Corriere della Sera, 8 novembre 2021
Agonia Montepaschi, di chi è la colpa?
A Siena l’avevano detto subito: Antonveneta sarà l’inizio della fine. E così è andata. La banca comincia a traballare a novembre 2007, quando il presidente Giuseppe Mussari – avvocato penalista nominato nel 2006 dalla Fondazione Mps – si accorda con il Santander per comprare Antonveneta per 9 miliardi, il doppio del suo valore. Bankitalia lascia fare al mercato e autorizza l’operazione. Il Monte non ha i soldi che servono, così si indebita per 3 miliardi e chiede ai soci un primo aumento di capitale, per 5 miliardi.
Debiti e crisi finanziaria
Pochi mesi dopo fallisce Lehman Brothers, le banche in tutto il mondo si ritrovano senza liquidità e devono intervenire gli Stati. A Siena nel 2009 arriva il primo prestito del Tesoro: 1,9 miliardi di Tremonti bond, dal nome del ministro del Tesoro dell’epoca. A luglio 2011 Mps prova a rimborsarli con un secondo aumento di capitale, da 2,1 miliardi. Metà li mette la Fondazione Mps guidata da Gabriello Mancini – esponente locale dell’allora partito della Margherita – che si indebita e punta tutti i suoi soldi sulla banca. Ma il momento è pessimo. Esplode la crisi degli spread sul debito sovrano; Mps ha in pancia decine di miliardi di Btp e quando a ottobre l’Autorità Bancaria Europea avvia lo stress test sui titoli di Stato la banca viene travolta, e i soldi dell’aumento di capitale Mps deve tenerli in cassa. Anzi, gli serve un prestito d’emergenza della Banca d’Italia, a novembre 2011.
Sul Monte calano le ombre
A Siena cade la prima testa: va via il direttore generale Antonio Vigni, arriva al suo posto Fabrizio Viola, scelto dalla Fondazione Mps, che controlla la banca ed è espressione del potere politico locale. Mussari resterà presidente fino alla scadenza di aprile 2012. Al suo posto arriverà Alessandro Profumo. Per riconfermare invece l’avvocato catanzarese alla presidenza dell’Abi, viene addirittura cambiato lo statuto. A gennaio 2013 esplode lo scandalo dei «derivati» Alexandria e Santorini, con le banche estere Nomura e Deutsche Bank. Una operazione di ingegneria finanziaria già nota da tempo a Bankitalia, e che nelle aule dei tribunali si trascina ancora adesso. L’effetto però è immediato: getta su Rocca Salimbeni un’ombra oscura, e c’è il timore che i clienti possano ritirare i soldi dai conti. La banca resiste, ma a giugno 2013 ha di nuovo bisogno dello Stato. Arrivano 3,9 miliardi di Monti Bond: metà servono a rimborsare il primo prestito, mentre per estinguere quello nuovo il Monte richiede agli azionisti un terzo aumento di capitale, da 5 miliardi. Nel frattempo però sono entrate in vigore regole europee sui salvataggi bancari, e Mps diventa sorvegliata speciale.
Un cliente su tre non paga i debiti
A fine 2014 la vigilanza sulle banche europee passa alla Bce, che prima di prenderle in carico le guarda tutte dal di dentro. Dalle analisi emerge che a Siena mancano 2,1 miliardi, perché troppi clienti non rimborsano i prestiti. Serve un quarto aumento di capitale e nel 2015 la banca lo chiama per 3 miliardi. Intanto la reputazione scende, la crisi economica morde e i clienti migliori passano alla concorrenza. Nel 2016 arriva un secondo stress test Bce: i crediti deteriorati (npl) sono ben 45 miliardi, in pratica un cliente su tre non restituisce i finanziamenti. La Bce chiede pulizia radicale. Mps li svende per 26 miliardi nominali al fondo Atlante, le perdite sono enormi e la banca si avvita.
Il salvataggio dello Stato
A settembre dello stesso anno il governo Renzi – nel frattempo diventato primo socio grazie al 4,5% di Mps ricevuto a pagamento degli interessi sui Monti bond – sostituisce l’ad Viola con Marco Morelli. Se ne va anche il presidente Massimo Tononi, che nel 2015 si era insediato dopo le dimissioni di Profumo: al suo posto arriva un socio privato, Alessandro Falciai. Per non fallire, a Mps serve un nuovo aumento di capitale da 5 miliardi ma stavolta nessuno ce li mette. A luglio 2017 scatta il salvataggio pubblico, con Pier Carlo Padoan ministro e l’ok dell’Europa. Per coprire il buco di 8,1 miliardi vengono convertiti in azioni 2,7 miliardi di bond subordinati, mentre lo Stato tira fuori 5,4 miliardi diventando così il maggior azionista. Da allora i vertici li sceglie il Tesoro.
Nel 2020 il governo Conte Due sostituisce Morelli con un banchiere vicino ai grillini, Guido Bastianini; presidente è Patrizia Grieco. Ma i crediti deteriorati continuano a pesare, e a fine 2020 per tenere in piedi la banca lo Stato se ne porta in casa per 8,1 miliardi, mettendoli nella bad bank pubblica Amco.
La trattativa impossibile
I patti con Bruxelles sono chiari: lo Stato deve uscire privatizzando l’istituto entro il 2021. A fine luglio di quest’anno, nuovo stress test Bce: a Siena servono altri 2,5 miliardi. Lo Stato non può metterli tenendosi ancora la banca, bisogna trovare un compratore. Al tavolo con il governo si siede solo Unicredit, dove troviamo come presidente l’ex ministro Padoan e come amministratore delegato Andrea Orcel, ovvero il banchiere che 14 anni prima, da capo di Merrill Lynch, aveva intermediato la vendita di Antonveneta ad un prezzo fatale per Mps. Sono loro a dettare le condizioni: lo Stato deve metterci 6,3 miliardi di aumento di capitale, 2,2 miliardi di benefici fiscali, cedere i crediti deteriorati e assicurare Unicredit dai rischi legali. E poi tagli di personale: 7 mila esuberi su 21 mila dipendenti. Nel 2007 erano 34 mila. Non solo: per la parte buona di Mps da acquistare Orcel offre 1,2 miliardi ma il Tesoro ne chiede fra i 3,6 e i 4,8 miliardi. Non c’è accordo e la trattativa salta a fine ottobre.
E adesso cosa succede?
Ora lo Stato si trova costretto a sedersi a due tavoli: con la Ue e con la Bce. A Bruxelles deve chiedere più tempo per privatizzare; bisognerà vedere quanto la Dg Competition (Margrethe Vestager) ne concederà e che cosa vorrà in cambio. Bisogna abbassare i costi, che vuol dire tagli di personale. Lo scorso anno l’ad Guido Bastianini ne aveva annunciati 2.700, poi non effettuati. Si sarebbero pagati in termini elettorali per Enrico Letta. A Francoforte dovrà invece negoziare l’aumento di capitale, necessario a stare in piedi. Il Tesoro potrà versare altri soldi pubblici solo se lo faranno anche investitori privati. Che andranno trovati. E andrà trovato anche un acquirente per Mps.
Quanto ha perso lo Stato
Oggi le azioni in mano allo Stato valgono circa 650 milioni. La perdita potenziale è dunque di 4,8 miliardi. Sommati ai 15 miliardi dei privati bruciati negli aumenti di capitale e ai 2,7 miliardi di bond polverizzati si può stimare un costo totale di Mps di circa 22 miliardi. E altri ne serviranno. Di chi è la colpa di questa agonia senza fine? L’ acquisto dissennato di Antonveneta, il crollo di Lehman, la crisi dello spread, le nuove regole europee, e quei 26 miliardi di perdite sui crediti accumulati fra il 2006 e il 2016, dovute alla recessione che ha messo in ginocchio le imprese e non più in grado di ripagare i debiti, ma anche a finanziamenti spesso concessi senza garanzie adeguate e a prestiti a imprenditori amici dei politici di riferimento. Mps è storicamente una banca in mano al PD senese, ma l’andazzo di suonare alla sua porta è stato condiviso con Forza Italia. Anche il Covid ha contribuito ad aggravare le cose, tuttavia negli ultimi nove mesi l’istituto ha fatto utili per 388 milioni. Tutte le banche sono andate in difficoltà negli ultimi dodici anni, ma è evidente che a Siena i banchieri che si sono avvicendati non sono stati in grado di modernizzare la banca e tantomeno di affrontare il problema dei problemi: i crediti deteriorati. Per citare una battuta che gira tra i banchieri d’affari: «A Siena hanno fatto zero al Totocalcio». Difficile come fare 13. Ma non impossibile.