la Repubblica, 7 novembre 2021
Riparte la maratona di New York
Non c’entra il cronometro oggi. Non si viene a New York per accarezzare il tempo, ma per affermare il diritto ad esistere, ad andare avanti. Oggi si corre per riaprire i cancelli dell’America, per dire che la pandemia si può scollinare e che da domani Central Park sarà di nuovo per tutti. Anche quelli che non sono «born to run».
È la maratona numero 50: ne sono saltate due, per l’uragano Sandy (2012) e per il Covid (2020), il nuovo direttore è Ted Metellus, 47 anni, primo nero (genitori originari di Haiti) a occupare il ruolo. L’Empire State Building si accende per questa edizione storica con le sue luci blu-oro. Saranno in 30 mila e quasi nessuno per se stesso, qui ognuno corre per una buona causa: contro i mali del mondo e per trovare i soldi per ripararli. Chi è guarito dal tumore, corre con il dottore che l’ha curato. Non è gara per vanità personali, non si fa il record qui, troppe salite, qui si viene per combattere con il cuore, ma con una strategia in testa. Questa è una maratona che incoraggia tutti, che ti assiste con 220 vaschette di vaselina per le vesciche, ma che molla schiaffi tremendi ai campioni olimpici: ah sì? ti credi un dio, aspetta che ti sistemo. Per niente friendly: l’americano Frank Shorter, oro a Monaco 72 e argento a Montreal quattro anni dopo, qui finì secondo nel ’76, non finì nel ’77, fu 12° nel ’78, 7° nel ’79. Nemmeno l’italiano Stefano Baldini, campione olimpico ad Atene 2004, è riuscito ad agguantarla: sesto nel 2006, quarto nel 2007. L’ugandese Stephen Kiprotich, oro a Londra 2012, solo 12° nel 2013 e quinto nel 2014.
Ammazza anche le campionesse: Joan Benoit Samuelson, che vinse a Los Angeles 84, finì terza nell’88 e sesta nel ’91. Sconfitta dalla norvegese Grete Waitz, che nel ’78 a 25 anni se la aggiudicò per la prima volta (con record mondiale) e disse: «Non so se ne farò ancora una». Grete è morta a 57 anni nel 2011, ma si sbagliava: trionfò ancora otto volte. E nel ’92 tenne compagnia in gara a Fred Lebow, fondatore della maratona di New York, che lottava contro un tumore al cervello. Il ritmo fu lentissimo, ma quando tagliarono il traguardo in cinque ore e mezza, la commozione venne in fretta e piansero tutti.
A far cambiare idea alla maratona ci prova la keniana Peres Jepchirchir, 28 anni, campionessa olimpica a Sapporo, imbattuta da due stagioni, che potrebbe diventare la prima a fare la doppietta 92 giorni dopo: «Vengo per vincere, non mi accontento». Un solo azzurro in gara che prova a fare la sorpresa: il primatista italiano Eyob Faniel, 28 anni, vicentino, alla sua prima volta a New York, e alla seconda maratona della stagione dopo il ventesimo posto ai Giochi di Tokyo. «Sono stato un mese ad allenarmi in Kenya e tre settimane in Eritrea, credo di essere migliorato, intanto sto vivendo quest’atmosfera incredibile con la forte voglia di dire addio a questo virus che ci ha tenuti in isolamento». A tutti i concorrenti è richiesta la prova di vaccinazione o un tampone e la corsa sarà divisa in cinque ondate per distanziare i gruppi. Tra i big l’etiope Kenenisa Bekele, 39 anni, che ha avuto il Covid, ora soffre d’insonnia, e che lancia un appello alla pace per il suo Paese lacerato dalla guerra civile: «Spero ci sia una negoziazione, altrimenti sarà sempre peggio». C’è anche l’olandese d’argento a cinque cerchi Abdi Nageeye e il keniano primatista mondiale della mezza maratona Kibiwott Kandie, con il connazionale Albert Korir, secondo nel 2019. E non può mancare la maratoneta per caso Molly Seidel, 27 anni, americana, barista, bronzo a Tokyo 2020, alla sua quarta gara. «Ho sofferto di bulimia e di depressione, sono stata sei mesi ferma per un’operazione all’anca, la medaglia in Giappone ha portato su di me molta attenzione, ma in fondo io dico che la maratona non è scienza lunare, non è operare al cervello, si tratta solo di correre. Per questo aggiungo: fatevi pure una birretta la sera prima, io ad esempio non rinuncio mai al sushi». Godetevela, insomma, prima di maledirla.