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 2021  novembre 07 Domenica calendario

Intervista a Lorenzo Mattotti


Per Lorenzo Mattotti è arrivato il riconoscimento più famoso del mondo dell’arte sequenziale: a Lucca Comics 2021 infatti gli è appena stato conferito il premio Gran Maestro del Fumetto, una sorta di Oscar alla carriera impreziosito quest’anno anche dalla collaborazione tra ministero della Cultura e le Gallerie degli Uffizi che prevede l’esposizione dell’autoritratto del vincitore nella collezione del prestigioso museo diretto da Eike Schmidt. L’evento coincide anche con la pubblicazione di un volume, Periferica. Storie ai margini, che è un fondamentale tassello di questo grande autore perché raccoglie le primissime storie degli anni ’70, non più disponibili da decenni, che mostrano un artista molto diverso da quello attuale. Sono quasi tutti lavori realizzati in un bianco e nero crudo, di un realismo che però comincia già a sfaldarsi in visioni oniriche mentre a poco a poco comincia a spuntare anche il colore.Sono, come dice il titolo, storie di personaggi marginali in una Milano decentrata. Storie che, all’inizio, non hanno il minimo successo ma che, rilette oggi, sono una testimonianza preziosa di un artista diverso da tutti gli altri. Uno che, pur assurto alla fama del mondo dell’arte, non ha mai rinnegato il fumetto. Anzi.È contento dell’accoglienza a Lucca?«Lucca per me è sempre stato un momento di stress ( ride) ».Davvero? Perché?«Mi ricorda sempre quando ero ragazzino. Il mio primo Lucca è stato all’inizio degli anni 70. Non c’era molta gente allora e non esisteva neanche Angoulême. Ci andavi per incontrare qualche autore e disegnatore e farti dare dei consigli. Non esistevano neanche le scuole del fumetto!».Chi ha incontrato allora?«C’era Bonvi che in quel periodo stava facendo un giornale indipendente chiamato Off-Side.Lui mi aveva dato qualche consiglio e aveva invitato tutti i disegnatori più giovani a Bologna nel suo studio. A me aveva affidato due pagine, già allora purtroppo beveva parecchio ma era molto gentile. La rivista era bella, formato tabloid, molto innovativa ma ha chiuso presto (è durata dal 1969 al 1970, ndr) e oltre al fumetto trattava di politica, cultura e musica con Bertoncelli, un critico bravissimo perché scriveva di gruppi come i Led Zeppelin o i Nice di cui in Italia non si era mai sentito parlare».Chi erano gli altri disegnatori?«C’era Crepax con una storia di pirati spaziali e le Cronache marziane di Bonvi con Guccini e poi varie strisce. Ne conservo vari numeri perché è una rivista ormai introvabile. È una testimonianza dell’underground italiano: non so dove avesse trovato i soldi Bonvi!».Torniamo all’ansia: come mai?«Perché quello era il mondo in cui io volevo stare. Venivo a Lucca e vedevo personaggi che per me erano dei miti come Hugo Pratt, Alberto Breccia, Muñoz e Sampayo appena arrivati in Italia… Io ero timidissimo e loro più di tanto non è che potessero dirti ma quando sei ragazzo hai un bisogno tremendo di approvazione: un commento positivo ti faceva dire “Vabbé dai, allora andiamo avanti” ma poi quando tornavi ti beccavi subito una mazzata sulla testa: proponevi storie di qua e di là e nessuno le pubblicava. In quel primo periodo ho ricevuto davvero tanti rifiuti».Incredibile. Ma i critici cosa dicevano di questo?«I critici, anche loro agli albori come Luca Raffaelli con la rivista anche quella underground, L’urlo, mi difendevano, al punto che era nato anche una specie di dibattito del tipo “Perché gli editori non pubblicano Mattotti” da cui però mi sono tirato fuori per evitare ogni patetismo. A un certo punto però hanno iniziato a pubblicarmi i francesi e come spesso succede da noi, a quel punto sono arrivati anche gli editori italiani».Ma anche “Linus” niente?«No. Dicevano: “Mattotti è inquietante”. Ma il bello è che non mi voleva neanche il gruppo di Cannibale perché per loro, al contrario, ero troppo poetico. Così alla fine mi ha pubblicato una piccola casa editrice militante che si chiamava Ottaviano».Anche quella però vi ha imposto diverse cose…«Sì. Io e Fabrizio Ostani che aveva fatto la sceneggiatura e più in là avrebbe usato lo pseudonimo di Jerry Kramski, l’avevamo intitolata La realtà è strabica ma loro volevano una cosa riconoscibile per il “movimento”. Così hanno voluto intitolarla Alice Brum Brum e le riserve metropolitane perché allora c’erano i famosi “indiani metropolitani”. Non solo: siccome la storia era di sole 50 pagine ci hanno chiesto di allungarla per poter fare un libro e così abbiamo aggiunto la storia di due ragazzi che facevamo l’autostop. In questo modo c’era un continuo passaggio tra fantasia e realtà del tempo».E la protagonista “Alice Brum Brum” chi era invece?«Era una ragazzina schiava del consumismo, un po’ “sanbabilina” come si diceva allora che amava le moto e i Ray-Ban dorati, che viene proiettata in un mondo diverso con cui si deve confrontare. A un certo punto c’è anche Karl Marx!».Quali erano le sue infuenze?«In primis il fumetto underground americano: Crumb, Shelton…».Lei è uno dei pochissimi artisti che pur essendo passato dal fumetto all’arte continua a praticarlo. Una cosa che tutti i critici sconsigliano di fare, come se il fumetto fosse arte di serie B.«Sì, io ho sempre voluto restare tra fumetto, arte, illustrazione e design. Il 18 novembre farò una mostra in una galleria di New York ma sono molto felice anche di aver ricevuto un premio Eisner per il mio Dr Jekyll & Mr Hyde, mi piace molto fare le copertine per il New Yorker e sono orgoglioso di aver lavorato con Lou Reed per la sua rielaborazione di The Raven di Poe.Da poco per Art Paris la Galerie Martel ha presentato una mia monografia di lavori nuovi da cui è stato tratto un libro Riti, ruscelli, montagne e castelli (Logos Edizioni, ndr). E poi c’è stata l’esperienza del film La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Non amo i confini: infatti sono felicissimo di questo libro e sono molto curioso di quello che dirà la gente perché ci sono cose che pochissimi hanno visto».Crede che in futuro arte e fumetto si parleranno di più?«Credo proprio di sì. Io comunque sono sempre stato fuori dal mercato normale: il mio mondo è tutto collegato e le mostre che preferisco sono quelle in cui posso affiancare le mie tavole insieme ai quadri e alle illustrazioni».