la Repubblica, 7 novembre 2021
Ecco perché una pillola non ci salverà
Se dovessimo sognarla di notte sarebbe così: siamo appena tornati a casa con un po’ di mal di gola e qualche linea di febbre. E se fosse Covid? Nel dubbio, prendiamo una pillola che va giù con un bicchier d’acqua. La medicina blocca la replicazione del virus nel nostro organismo e noi non ci pensiamo più.
Un pezzetto di questo sogno potrebbe diventare realtà con il prossimo arrivo dei farmaci antivirali. La piena concretezza però è lontana. E per più di un motivo.
Il primo e il più ovvio è che nessun antivirale è ancora stato approvato in Europa, e nemmeno negli Stati Uniti. Solo la Gran Bretagna giovedì si è affrettata ad autorizzare la pillola della Merck, molnupiravir, che agisce sabotando il meccanismo che serve al virus per replicare il suo genoma e moltiplicarsi.
Come per i vaccini lo scorso dicembre, Londra ha voluto bruciare tutti sul tempo. L’Agenzia europea per i medicinali (l’Ema), da cui dipendono le cure anche per l’Italia, preferisce invece andare più piano. Sta guardando dentro ai dati delle sperimentazioni della Merck (che fuori dagli Usa si chiama Msd) dal 25 ottobre e non si è data scadenze per la valutazione finale. Osserverà con particolare cura il meccanismo di azione di questo farmaco, consultandosi anche con i colleghi americani della Food and Drug Administration (l’Fda). Non ci sono particolari ragioni di allarme, ma tutte le molecole che agiscono alterando un genoma, sia pure solo del virus, sono oggetto di un’attenzione extra.
Il secondo motivo è che, come i vaccini, neanche i farmaci antivirali sono efficaci al 100%. La pillola della Merck arriva al 50%, quella di Pfizer sembra che la sorpassi toccando l’89%, una terza medicina allo studio della Roche non ha ancora mostrato effetti benefici. Sono numeri che sembrano parlare chiaro, ma dipendono in realtà da alcune scelte cruciali che sono arbitrarie. Ad esempio: quanto a rischio di contagiarsi erano i volontari delle sperimentazioni: quanto erano gravati da altre malattie (più lo sono, più ci si aspetta che trovino beneficio dal farmaco); o quanto importanti sono i sintomi che lamentano prima di fare il tampone e avere la diagnosi; quanto tempo passa, infine, tra l’infezione e l’uso della pillola. Più il virus ha avuto tempo di replicarsi nell’organismo, infatti, meno solido sarà l’effetto del medicinale, e questo è stato il limite fondamentale di tutti i trattamenti antivirali usati finora (anticorpi monoclonali e remdesivir), da somministrare in ospedale.
Ema e Fda hanno squadre di statistici allenati a fare la tara alle dichiarazioni delle aziende produttrici. Sarà opportuno attendere i loro, di dati, prima di parlare di efficacia e di un uso esteso.
Queste sono le ragioni scientifiche. E poi ci sono le percezioni, che non dovrebbero contare nulla, e invece finiscono col pesare sempre. Gli antivirali ad esempio rischiano di diventare negli Usa le pillole dei fan di Trump, che ne ha finanziato parte della ricerca, da contrapporre ai vaccini promossi (e in alcuni casi resi obbligatori) da Biden. Non aiuta nemmeno il nome scelto dalla Merck per molnupiravir che, oltre a essere arduo da mandare a mente, si ispira a Mjollnir – il martello di Thor – come alcuni gruppi di estrema destra di vari decenni fa e come il tatuaggio sul petto dello sciamano che ha assaltato il Campidoglio negli Usa il 6 gennaio scorso. E già gli esperti intravedono nubi grigie all’orizzonte della campagna dei vaccini. Se basta una pasticca per battere il Covid, che bisogno c’è di affrontare la siringa?
Ce ne sarà bisogno, invece, proprio per i limiti che continueranno ad avere i farmaci, perché gli argomenti che i No Vax usano contro i vaccini sono perfettamente sovrapponibili alle pillole e perché da sempre la medicina ci insegna che prevenire è meglio che curare.
Poi c’è il punto dell’uguaglianza fra le persone.
Chi avrà le prime pillole a 700 euro al ciclo?
Dieci milioni di trattamenti, ha promesso la Merck per quest’anno: l’equivalente di venti giorni di contagi nel mondo. Molti Paesi hanno già iniziato la gara per firmare i contratti, dagli Usa alla Nuova Zelanda. L’Università di Harvard nel frattempo si è messa a fare i conti sui nudi costi di produzione di molnupiravir: 17 euro a trattamento. Per evitare le ingiustizie che vediamo nella distribuzione dei vaccini, sia Merck che Pfizer hanno firmato licenze agevolate per produrre una versione generica nei Paesi a più basso reddito e hanno promesso prezzi adeguati alle capacità di pagamento. Sono buone notizie, anche se non realizzeranno il sogno in modo perfetto. Dal Covid il mondo non uscirà trionfalmente come se fosse Thor. Lo farà affannosamente, afferrandosi a ogni liana raggiungibile. E quello dei farmaci antivirali sarà un appiglio assai benvenuto, a completare l’aiuto che ci danno i vaccini.