la Repubblica, 7 novembre 2021
Un saggio per ricordare Guido Rossa
Guido Rossa era un operaio comunista che faceva il fresatore ed era cresciuto a Torino, figlio di immigrati bellunesi. È stato ucciso il 24 gennaio 1979 da un operaio brigatista, anche lui fresatore, Vincenzo Guagliardo, nato in Tunisia, figlio di immigrati siciliani. Il motivo? Nell’ottobre 1978 l’operaio comunista Rossa, la «spia berlingueriana» nel truce lessico dei suoi assassini, aveva denunciato alle autorità un altro operaio brigatista, Francesco Berardi, il quale, un anno esatto dopo l’arresto, si sarebbe suicidato in carcere.
Sergio Luzzatto, con il libro Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa (Einaudi), fornisce un ritratto di Rossa che arriva dopo i lavori della figlia Sabina con Giovanni Fasanella (2006), di Paolo Andruccioli (2009) e di Giovanni Bianconi (2011). L’originalità del contributo sta nell’avere adottato la tecnica del chiaroscuro, uno stile necessario per rendere realistico qualsiasi ritratto che è sempre, proprio come la vita, un equilibrio tra luci e ombre giocato sulle sfumature, ma anche sul rispetto delle proporzioni. A questo proposito il ritrattismo di Luzzatto comporta la tendenza a depoliticizzare la figura di Rossa a favore di una valorizzazione degli ambienti e dei personaggi di contorno messi a fuoco con la solita piacevole acribia.
L’altro Rossa che la penna dell’autore lumeggia è quello dell’infanzia a Torino, trascorsa in una tipica famiglia di immigrati impegnata a “sbarcare il lunario” nell’Italia della ricostruzione: a quindici anni il lavoro in fabbrica, dai diciotto in poi l’affermazione come alpinista tra i più forti della sua generazione, a ventidue i lanci col paracadute, a venticinque l’ingresso a Mirafiori, a ventisette, da padre di famiglia, il trasferimento all’Italsider di Genova, a ventotto, nel 1962, la partenza per conquistare un settemila in Nepal, membro di una drammatica spedizione in cui sarebbero morti due partecipanti, ma che segnò una svolta anche psicologica nella vita dell’uomo, sopravvissuto, due anni dopo, a un volo di ottanta metri in montagna.
Luzzatto ha avuto accesso per la prima volta all’archivio della famiglia Rossa e riesce a mettere in rilievo anche lo scultore e il fotografo dilettante, l’appassionato di archeologia romana, il marito e il padre di famiglia che, sempre nell’alpinismo, trovò la forza per superare la suprema delle tragedie, la morte a soli due anni del primogenito a causa di una fuga di gas.
La ricostruzione dell’altra vita di Rossa restituisce anche un paio di impressionanti e profetiche coincidenze: a metà degli anni Cinquanta, a Viterbo, il suo istruttore di paracadutismo fu il carabiniere Oreste Leonardi, il capo scorta di Aldo Moro ucciso dai brigatisti il 16 marzo 1978; Rossa a Genova abitava in via Fracchia, ossia nella stessa strada dove, nel marzo 1980, i carabinieri guidati da Carlo Alberto Dalla Chiesa avrebbero ammazzato quattro brigatisti, tra cui proprio Riccardo Dura, ossia l’autore del colpo di grazia al corpo del sindacalista.
Luzzatto ha il merito di superare l’estenuante logomachia tra vittime e carnefici che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni del dibattito pubblico sul terrorismo italiano. Egli non delinea, quindi, l’ennesimo santino laico, essendo consapevole dei limiti di una prospettiva soltanto vittimaria, non meno fuorviante di quella esclusivamente memorialistica di parte brigatista che ha dominato a lungo la scena.
Le vittime del terrorismo, infatti, rischiano di diventare figure retoriche esangui che, venendo poste su un monumentale piedistallo e inquadrate sotto la luce deformante dell’eroismo, non riescono a significare per davvero le ragioni profonde della loro vita, in cui si iscrivono sem pre i motivi della propria morte. Anche Rossa è consapevole di essere l’ennesimo dead man walking della storia italiana, ma non ricevette alcuna protezione e si recò da solo all’udienza in cui effettuò il riconoscimento dell’operaio Berardi che gli costò la vita.
Luzzatto rinuncia a lucidare il piedistallo sul quale Rossa poggia a causa della sua tragica morte perché sa che i processi vittimari e quelli eroicizzanti degli altri servono spesso a occultare un disagio dovuto al senso di colpa: in questo caso quello dei compagni operai, del Pci e del sindacato di averlo lasciato solo davanti ai suoi carnefici, come lo stesso segretario della Cgil Luciano Lama ebbe l’onestà di denunciare il giorno dei suoi funerali.
Questa scelta di metodo lo ha indotto a ricostruire l’educazione politica di Rossa che da una formazione giovanile superomistica (il culto misticheggiante per le alte vette, la passione per il paracadutismo, l’amore per le pistole e per l’esplosivo) si converte gradualmente all’impegno politico e civile prima nel Pci (cui si iscrive nel 1967) e poi nel sindacato mediante la presa di coscienza della propria condizione di operaio. Così anche ha significato approfondire l’effettivo ruolo svolto da Rossa nella fabbrica che, secondo un’autorevole testimonianza raccolta di recente, fu effettivamente quello di informatore fiduciario del Pci, uno degli uomini selezionati da Botteghe oscure per contrastare l’emergenza terroristica. Scelto, sin dall’inizio degli anni Settanta, per monitorare in fabbrica le trame eversive dell’estrema destra nel contesto della strategia della tensione e poi per arginare la penetrazione delle Brigate rosse. Per un verso, risalendo la filiera tra l’interno e l’esterno dello stabilimento e, per un altro, aggredendo la zona grigia della media borghesia sovversiva, quella lingua di terra infida che portava ai professori Gianfranco Faina ed Enrico Fenzi e all’avvocato Edoardo Arnaldi, suicidatosi anche lui come Berardi, di cui era stato il difensore al processo, per evitare di essere arrestato.
Da questo percorso sarebbe derivata la spinta, come Rossa scrisse in una lettera a un amico nel 1970, a «scendere giù in mezzo agli uomini a lottare con loro»: tutti gli uomini, quelli che gli hanno voluto bene e quelli – operai come lui – che in una fredda alba d’inverno lo hanno ucciso a soli 44 anni perché era un sindacalista, un comunista italiano, un cittadino democratico.