la Repubblica, 7 novembre 2021
Intervista a Laura Morante
Nipote dell’anticonformista Elsa Morante, avviata alla scena da Carmelo Bene, trascinata sui set del cinema prima da Giuseppe e poi da Bernardo Bertolucci, assurta per molti a icona dei film (tre) di Nanni Moretti, anarchica e controversa (ma lei sostiene: timida). Laura Morante è un’artista di carattere, tanto da includere nelle settanta presenze sui grandi schermi anche due proprie regie cinematografiche, senza farsi mancare un libro, senza abbandonare il palcoscenico dove s’è fatta dirigere da Mario Monicelli e da Roberto Andò. Ora debutta come drammaturga, oltre che come protagonista, dello spettacolo Io Sarah, io Tosca, messinscena di Daniele Costantini che esordisce il 9 novembre al Teatro della Pergola di Firenze con repliche dal 16 all’Ambra Jovinelli di Roma, un lavoro di Nuovo Teatro e Teatro della Toscana.
Adesso ha anche scritto un copione. Una bella disputa di energie con Sarah Bernhardt, la Divina dell’Otto-Novecento che sta per interpretare.
«Con la differenza che io ho perso o mancato alcune battaglie. Non ho fatto il liceo classico perché rinunciai a fare un esame di latino, convincendomi di non saper declinare i verbi. Quando ballavo, ed ero nella compagnia dei Danzatori scalzi di Patrizia Cerroni, non me la sentii di fare un provino con Caroline Carlson che stava creando una formazione italiana: ero all’altezza e fu un errore blu di cui mi pentii. Nessun rimorso invece per quando contrastai Carmelo Bene che, dopo il suo Riccardo III, mi volle sequestrare in teatro; ma mi stimava, tant’è che mi rivolle nell’Amleto televisivo e, sempre muta, nella versione francese del suo Sade».
Lei era muta e nuda, nella tournée del “Sade” al Festival d’Automne di Parigi.
«Certo, e va solo ricordato che allora il teatro d’avanguardia usava come linguaggio e non come seduzione i corpi senza abiti delle attrici. Poi a me qualcosa del genere è accaduto anche nel cinema. Un esempio fu Lo sguardo dell’altro di Vicente Aranda».
Per molti le pagine determinanti della sua carriera sono legate a Nanni Moretti.
«Ne prendo atto e, pur avendo affrontato ruoli impegnativi anche con Gianni Amelio, Pupi Avati o Alain Resnais, so di essermi legata a Nanni soprattutto in due particolari svolte del suo cammino: per Bianca, del 1984, una sorta di evento, e per
La stanza del figlio, del 2001, altra coincidenza importante per lui e di riflesso per me».
Ora fa un ulteriore passo: ha scritto per il palcoscenico il testo di “Io Sarah, io Tosca”. Un nuovo, inedito atto creativo.
«Arrivo sempre tardi a fare le cose: in ritardo come regista, come scrittrice, come drammaturga. Ho bisogno di spinte. Elisabetta Sgarbi mi ha indotta, con contratto pronto in mano, a fare il libro. Un distributore francese mi ha convinta a dirigere film. E a Marco Balsamo, che voleva produrmi, ho detto che avevo l’idea della Bernhardt. Idea suggeritami da Mimosa Campironi con un suo melologo ispirato alla Divina, un tema che mi ha fatto abbandonare il timore di espormi.
Dal rapporto tra Sarah e Victorien Sardou, che per lei aveva scritto il personaggio di Tosca, sono passata ad approfondire i meandri autobiografici di lei, scoprendo che, spregiudicata e misteriosa, mentiva e ometteva. Piano piano sono entrata in contatto con questa Sarah, facendomi conquistare anche da Il mio cuore messo a nudo di Baudelaire, da Poe, da Wilde, da Proust, da Freud, dando pure rilievo al chiasso d’un processo contro una sua collega che aveva scritto del privato di lei. E mi sono immaginata una ricostruzione mia».
Come è strutturato lo spettacolo?
«Con me c’è sempre in scena Chiara Catalano, interagente come voce e pianoforte, con musiche di autori classici e partiture originali di Mimosa Campironi. Realizzo tre quadri del 1887: uno ambientato tre settimane prima del debutto di Tosca, uno collocato una settimana prima e uno fissato all’alba della rappresentazione. Da decisionista e profilo ovunque chiacchierato, Sarah mostra una sua progressiva vulnerabilità. In gioventù era una prostituta d’alto bordo. Il padre non l’ha mai visto. È un’impresa di un’ora e mezza che mi mette alla prova fino in fondo e ne esco prostrata, ma anche molto, molto entusiasta».
Poi, la Laura Morante che ci è famigliare, come ne uscirà?
«Mi batterò dicendo sempre ai miei tre figli, Eugenia, Agnese e Stepan, che devono osare, perché una vita senza sconfitte è noiosa. Tornerò a insegnare in stage di recitazione dell’Accademia e in scuole private, per favorire lo sbocciare di talenti, faccenda che mi rende gioiosa. E penserò a tracciare meglio il percorso del mio terzo film, che ho già in testa. E mi dedicherò al concepimento e alla stesura di un secondo libro. Ho un carattere contraddittorio ma sono etica, voglio rispettare le tappe che ormai mi sono prefissata».