Corriere della Sera, 7 novembre 2021
Tutti in piazza con Greta
No, non è più un gioco da ragazzi. Una manifestazione di studenti che vogliono saltare il giorno di scuola per accodarsi alla loro nuova eroina, Greta Thunberg. Il serpentone che ieri ha invaso le strade di Glasgow, incurante del vento gelido e della pioggia sferzante, era lungo chilometri. Sembrava non finire mai, con i cartelloni colorati, i tamburi e i sassofonisti, una marea di bandiere scozzesi, a ricordare che qui si sfila per il clima ma non si dimentica la passione indipendentista. Un fiume di gente di ogni età. Erano oltre 200.000, secondo le stime arrivate in serata.
Greta è cresciuta – non porta più neppure le trecce – e con lei è diventato sempre più ampio il movimento che ha ispirato. Nel mondo si sono svolti oltre 300 eventi simultanei, in occasione della «Giornata globale di azione per la giustizia climatica», da Londra a Parigi, da Copenhagen a Rio de Janeiro. Ma è ovviamente a Glasgow che hanno puntato tutti coloro che se lo potevano permettere. Greta stavolta non ha parlato, per lasciare il microfono ad altri quando dopo ore di marcia, che ha costeggiato la zona superblindata dove si svolge il vertice dell’Onu sul clima, il corteo si è finalmente fermato a Glasgow Green. La svedese si è limitata a twittare, a fine manifestazione: «Oggi centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo hanno manifestato per il clima, mandando un chiaro messaggio a chi è al potere alla Cop26, perché proteggano le persone e il pianeta. I nostri cosiddetti “leader” non stanno guidando – QUESTA è la vera leadership!».
In piazza, la star della giornata è stata l’ugandese Vanessa Nakate, che ha parlato delle sfide che gli africani affrontano a causa dell’emergenza climatica e ha infiammato la piazza gridando: «La crisi climatica ed ecologica non riguarda solo modelli meteorologici o punti dati, o obiettivi netti zero. Non si tratta di statistiche, riguarda le persone». Parlano anche gli indigeni – «le nostre case sono in fiamme, il mare si sta alzando, la temperatura sta salendo e la terra si sta sciogliendo» – e dalle isole Marshall, che stanno lentamente affondando nell’Oceano Pacifico, la giovane Kathy Jetnil-Kijiner: «Contribuiamo allo 0,00005% delle emissioni globali del mondo, non dovremmo pagare le conseguenze di questa crisi».
A Glasgow qualcuno arriva a paragonare la manifestazione di ieri alle grandi proteste operaie di un secolo fa. Altri tempi e altre lotte. Il 31 gennaio del 1919, la marcia dei lavoratori che rivendicavano paghe migliori sfociò in un bagno di sangue, diventato famoso come la Battaglia di George Square. Giovedì e ancor più ieri si respirava invece un’aria di festa, quasi carnevalesca. E la polizia, che seguiva il tutto in motocicletta, a cavallo e con gli elicotteri dall’alto, alla fine non sembrava neppure troppo preoccupata.
I manifestanti si radunano a metà mattinata a Kelvingrove Park, incuranti del fango e della pioggia. E lentamente partono in un tripudio di bandiere scozzesi, striscioni con la scritta Net zero, cartelli sarcastici su Ben Johnson e Alok Sharma, il premier britannico e il presidente di Cop26. Tre vecchiette indossano la maschera della regina Elisabetta e, un po’ chine come lei, sfoggiano i cartelli con la sua celebre frase: «È irritante, quando parlano e non fanno» (fuorionda della sovrana contro i leader a Cop26).
Protestano contro un vertice sul clima che per tutti loro, come ha detto Greta, è già fallito. Ma non ci sono solo gli ambientalisti nella marcia: sfilano anche i sindacati che reclamano «Non può esserci giustizia climatica se non ci sarà giustizia sociale», ci sono i netturbini di Glasgow che scioperano per chiedere salari più alti, gli immigrati che con un grande cartellone invocano «lo stop alle deportazioni». I pacifisti che reclamano «la fine della guerra» e tanti veterani socialisti, uno dei piu anziani sfoggia il cartello con l’effige dell’ex candidato alla presidenza Usa Bernie Sanders e la sua celebre frase: «planet B is not an option». Poi arriva pure un gruppo di giovani pseudo-blackblock con il viso però da bravi ragazzi e le bandiere rosse comuniste alzate bene in aria (sono gli unici blindati pesantemente dalla polizia). Intanto molti negozi abbassano le saracinesche. Non si sa mai. Solo una piccolissima minoranza indossa la mascherina al corteo, e il distanziamento è un’utopia. Nei prossimi giorni i test antigenici Covid, qui diffusissimi e forniti gratuitamente dal servizio sanitario nazionale faranno il calcolo dei danni sanitari. Ieri, però, nessuno voleva pensare alla pandemia.
Mentre fuori la città risuonava con i tamburi e le voci dei manifestanti, sotto i tendoni (altrettanto gelidi) dentro lo Scottish Event Center sono continuati i lavori della Cop26, in un silenzio rarefatto. Finito il glamour del vertice dei capi di Stato, ora è un susseguirsi di incontri tecnici e negoziati a porte chiuse. Anche ieri il presidente Sharma è riuscito ad annunciare una nuova mini-intesa: 45 Paesi hanno promesso azioni e investimenti urgenti (complessivamente 4 miliardi di dollari) per proteggere la natura e passare a metodi di agricoltura più sostenibili. Altri 10 Paesi si sono impegnati a considerare area protetta almeno il 30% delle loro riserve marine. E da settimana prossima, si torna a trattare. Mancano sette giorni per dimostrare che non sarà un fallimento.