Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2021
La vita da cani dei corvi
Demiurgo omnisciente, al quale si attribuivano un’intelligenza superiore e il dono della divinazione, il corvo era stato consigliere di Odino per gli Scandinavi e attributo di Wotan per i Germani. In tutta Europa si era venerato questo uccello chiaroveggente, scaltro e minaccioso al tempo stesso. Era l’emblema tutelare delle tribù e dei clan, il protettore dei marinai e dei guerrieri: prima della battaglia, alcuni di loro non esitavano a mangiarne la carne o a berne il sangue, pur di ricevere il suo aiuto nella mischia del combattimento. Ancor più del suo sinistro piumaggio nero o della sua voce sepolcrale, erano state queste credenze e questi riti orripilanti, a volte associati a vere e proprie forme di idolatria, a spaventare i missionari che si avventuravano nell’Est e nel Nord europei per tentare di evangelizzare popoli ancora estranei alla religione cristiana.
A partire dall’VIII secolo, la Chiesa dichiarò guerra a questo uccello troppo venerato, una guerra che non durò pochi decenni ma diversi secoli, poiché si trattava di combattere superstizioni e pratiche che risalivano alla notte dei tempi. Per portarla felicemente a termine, autorità, prelati e teologi fecero ricorso a due diverse strategie, utilizzate assieme o separatamente.
La prima strategia consistette semplicemente nell’eliminare il maggior numero possibile di corvi, prescrivendone veri e propri massacri soprattutto nei Paesi nordici. Pare che a prendere l’iniziativa fossero state le armate di Carlo Magno durante le campagne in Sassonia e in Turingia. Nel Nord della Germania i massacri proseguirono per i due secoli successivi, dopodiché si estesero alle terre scandinave. Riguardavano però unicamente il corvo imperiale, non il corvo comune né la cornacchia, dal momento che a essere oggetto di venerazione era unicamente il primo. Stando alle ossa ritrovate e alle descrizioni di diversi autori e viaggiatori, l’uccello era più grande e massiccio di quello che oggi in Europa denominiamo «corvo imperiale»: poteva raggiungere una lunghezza di 75-80 centimetri e un peso decisamente superiore ai due chili. In volo, l’apertura alare poteva toccare i due metri. I massacri di corvi si collocavano in una politica generale di eradicazione dei culti pagani, specialmente quelli che si rivolgevano alle forze naturali. Ovunque la religione cristiana tentò di sopprimere i culti antichi, o almeno di sovrapporsi a essi. Come furono tagliate o estirpate migliaia d’alberi, spostati o murati massi, deviate o trasformate in fontane le sorgenti, convertiti in cappelle i luoghi di devozione, così vennero abbattute migliaia di orsi e fu massacrata un’enorme quantità di corvi.
La seconda strategia di guerra al corvo, basata sulla Bibbia e sugli scritti dei Padri, fece dell’uccello nero l’incarnazione di svariati vizi e gli attribuì un ruolo importante nell’ambito del bestiario infernale. Sono tanti gli aggettivi dispregiativi che per oltre un millennio lo qualificano nei testi, da Sant’Agostino (354-430) fino ai primi libri di ornitologia dell’era moderna: astuto, perfido, ipocrita, vanitoso, insolente, ladro, vorace, ripugnante, abietto, profittatore, necrofago, lugubre, funesto, infernale. Definendolo in questa maniera, gli autori hanno a poco a poco contribuito a screditare l’uccello nelle regioni dove un tempo veniva venerato. Ma fu una cosa lunga, lenta, difficile e imperfetta. Nel cuore della Germania profonda, delle valli alpine, delle montagne scozzesi e delle coste scandinave, il culto del corvo sopravvisse in certi casi fino in pieno XVII secolo e si innestò tardivamente sulle grandi questioni di stregoneria.
Allo stesso tempo, l’agiografia cristiana si sforzava di mostrare come il santo, ossia l’uomo di Dio, riuscisse ad ammansire le creature più temibili e a farsi amare da esse: diversi eremiti ricevettero così un corvo per compagno, protettore o benefattore. Infine, dopo aver demonizzato e soggiogato il corvo, la Chiesa cercò nell’emblematologia e nell’insignologia belliche di sostituirlo con l’aquila, un uccello altrettanto spaventoso ma dotato di un forte valore cristologico. La sostituzione finì per imporsi con la comparsa dei primi stemmi.
Dopo l’anno Mille, infatti, e soprattutto nel corso del XII secolo, la guerra al corvo sembra finalmente vinta. L’uccello pagano è ormai desacralizzato, non solo nel mondo germanico ma in tutta l’Europa, e a volte è perfino diventato ridicolo, come mostrano alcuni testi provenienti dalla tradizione delle favole antiche o dal Roman de Renart.
A partire dal XII secolo i Bestiari si fecero eredi dei Padri e ne riproposero in parte i loro discorsi, a volte parola per parola. È il caso del famoso passo in cui Sant’Agostino crede di sentire nel gracchiare del corvo le parole latine cras, cras (domani, domani) e vede nell’uccello nero l’immagine del vizioso che rimanda sempre a domani il pentimento, la confessione e la penitenza. Un’interpretazione che colpì gli autori dei Bestiari: molti di loro la ripreso e profusamente la commentarono.
Inoltre, tutti i Bestiari ci ricordano che il corvo è necrofago e che, quando si dedica a un cadavere, comincia sempre dagli occhi: un mezzo per raggiungere più facilmente il cervello, sede del pensiero e dell’anima. Così facendo, sottolineano, agisce proprio come il Diavolo, che ci abbaglia con le sue tentazioni per catturare più agevolmente la nostra anima. Un solo autore di Bestiari non vede nel corvo che attacca gli occhi un’incarnazione del Diavolo ma un’immagine dell’Amore, che tutto sommato è altrettanto perfido e crudele dello stesso Satana: si tratta di Richard de Fournival (1201 circa-1260 circa) che così ebbe a scrivere: «Il corvo ha una tendenza naturale che ricorda da vicino quella dell’Amore. È l’unico animale a essere dotato di tale proprietà. Questa natura fa sì che, quando trova un uomo morto, la prima cosa che divora sono gli occhi. Da lì estrae il cervello; e più ce n’è, più ne prende. Così succede anche per l’Amore: fin dal primo incontro l’uomo è catturato dagli occhi, perché l’Amore non si sarebbe mai impadronito di lui, se non avesse guardato la dama. Sono stati i suoi occhi a catturarlo».
Vittima di tutti questi pregiudizi, il corvo imperiale vide nel giro di due o tre secoli la propria popolazione ridursi in misura significativa. In seguito il numero continuò a diminuire per ragioni di varia natura, ma fra queste la persecuzione rimase la più importante: uccidere dei corvi, uccelli ritenuti nocivi e di malaugurio, predatori del bestiame minuto e degli uccelli domestici diventò uno «sport» nella vita rurale dell’Europa moderna, uno «sport» ampiamente praticato persino dai bambini. In pieno XX secolo si giunse addirittura a offrire ricompense per chi ne ammazzava di più.