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 2021  novembre 07 Domenica calendario

Il ritorno delle spie


NEW YORK – Un diplomatico russo, Kirill Zhalo, che muore precipitando dal balcone dell’ambasciata a Berlino, salvo poi scoprire che era figlio del vice direttore del servizio segreto Fsb, convolto nell’omicidio al parco Tiergarten del ribelle ceceno Zelimkhan Khangoshvili. Otto spie di Mosca cacciate dalla Nato, dove fingevano di dialogare con l’Occidente. Un docile cinese, condannato in Ohio perché in realtà rubava informazioni industriali. Un tempo le spie erano discrete, ma oggi aprire i giornali significa leggere quasi oggi giorno le loro disavventure, a conferma che il gioco dell’intelligence è tornato centrale nel risiko degli equilibri globali sempre più instabili.
Yanjun Xu non indossava barbe finte, e neppure girava col fucile mascherato da ombrello. Molto più semplicemente dal 2013 frequentava università e congressi, dove adescava le prede. Le invitava in Cina per presentazioni accademiche rispettabili, pagando le spese e offrendo un gettone di riconoscenza. Laggiù poi scattava qualcosa e, tra le promesse di compensi assai più alettanti, le lusinghe e chissà quali altre offerte seducenti, trasformava gli invitati in informatori. Nel maggio del 2017 Yanjun Xu aveva fatto un colpo grosso, attirando un ingegnere della GE che si era presentato con una valigetta piena di segreti sui motori per aerei prodotti dalla sua azienda. Felice del risultato, aveva chiesto altre informazioni. La preda aveva accettato, invitandolo in Belgio nell’aprile del 2019. Quello che ignori ti uccide, però, e Yanjun Xu non sapeva che l’Fbi aveva scoperto tutto costringendo l’ingegnere a collaborare. Perciò quando l’uomo di Pechino si era presentato all’appuntamento belga, invece della fonte con una valigetta colma di ghiotti segreti, aveva trovato un agente del controspionaggio americano con le manette.
Venerdì un tribunale federale di Cincinnati ha condannato Yanjun Xu, che ora rischia sessanta anni di prigione. Il tutto per confermare che le spie sono tornate, ammesso che ci avessero mai abbandonati, e svolgono un ruolo sempre più cruciale non solo nella sfida geopolitica epocale tra Usa e Cina, ma anche nelle rivalità fra paesi avversari e alleati.
Durante la Guerra Fredda era scontato che le spie ne combinassero di tutti i colori, dalle penne letali alla James Bond ai tradimenti rocamboleschi tipo Kim Philby. Crollato il Muro di Berlino quell’epoca sembrava finita e, all’inizio degli anni Novanta, il direttore della Cia Jim Woolsey aveva dichiarato che la nuova frontiera dello spionaggio era industriale, economica e tecnologica. Aveva ragione, ma forse come Francis Fukuyama aveva avuto troppa fretta nel decretare la fine della storia. Infatti lo spionaggio tecnologico era esploso, senza però che finisse il resto.
La Cina è convinta di poter scavalcare gli Usa come superpotenza rubando l’innovazione. Secondo gli studi di Nicholas Eftimiades, professore alla Penn State University di Harrisburg, negli ultimi trent’anni ci sono stati almeno 475 casi documentati e provati di spionaggio della Repubblica Popolare in tutto il mondo. Di questi solo il 22% ha riguardato attività tradizionali, e il 4,5% azioni coperte, perché Pechino ritiene che il suo futuro dominio planetario si giochi soprattutto sull’intelligenza artificiale e la supremazia tecnologica, che cerca di acquisire sottraendo ai rivali tutte le informazioni possibili, per poi costruirci sopra le sue capacità autonome.
Sarebbe sbagliato però trascurare il ritorno di operazioni che ormai pensavamo di vedere solo nei film di Jason Bourne. Queste attività più violente negli ultimi vent’anni erano state concentrate soprattutto sulla lotta al terrorismo, centrale dopo l’11 settembre 2001. Le aveva incarnate meglio di tutti Alfreda Frances Bikowsky, il personaggio di Maya nel film Zero Dark Thirty, che guidando la caccia della Cia a bin Laden lo aveva scovato ad Abbottabad e consentito la sua eliminazione.
Poi abbiamo visto il ritorno della Russia alle abitudini di quando Putin era solo un agente del Kgb, con gli avvelenamenti di Aleksander Litvinenko e Serghej Skripal in Gran Bretagna, e ora Aleksej Navalnyj. Mosca però ha colpito soprattutto con le operazioni digitali, come quelle per condizionare le presidenziali americane del 2016, o anche la politica italiana, per non parlare degli hacker che hanno attaccato SolarWinds e altre aziende. Resta poi da chiarire perché l’agente della Nsa Edward Snowden abbia trovato rifugio proprio in Russia, dopo aver compromesso le operazioni digitali degli Usa.
Il direttore della Cia, Willam Burns, ha nominato un leader del team che aveva dato la caccia ad Osama per capire cosa ci sia dietro l’Havana Syndrome, il disturbo neurologico che sembra inseguire i diplomatici americani in tutto il mondo. Superfluo parlare dello spionaggio generato dal Covid: autorevoli operativi dell’intelligence ammettono che per mesi i loro governi hanno chiesto solo informazioni sull’origine del virus e i vaccini. Non mancano poi i casi da “Julius ed Ethel Rosenberg alle vongole”, come l’ingegnere Jonathan Toebbe e sua moglie Diana, arrestati il 9 ottobre mentre cercavano maldestramente di passare informazioni sui sottomarini nucleari Usa, forse alla Francia.
L’Italia è sempre stata un crocevia dello spionaggio internazionale, da quando la Cia dirigeva proprio da Roma le sue operazioni in Medio Oriente, o la futura talpa Aldrich Ames si preparava a tradire. Ci siamo ricascati nel marzo scorso, quando il capitano di Fregata Walter Biot è stato arrestato per aver lavorato al servizio del Cremlino. Siamo ancora un posto di frontiera, nel gioco più grande di noi per il dominio globale.