Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 07 Domenica calendario

Intervista a Peiro Sansonetti


Non ci gira intorno: «Adesso si può dire».
Che cosa?
«Silvio Berlusconi non è un imputato a vita. No, è un perseguitato a vita».
Diranno che lei è smaccatamente di parte.
Piero Sansonetti, direttore del Riformista e volto della tv, sorride: «Dicano quello che gli pare. La notizia c’è tutta ed è incredibile: le 18 ragazze che parteciparono alle cene di Arcore dovevano essere sentite con gli avvocati e non come testi».
E questo – afferma il tribunale di rito ambrosiano del Ruby ter – dal lontano 2012.
«Parliamo di nove anni fa. Nove anni di sospetti, accuse, veleni e polemiche che vengono cancellati con un tratto di penna. Quei verbali sono inutilizzabili perché le ragazze dovevano essere interrogate alla presenza dei loro difensori».
Un errore?
«Sarà pure un fatto tecnico, ma le ricadute politiche mi paiono clamorose. Quelle fanciulle erano in bilico, potevano essere indagate, la procura di Milano avrebbe dovuto avere un altro approccio. Arrivo a dire che c’è un pezzo di storia italiana che forse dev’essere riscritto».
Ma Berlusconi non è stato assolto?
«Si, ma questa storia non finisce mai e rinasce come l’araba fenice dalle proprie ceneri. Berlusconi è stato processato non una ma due volte per gli stessi fatti».
Un attimo, la magistratura sostiene che non è così.
«Per me si, ma questo non basta. Si sono inventati il Ruby ter e poi il Ruby ter bis: a Siena hanno riassolto il Cavaliere, a Milano non ancora ma con questa mossa siamo sulla buona strada».
Proprio le assoluzioni non dimostrano la correttezza della magistratura?
«Sessanta processi e sessanta assoluzioni mi paiono un’enormità. Qualcosa non quadra. E l’unica condanna, a dir poco controversa, è sotto la lente della Corte europea di Strasburgo».
Insomma, c’è stata un’incursione dei giudici nella vita democratica del Paese?
«Mi pare evidente. E questo non vale solo per il Cavaliere. Bassolino è stato processato diciannove volte e altrettante assolto. Non può essere la normale dialettica. Qualcosa non funziona e anzi inquieta».
Per l’inchiesta Open su Matteo Renzi, i pm di Firenze hanno interrogato molti big. Da Rosy Bindi a Pierluigi Bersani. Normale attività di indagine?
«La procura di Firenze sta cercando di stabilire i confini della politica e vuole delimitare il perimetro dei partiti. Ancora una volta, a mio parere, si entra in una dinamica che dovrebbe essere estranea alla toghe. Non possono essere i pubblici ministeri a stabilire se un’associazione sia un partito o no».
Come se ne esce?
«Attenzione che questa persecuzione non riguarda solo i leader politici, ma la gente comune che però non ha i mezzi e le risorse per difendersi come ha fatto il Cavaliere. Quanti disgraziati sono stati condannati e sono finiti in cella pur essendo innocenti?».
Quale soluzione, dunque?
«Ci vuole un presidente del Csm, quindi un presidente della Repubblica, che non si lasci condizionare dalle toghe. Mattarella ha pronunciato qualche parola, ma non è andato oltre. E invece questo disastro deve finire».
Lei cosa propone?
«I grandi elettori mandino Berlusconi al Colle».
Difficile. Molto difficile.
«Si, lo so bene, anzi qualcuno ha già fatto sapere che è impossibile Ma l’elezione del Cavaliere sarebbe una forma di risarcimento per lui e per quello che ha patito il Paese».
E le pendenze giudiziarie?
«Sono inconsistenti, come si è visto fra Siena e Milano».
La magistratura finirebbe sotto scacco, come temono i giustizialisti?
«No, non è che ci debbano essere vendette o punizioni, ma una riorganizzazione del sistema giudiziario che finora non c’è stata».
Le riforme si faranno?
«La Corte costituzionale potrebbe bocciare alcuni quesiti referendari, ma basta che alla scure della Consulta ne sopravviva uno, uno fra i sei, e che al voto la prossima primavera vinca il si, per cambiare i rapporti di forza nel Paese. Sarebbe un segnale simbolico dirompente. Forse, siamo alla vigilia di un cambiamento atteso da troppo tempo».