Corriere della Sera, 8 novembre 2021
Giuliano Giuliani, l’Aids e la solitudine
Raffaella Del Rosario nel 1991 era una ragazza, a 24 anni è difficile sopportare il peso di una malattia che avvertiva come una sentenza di morte. Raffaella era la moglie del portiere Giuliano Giuliani, campione d’Italia con il Napoli nel 1990, stroncato dall’Aids sei anni più tardi. Una ragazza che come tante a quei tempi pensava che il virus dell’Hiv fosse una specie di mostro che piombasse soltanto in un certo mondo, fatto da gente sregolata, tossicodipendenti, gay. «Quando Giuliano me lo ha detto, pensavo che sarei morta anche io. Fu una coltellata. Ho temuto il contagio, per me e anche per nostra figlia Jessica, che aveva soltanto un anno. Abbiamo trascorso sei mesi d’inferno in ospedale. Ancora oggi credo di essere una miracolata, a volte mi sento in pericolo. Lo so, è assurdo, ma traumi come questo resistono, ti condizionano la vita».
Raffaella poi ha capito, ha perdonato suo marito che pagò con un prezzo altissimo una notte di sesso in Argentina («andò al matrimonio di Maradona, fu l’unico tradimento», dice). Ha cambiato le sue prospettive, ha guardato il mondo, il suo mondo, con altri occhi. Da sola, con Jessica che quando Giuliani è morto aveva sette anni («avrebbe meritato di vivere nel ricordo di un papà amato dal mondo del calcio a cui aveva dato tutto»). Una bimba che non doveva sapere, che non avrebbe capito. «Mio marito mi ha sempre vietato di raccontarle che tipo di malattia fosse, glielo promisi in punto di morte. Non voleva che, come noi, anche lei venisse ghettizzata. Sì, perché di questo si è trattato. Isolati e abbandonati da tutti. Amici, compagni di squadra, sono spariti. Allora come oggi. L’unico è stato Renica, qualche anno fa, a chiedermi scusa. Chiesi proprio a Maradona di organizzare una partita in suo ricordo, neanche mi rispose. Credo ci voglia coraggio nella vita, e se adesso qualcun altro lo tirasse fuori per venire a chiedere perdono, gli direi anche grazie. Apprezzerei i buoni sentimenti».
Raffaella lasciò suo marito («non sopportai il tradimento») ma non gli fece mancare il suo sostegno. Oggi è mamma di tre ragazzi grandi, ha una vita serena. Ma il dolore è ancora lacerante. «Come è devastante il pensiero che i suoi amici, i calciatori lo abbiano dimenticato in un secondo. E al suo funerale eravamo soli. Ecco, Giuliano non lo meritava». E probabilmente neanche una ragazzina di 24 anni meritava di scoprire contestualmente un tradimento e una malattia all’epoca così temuta. «Ero arrabbiata con lui, facevo fatica a perdonarlo. Poi però scelsi di stargli accanto, aveva bisogno di noi almeno. Sono stati anni belli comunque, lui era diventato un’altra persona. Viveva le nostre cose, sperava che sarebbe guarito. Ci dava forza, e mi diceva di non perdere tempo a pensare a chi non c’era, a chi aveva avuto paura. È andato via all’improvviso, una notte».
Jessica, l’unica figlia, adesso ha 31 anni, anche lei mamma a tempo pieno. «È una donna serena, ma la morte del papà è una ferita che sta lì e ogni tanto capita anche che torni a sanguinare».
Raffaella oggi fa la presentatrice televisiva (anche allora lo faceva ma aveva molta più notorietà), non vive più di sfarzi, ma di piccole cose. Spesso torna a Napoli. «L’unica città che ama ancora mio marito, che ricorda quanto ha dato Giuliano al calcio. Onomastici, compleanni, alcuni amici mi chiamano sempre. Il calcio no, è un buco nero della nostra vita. Un mondo dove l’unico valore è rappresentato dai soldi».