La Stampa, 8 novembre 2021
Ritorno a Bibbiano
Messaggio del padre: «Ciao tesoro, il papà non riesce ad avere risposte per portarti fuori a mangiare il sushi, spero che tu stia bene. Ti voglio un mondo di bene». Commento dell’assistente sociale alla collega: «Questo alla bambina non lo facciamo sentire, vero?».
Era l’estate populista del 2019. Quelli della Lega giravano l’Italia con una maglietta nera: «Parliamo di Bibbiano». Luigi Di Maio, allora in versione gialloverde, pronunciava parole che presto si sarebbe rimangiato: «Mai con il partito di Bibbiano!». Si riferiva al Pd, all’inchiesta sul sistema degli affidati pilotati in una delle regioni più ricche e di sinistra d’Italia, «Angeli e demoni» era il nome. C’era il cosiddetto lupo di Bibbiano: il ladro di bambini. C’era l’elettrochoc per estorcere ricordi. E mai un caso di cronaca giudiziaria era stato così strumentalizzato a fini elettorali.
Ora, dopo 55 mila pagine di atti giudiziari racchiusi in 17 faldoni, parlare di Bibbiano è possibile. Lo farà un giudice, innanzitutto: la prima sentenza è attesa giovedì 11 novembre 2021. Quando il gup Dario De Luca dovrà pronunciarsi sul caso dello psichiatria Claudio Foti, titolare dello studio Hansel&Gretel, accusato di frode processuale e di lesioni gravissime proprio per i suoi metodi psicanalitici: «Perché alterava lo stato psicologico della minore X, sottoponendola a sedute serrate, attraverso modalità suggestive e suggerenti, con la voluta formulazione di domande sul tema dell’abuso sessuale e ingenerando in tal modo in capo alla minore il convincimento di essere stata sessualmente abusata dal padre…». Sempre quel giorno il gup dovrà pronunciarsi anche sulle 22 richieste di rinvio a giudizio avanzate dalla procura. Cioè per tutti gli altri indagati che, a differenza di Foti e di un’assistente sociale con un ruolo marginale, hanno scelto il rito abbreviato. Qualcosa di importante, intanto, si può già dire: tutti i minori sottratti alle famiglie da quel servizio sociale della Val d’Enza, tutte le vittime dei presunti abusi sessuali avvenuti nella zona di Bibbiano e finiti nelle carte dell’inchiesta, sono ritornati a casa dai genitori. Dieci vittime su dieci sono state restituite alle famiglie, con altre sentenze del Tribunale per i minorenni. Ogni nucleo famigliare è stato ricostituito. Ma cosa succedeva, allora, in val D’Enza, in quella terra di confine fra le province di Parma e Reggio Emilia?
Le segnalazioni ai servizi sociali erano statisticamente simili quelle delle altre province italiane. Ma i casi di bambini e bambine sottratti alle famiglie per sospetti abusi sessuali lì, e soltanto lì, erano spropositati. Nel 2015 i minori in struttura sono 18: nessuno in affidamento. Nel 2016 il dato schizza a 33 e 104. Nel 2017 la situazione è questa: 40 minori in struttura, 110 in affidamento. Dato che quasi raddoppia nel primo semestre del 2018. In mezzo a questi numeri ci sono le storie uniche, e tutte dolorose, finite al centro dell’inchiesta. Pagine e pagine così. «Omettevano di riferire circostanze positive». «Falsificavano la relazione». «Denigravano i genitori del minore». Atti di sadismo inventanti e disegni manomessi. Simboli fallici aggiunti dagli adulti incaricati di capire. I paragoni fra il Natale povero a casa e quello ricco con i genitori affidatari. I commenti denigratori su una madre forse prostituta. Il bacio di un padre «troppo affettuoso al punto da lasciare il segno rosso», che in realtà era normalissimo. Regali mai consegnati ai figli. Diari nascosti, prove taciute. «Attestavano falsamente che lo stato emotivo della bambina era dovuto dal trauma nell’aver incontrato i genitori». Ma quella ragazzina in quei giorni scriveva bigliettini così: «Sono triste di non essere a casa con i miei genitori. Non ho dormito. Questa notte ho pianto tanto perché mi mancavano». C’è tutto questo nelle carte dell’accusa. Cibo avariato che non lo era, gemiti di piacere che non lo erano. C’è una continua ricerca di risposte di segno preciso: «Suggeriva ripetutamente la necessità di svuotare gli scatoloni metaforicamente presenti nella cantina dei propri ricordi, alcuni dei quali chiamati papà e sesso. Promettendo vantaggi». E c’è, anche, uno strumento terapeutico, non riconosciuto in Italia dall’ordine degli psicologici, chiamato «la macchina dei ricordi», cioè il Neurotek Audioscan: «Impulsi elettromagnetici». Un apparecchio usato su una bambina senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. «È una serie interminabile di falsi, frodi processuali e depistaggi», ha scritto il pubblico ministero Valentina Salvi. Perché tutto questo, se tutto questo sarà dimostrato? Per soldi, cioè per continuare a alimentare quel sistema economico di perizie e psicoterapie? O per convinzione? «Leggere le carte per me è stato sconvolgente», dice l’avvocatessa Marta Rovacchi che difende due vittime. «A mio avviso a Bibbiano c’è stato un pregiudizio diffuso sul fatto che qualsiasi problematica famigliare, giustamente approdata ai servizi sociali, doveva per forza avere alla base un abuso sessuale. C’è stato accanimento nell’andare a scovare violenze che non erano mai avvenute».
Nessuno si è salvato. Una delle vittime, sentita da un perito nominato dalla procura, dice: «Oggi non so più in un rapporto fra un uomo e una donna cosa sia normale e cosa no per colpa di quello che mi è stato fatto credere». Fra le 22 persone per cui il pm ha chiesto il rinvio giudizio c’è anche il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, «il sindaco del Pd». Alle 9 di mattina prende un caffè al bar davanti al Municipio, scherza sul Milan e racconta di come procederanno i lavori per la risistemazione della piazza. Dopo il periodo passato agli arresti domiciliari, è tornato al suo posto. «Ho sempre scelto di non commentare l’inchiesta, tenendo un basso profilo. Questo è il mio stile e farò così fino alla sentenza». Le accuse nei suoi confronti sono di ordine economico, e cioè di aver permesso che quel sistema abnorme si alimentasse senza nemmeno una regolare gara d’appalto, concedendo il locali pubblici della struttura «La Cura» di Bibbiano per un uso sostanzialmente privato: le sedute di psicoterapia di Foti costavano il doppio del dovuto.
Di tutto quanto scritto fino a qui, non c’è una sola parola che la difesa dallo psichiatra Claudio Foti – il pm per lui ha chiesto 6 anni di carcere – condivida. Gli avvocati Andrea Coffari e Giuseppe Rossodivita, quest’ultimo avvocato anche del Partito Radicale, le ritengono del tutto infondate. Hanno una relazione del professor Luigi Cancrini che inizia con queste parole: «Il dottor Foti ha dato seguito a quanto disposto dal Tribunale dei Minori di Bologna perseguendo l’unica ed esclusiva finalità di portare avanti un trattamento del trauma, ascoltare le problematiche della paziente, rispettando le sue emozioni e i suoi bisogni…». Sostengono che Foti sia un martire della Giustizia italiana. Sostengono che sia stato «mostrizzato» nel processo mediatico che ha preceduto quello penale. A suffragare la «mostrizzazione» di Foti, qualche elemento c’è. L’altro giorno in un ristorante di Reggio Emilia il titolare si è rifiutato di servirgli da mangiare: «Qui il lupo di Bibbiano non lo vogliamo!».