la Repubblica, 8 novembre 2021
Rinnovabili, l’Italia è ultima in Europa
Era partita bene l’Italia. Grazie a una sostanziosa politica di incentivi – poi corretta al ribasso, in due riprese, dal governo – nel primo decennio del secolo si era issata in cima alle classifiche Ue per il maggior numero di megawatt installati, in particolare con i suoi impianti solari. Nel decennio successivo, un vistoso rallentamento ha permesso ad altri Paesi di sopravanzarci.
I nuovi campi fotovoltaici hanno continuato a salire, ma a velocità ridotta, come si vede dai dati Eurostat: dal 2017 al 2021, l’Italia ha visto aumentare le sue installazioni solari aggiungendo produzione solo per 0,4 terawattora (unità di misura dell’energia elettrica, pari a un miliardo di kwh), contro i 7,8 della Germania e i 6,8 della Spagna, i nuovi leader continentali.
Per non parlare dell’eolico. L’Italia non è fortunata: i siti sufficientemente ventosi non sono molti, tutti lungo le creste dell’Appennino o al Sud e, di fatto, sono già stati occupati. Per tornare a crescere, gli operatori chiedono da tempo di consentire più velocemente il “repowering”, la sostituzione degli impianti eolici più vecchi, con quelli più efficienti e con pale più grandi che vanno a “prendere” il vento più in alto. O dare finalmente il via libera alle prime centrali al largo delle coste: al momento, ci sono 39 progetti presentati da possibili investitori, di cui solo uno (a Taranto) è stato autorizzato.
Tutto questo si è tradotto, nel 2020, nell’anno peggiore per il settore della green energy italiana. Lo si legge in un documento del Politecnico di Milano: mentre l’Europa – nel suo complesso – batteva un nuovo record di potenza installata, arrivando a superare per la prima volta i combustibili fossili per quantità di energia prodotta, il nostro Paese si è piazzato in fondo alla classifica, con un calo del 35% di nuove installazioni rispetto al 2019. Un rallentamento che per l’eolico è arrivato addirittura al 79%. La cause? Per gli operatori non ci sono dubbi. Troppo lunghi i tempi degli iter burocratici e del rilascio dei permessi. Nel 70% dei casi le pratiche si fermano negli uffici delle Soprintendenze. Lo ha ricordato anche il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani: «Abbiamo 3 gigawatt di impianti rinnovabili fermi, anche se hanno la Valutazione di impatto ambientale favorevole, bloccati per l’impatto paesaggistico».
Ma non tutto è perduto. I fondi in arrivo dall’Europa legati alla transizione green e l’impegno del governo a semplificare regole e tempi dei permessi – oltre alla necessità di recuperare i ritardi accumulati – fanno dell’Italia uno tra i Paesi che dovrebbero essere maggiormente attrattivi. Ne è convinta, per esempio, la società di consulenza E&Y che nel suo report annuale ha fatto salire l’Italia dal 14esimo al 12esimo posto al mondo come paese dove si concentreranno i maggiori investimenti.
Ottimismo giustificato? In termini di capacità produttiva, il governo ha – in effetti – target ambiziosi: vuole raggiungere 95 gigawatt di capacità installata al 2030, rispetto ai 53 attuali. Ma deve accelerare, perché proseguendo con il ritmo dell’ultimo decennio «l’obiettivo verrebbe raggiunto non nel 2030 ma nel 2048», ha calcolato il Coordinamento Free (che raccoglie 26 tra associazioni e imprese della green economy). La spinta decisiva dovrebbe arrivare ovviamente dal Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, i cui fondi a supporto delle rinnovabili costituiscono un incentivo di lungo periodo. Anche perché le risorse non sono poche: 4 miliardi di euro per l’incremento di capacità di Res (Renewable Energy Sources) e 1,9 miliardi di euro per la produzione di biometano. Infine, sarà decisiva l’efficacia del provvedimento appena uscito dagli uffici del ministro Cingolani: una serie di norme che dovranno facilitare gli iter e snellire le procedure.