cui rivolgersi. Daniele Porru, urologo all’Irccs San Matteo di Pavia spiega che «una delle difficoltà nella diagnosi è che la paziente avverte il dolore ma non c’è un agente lesivo degli organi, è un dolore neuropatico». Il collettivo femminista Non Una Di Meno ha organizzato, insieme all’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, all’Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo, Casa Maternità Prima Luce – progetto Gruppo Aiuto Vulvodinia, Cistite.info APS, Associazione Vulvodiniapuntoinfo Onlus, Associazione VIVA – Vincere Insieme la Vulvodinia, alla Camera per venerdì un convegno per chiedere l’inserimento nei Lea e l’esenzione del ticket, oltre al riconoscimento della cronicità.